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"Storie di Firenze": alla scoperta dell'impronta che ci lasciano addosso le nostre origini

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Storie di Firenze
di Serena Bedini
Odoya, 2019

pp. 296
€ 18,00 (cartaceo)




Quello che Firenze trasmette ai suoi è paragonabile a una struttura fondamentale, a una grammatica della mente e del senso: ed è anche qualche cosa di più sottile, al punto che l’impronta segreta è anche più tenace di quella visibile.

La citazione di Mario Luzi, nella quarta di coperta del volume Storie di Firenze di Serena Bedini, edito da Odoya, è l’incipit migliore alla sua lettura: per aprire questo libro, infatti, bisogna essere o nati a Firenze o grandi estimatori di questa magica città (o entrambe le cose, ché una non esclude l’altra).
Io che a Firenze ci sono nata, e a una manciata di chilometri dalla sua ombra imponente ho vissuto fino a pochi anni fa, ho trovato le parole di Luzi rivelatrici.

Il legame con la città che mi ha visto nascere, dentro cui ho vissuto e studiato, è sempre stato sfilacciato, poco coltivato: tra le vie universitarie di Novoli, sotto il marmo policromo di Santa Maria del Fiore, mi sono sempre sentita più una turista, che una cittadina. Eppure adesso, che sono trapiantata in Emilia, quando rivelo le mie origini e in molti mi rispondono: “Ah, sei di Firenze? Ma non hai molto accento!” provo un po’ di fastidio. Io di Firenze mi ci sento, nonostante tutto. Mi ci sento profondamente.

Nel pensiero: la mia razionalità e la convinzione che tutto possa essere risolto “se ci si ragiona” (che, a Firenze, vuol dire non solo “rifletterci”, ma anche “parlarne, sviscerare un argomento” a volte persino e soltanto “dar fiato alla bocca per il gusto di farlo”). Nell’atteggiamento sbrigativo e poco incline al sentimentalismo, per esempio. Nell’ironia pungente, sardonica (che gli emiliani a volte non colgono, molto più spesso non apprezzano!). Insomma, di Firenze porto con me una miriade di cose, che quando ci abitavo vicino non mi ero accorta essere parte di me. Eccolo, dunque, quel legame tenace, quell’impronta segreta che cita Luzi.

Docente di scrittura creativa e critica letteraria, Serena Bedini, autrice di questo prezioso volume di scoperta di una delle città più affascinanti al mondo, ha con Firenze un legame molto meno complesso e profondamente più radicato: la ama, le appartiene, è il suo metro di giudizio per classificare la bellezza in ogni parte del pianeta: lo si capisce subito, fin dalle prime pagine del suo libro.

La forza del volume sta nel suo essere una guida assolutamente non convenzionale: leggendolo, si conoscono gli scorci più suggestivi di Firenze, le piazze più belle, i vicoli poco battuti (la via San Leonardo in Oltrarno – “una curva dolcissima e lenta, sonora sotto i piedi, tra due muri da cui svettano gli ulivi” – per esempio, dove Ottone Rosai aprì il suo studio artistico), ma, soprattutto, si viene contagiati dall’amore che l’autrice prova per la sua città.
Come spesso accade, quando si scrive di qualcosa che ci coinvolge emotivamente, la scrittura risulta a tratti lievemente edonistica, celebrativa.

A salvare dal pericolo di arrivare solo a chi già ama (e quindi conosce bene) la città è l’escamotage utilizzato dall’autrice per l’impalcatura della narrazione: la raccolta di citazioni.
La bibliografia di Storie di Firenze è ghiotta e dona al libro una ricchezza di voci e una pluralità di stili che lo rendono godibilissimo e intellettualmente stimolante: Aldo Palazzeschi, Ardengo Soffici, Bruno Cicognani, Giuseppe Prezzolini, Sibilla Aleramo, Vasco Pratolini…
“[Alessandro Manzoni, sull'Arno] “nelle cui acque risciacquai i miei cenci” volle scrivere egli, dando veste toscana al romanzo immortale” (Lapide all’ingresso di Palazzo Gianfigliazzi Bonaparte).
[Lungarno Acciaioli] Da qui, Sibilla Aleramo, alias Rina Faccio, scrisse a Dino Campana lettere a volte lunghe e intense, a volte brevi, ma sempre appassionate. (p. 66)
Se torno a casa dal Ponte Vecchio – di sera – mi par d’entrare a un tratto in una scorciatoia che meni al paradiso. (Giovanni Papini)


…Che San Frediano fosse un quartiere malfamato lo dimostra anche la fioritura di narrativa noir di fine Ottocento che in breve trovò nel quartiere la sua ambientazione naturale. (…) Del resto, come spiega Anna Pellegrino: “anche le penne che vi si impregnarono non erano di trascurabile peso: (…) Jarro, Yorick, Collodi”. (pp. 92-93)


Passiamo il Ponte alle Grazie, i Lungarni fino alla Zecca, il Viale, la Piazza Beccaria quasi rotonda (…). V’è una casa di modesto aspetto, sulla Via de’ Robbia, quasi all’angolo d’un’altra via: è a tre piani di cinque finestre ciascuno, con le persiane verdi sulla facciata dall’intonaco deperito (…). All’ultimo piano abitava ora Prezzolini, che pure lui, all’insaputa dei suoi amici, aveva preso moglie. E qui fu il luogo di nascita e di vita della rivista ch'egli diresse e cui, memore d’un ultimo suo articolo nel Leonardo, diede nome La Voce. (Augusto Hermet)


Ero arrivato a quel punto d’emozione dove si incontrano le sensazioni celestiali date dalle belle arti e i sentimenti appassionati. Uscendo da Santa Croce, avevo una pulsazione di cuore, quelli che a Berlino chiamano nervi; la vita in me era esaurita, camminavo col timore di cadere. (Marie Henri Beyle – Stendhal)
Percorrere la lettura, e Firenze, attraverso gli occhi e le sensazioni di grandi autori e artisti comunica il valore di questa città come crocevia di eventi storici di enorme portata: la nascita del Futurismo, le prime riviste letterarie, il senso di Europa che inizia qui a germogliare grazie alla nutrita comunità inglese, gli anni da capitale del Paese…

Ecco che davvero Firenze rappresenta una grammatica (per riprendere le parole di Mario Luzi) che tanto ha contribuito a scrivere la Storia d’Italia e che, grazie anche a questo libro di Serena Bedini, può contribuire a rimodellare i sensi e la mente di chi le si avvicina con sguardo limpido di scoperta.

Barbara Merendoni