Si può fare una cronaca del dolore, senza cadere nella tentazione di ricamare la realtà?

Il commensale
di Gabriela Ybarra
Alessandro Polidoro Editore, 10 aprile 2019

Traduzione di Maria Concetta Marzullo

pp. 180
€ 16 (cartaceo)


«Si racconta che nella mia famiglia si sieda sempre un commensale in più a ogni pasto. È invisibile, ma c'è. Ha il suo piatto, il suo bicchiere e le sue posate. Di tanto in tanto appare, proiettando la sua ombra sul tavolo e facendo svanire qualcuno dei presenti. Il primo a sparire fu mio nonno paterno»: inizia così Il commensale, il toccante libro di Gabriela Ybarra, finalista al Man Booker International Prize. Si può ricostruire e dare una spiegazione al dolore? Forse no, ma certamente scriverne è un modo per cercare di rendere accettabile e razionale quel che invece muove i nostri sentimenti e, soprattutto, per omaggiare gli assenti. Così, l'ETA e l'assassinio del nonno, i pacchi-bomba e gli avvertimenti alla famiglia intera sono pericoli concreti, visibili, ma a volte la minaccia più grossa cova dentro di noi per anni, finché prende il nome e l'aspetto di una malattia... 

Infamia ed eroismo quando hai solo vent'anni: il romanzo storico "scomposto" di Olyslaegers

Wil
di Jeroen Olyslaegers
edizioni e/o, 2019

Traduzione di Mario Corsi

pp. 320
€ 18,00



Wilfried Wils ha vent'anni, vive ad Anversa durante l'occupazione nazista. È un poliziotto. 
È un giovane diligente: fa il suo dovere durante le ronde notturne in cui preleva gli ebrei dalle loro abitazioni, siede in disparte durante le feste in cui i tedeschi sbronzi corteggiano le ragazze locali e ascolta in silenzio e a testa bassa i rapporti dei marescialli. 
Ha tanti doveri tra cui dibattersi: i comandi dell'Arma, le arringhe antisemite del professore di francese Malabarba, la Resistenza che un po' lo attira, come l'eco di una sirena, nella persona del seducente collega e amico Lode. 

Wil è un romanzo che descrive la seconda guerra mondiale da una prospettiva inedita che non ho finora ritrovato in altri libri: nella scelta di un orizzonte geografico preciso e ristretto - Anversa durante l'occupazione - e nella messa a fuoco del punto di vista di un giovane così integrato nella società eppure così outsider, Jeroen Olyslaegers, giornalista, sceneggiatore e romanziere, si è allontanato dallo schema abituale del romanzo storico di guerra. 
Non troviamo semplicemente il racconto di una storia personale che si fronteggia con quello di una Storia collettiva, bensì la scomposizione della stessa storia di un singolo per creare più prospettive da cui leggere gli eventi. Ne deriva un'aspra visione della Storia come attrice beffarda di tutte le vicende e la raffigurazione dell'uomo come un essere incoerente, patetico, incline a ingannarsi. 

James M. Russell ci racconta novanta segreti più uno: teorie, tecniche e scoperte direttamente dalle più grandi civiltà del passato

I segreti tecnologici delle antiche civiltà.
Le straordinarie invenzioni che hanno cambiato il mondo

di James M. Russell
Traduzione dall’inglese di Mariafelicia Maione
Newton Compton Editori, 2019

(Prima edizione originale: Plato’s Alarm Clock, Michael O’Mara Books Limited, 2018)

pp. 188
€ 12,00 (cartaceo)
€ 4,99 (ebook)



«Non è detto che siamo più intelligenti dei nostri progenitori, abbiamo solo accumulato secoli di progressi tecnologici a cui appoggiarci. Molti popoli antichi erano più avanzati di quanto pensiamo. Alcune invenzioni recenti in realtà erano già state ideate e poi dimenticate» (p. 7). Bastano queste poche parole tratte dall’Introduzione di I segreti tecnologici delle antiche civiltà di James M. Russell, appena pubblicato da Newton Compton Editori, per ridimensionare la presunzione che il mondo in cui viviamo sia il più evoluto tra quelli possibili, e che l’infanzia della scienza e della ricerca meritino da parte nostra, tutt’al più, uno sguardo di tenera commiserazione. A leggere l’intero volume, poi, si finisce col mettere in discussione la stessa idea di progresso per come oggi si tende a concepirla, per concludere che ogni epoca, civiltà e cultura hanno sempre saputo fronteggiare le difficoltà al meglio delle proprie competenze. E c’è una spiegazione se il discorso vi sembra già poco concreto e molto teorico: l’autore del testo, dopotutto, ha una laurea a Cambridge in Filosofia, e il suo racconto fitto di esempi mira al raggiungimento di un sano relativismo intellettuale.

«La ferita gli bruciava dentro. Solo la bellezza poteva salvarlo»: il potere creatore e distruttivo dell'arte nel nuovo romanzo di David Foenkinos

Verso la bellezza
di David Foenkinos
Solferino, 18 aprile 2019

Traduzione di Elena Cappellini

pp. 253
€ 18 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)

Il Musée d'Orsay di Parigi è un'ex stazione ferroviaria. È come se il passato depositasse sul presente una traccia insolita. Tra i Manet e i Monet, ci si può abbandonare alla fantasia che un treno arrivi fino in mezzo ai quadri. Ma qui stiamo parlando di altri viaggi. Può darsi che quel giorno alcuni visitatori avessero notato Antoine Duris, immobile nel piazzale del museo. Sembrava caduto dal cielo, stupito di essere lì. Stupore è la parola più adatta per descrivere il suo stato d'animo in quell'istante. (p. 9)
L'arte ha un potere salvifico? Nel suo nuovo romanzo, lo scrittore francese David Foenkinos torna a narrare l'arte, come già era avvenuto ad esempio in Charlotte. Questa volta, nelle prime pagine facciamo la conoscenza di un professore associato decisamente particolare: asociale e folle, potremmo definirlo di primo acchito. Infatti, Antoine Duris ha lasciato la sua cattedra universitaria di Storia dell'Arte a Lione per sparire, fuggire a Parigi e candidarsi come guardiano di sala al Musée d'Orsay: anche la responsabile delle risorse umane, Mathilde Mattel, resta sconvolta da questa richiesta, ma alla fine accetta. E subito Antoine si trova a tu per tu con i quadri di Modigliani, artista su cui ha condotto la propria tesi di dottorato. Chiuso nella sua uniforme nera, presenza discreta nella sala, non si sente affatto demansionato; certo, qualche volta si trova a interrompere la guida per aggiungere dettagli e aneddoti su Modigliani (destando l'ammirazione dei presenti e l'odio del collega), ma punta soprattutto a sparire. Infatti, Antoine è grato del silenzio in cui può ritirarsi, dei passanti che non gli fanno domande né gli badano, della solitudine in cui può sfamarsi di bellezza. Perché solo la bellezza può curarlo, e non solo dal recente abbandono della fidanzata Louise, che si è resa conto di non immaginare un futuro con lui. C'è ben altro: un bellissimo viso tormentato, quello di Camille, torna a riaffacciarsi alla mente e a turbare Antoine. 

"Più che di farfalle, andava a caccia di impressioni": il romanzo di Stella Stollo sulla vita di Berthe Morisot, pittrice innanzitutto

Le impressioni di Berthe
di Stella Stollo
Graphofeel Edizioni, 2018

pp. 298
€ 18,00 (cartaceo)
€ 6,99 (ebook)


Furono giorni frenetici quelli del 2, 3 e 4 marzo 1896 presso la Galleria parigina di Durand-Ruel. Giorni di allestimento, ferventi di preparativi. Giorni in cui per le sale si aggiravano personaggi quali Auguste Renoir, Edgar Degas, Claude Monet e Stéphane Mallarmé, tutti ugualmente indaffarati per celebrare l’amica e collega Berthe Morisot organizzando in suo onore la prima retrospettiva a un anno dalla morte prematura. Mossi da un rispetto profondo, aiutati dalla figlia Julie e dalla sorella Edma, gli artisti disposero con cura quasi quattrocento tra dipinti a olio e acquerelli; il poeta avrebbe poi scritto la prefazione al catalogo. La presenza impalpabile di Berthe, così benvoluta da tutti, aleggiava tra le sale come il profumo delle violette da lei tanto amate: ed era come se ogni lavoro appeso alla parete fosse l’occasione perfetta per ricordarla come donna e come pittrice, in un’altalena del tempo oscillante senza posa. Inizia in questo modo, con lo svelamento immediato dell’espediente narrativo, Le impressioni di Berthe, il romanzo di Stella Stollo pubblicato da Graphofeel Edizioni dedicato alla pioniera francese del movimento figurativo che cambiò per sempre il nostro modo di vedere e interpretare l’arte.

#CriticaLibera - Una letteratura resistente

Esiste una letteratura ignorata che è espressione della più grande minoranza linguistica dello Stato italiano, ha una storia molto antica, una lunga tradizione poetica, una produzione narrativa piuttosto viva ed è anche immersa in un’accesa diatriba linguistica: parlo della letteratura in sardo. Ad alcuni potrà sembrare eccessivo parlare di lingua, ma in realtà non lo è per la distanza morfologica, grammaticale, lessicale e sintattica dagli altri idiomi europei. Il sardo d’altronde è la lingua neo-latina più conservativa rispetto all’idioma d’origine, a causa di un isolamento progressivo dal continente, iniziato durante la fine dell’impero romano, che l’ha resa immune alle innovazioni linguistiche propagatesi nel resto delle aree romanze. Proprio alla vigilia de Sa die de sa Sardigna, credo sia giusto proporre una sua mini-storia letteraria, che ovviamente non potrà essere esaustiva, ma spero possa stimolare il lettore.

"Una volta è abbastanza": Giulia Ciarapica ci racconta le Marche perdute nel suo romanzo d'esordio


Una volta è abbastanza
di Giulia Ciarapica
Rizzoli, 2019

pp. 365
€ 19 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)

Ci sono due motivi per cui Valentino, tra tutte le donne che lo corteggiavano, prima di partire per la guerra aveva scelto di stare con lei: primo, perché Annetta è dinamica e coraggiosa, non ha paura di nessuno e fiuta sempre l’occasione giusta; secondo, perché ha il fascino provocatorio della donna indipendente. (p. 33)

Insieme ad altre motivazioni che espliciterò più avanti, sono stati passaggi questo come questo, fin troppo frequenti, che mi hanno portato a interrompere la lettura del romanzo d’esordio di Giulia Ciarapica, classe 1989, nota blogger culturale per l’Huffington Post e autrice per Il Messaggero e Il Foglio.
Il testo, primo di una trilogia familiare che non può non richiamare gli echi della saga dell’Amica geniale diElena Ferrante (e/o edizioni), rispetta perfettamente i canoni di quello che si può definire un romanzo di formazione generazionale e territoriale: la narrazione segue da vicino sia gli sviluppi dei protagonisti, che incontriamo giovani appena dopo la guerra e che, al termine del terzo libro, alle soglie dei nostri anni Dieci, ritroveremo verosimilmente anziani, sia quelli del territorio di Casette d’Ete, un paesino nell’entroterra marchigiano nel quale la stessa autrice è nata.

Porte socchiuse sul reale: "Magia nera" di Loredana Lipperini

Magia nera
di Loredana Lipperini
Bompiani, 2019

pp. 240
€ 16 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)

Volendo, ci si potrebbe scrivere un libro, sugli oggetti del mercatino: sono divisi per zone, i ninnoli a sinistra, i servizi di piatti e bicchieri a destra, i mobili al centro e, in fondo, i vestiti e le scarpe. Sono tutti in conto vendita, ma Elena non crede che chi li porta al mercatino abbia bisogno di soldi, quanto piuttosto di spazio. Anche mentale: ci sono cose che si portano dietro pezzi di vita, e liberandosene si cancellano anche quelli, che forse premono troppo forte, forse fanno troppo male per andare avanti. (p. 25)
Dodici storie paranormali per dodici donne normali, così comuni da risultare banali nella propria quotidianità. Sono storie che raccontano di perdite, di lutti, di vite bloccate da qualche parte all’interno di un percorso vincolato, che appare senza sbocchi. L’autrice, in una nota a fine libro, li definisce racconti «appartenenti al fantastico, perché scelgono di non percorrere la strada obbligata del realismo» (p. 225).
In questa deviazione dal reale possiamo scorgere il desiderio, almeno per alcune storie, che vi sia la possibilità – almeno la possibilità – di un binario alternativo a quello di una realtà spesso è cruda e irrimediabile: alla morte del compagno amato (Tu stessa, per inseguirlo) o al suo abbandono per una donna più giovane (Soltanto due euro); ma anche alla perdita di un figlio, la cui defezione si fa sentire ancora dopo vent’anni (Stride la vampa) o a una vita che viaggia senza pietà verso la fine (Ventuno giorni); ecco, a tutte queste tragedie quotidiane, piccole o grandi che siano, si cerca a volte di porre rimedio attraverso la preghiera, invocando l’aiuto di quella divinità a cui ci rivolgiamo quasi tutti – credenti e, perché no, anche atei – nei momenti di sconforto, quando ogni altro gesto appare inutile e tutto ciò che resta è abbandonarsi alla disperazione.

Che cosa è più "pop", l'icona di design o la sua ossessione? Molte risposte (e ancora più domande) in un libro di Alessandra Coppa, plurale e "maledetto" quanto basta

Maledetto design.
L’ossessione pop delle icone
di Alessandra Coppa

Centauria, 2019

pp. 156
€ 19,90

Nella traduzione italiana di From Bauhaus to our house (1981), il libro che il maestro del new journalism Tom Wolfe dedicò all’influenza (nefasta) dell’architettura europea su quella a stelle e strisce, il titolo diventa sottotitolo. L’enunciato che suggerisce di come si parlerà (male) del progettare e costruire in America fin dagli anni Trenta (Dal Bauhaus a casa nostra) è preceduto da un’imprecazione che, a scanso di equivoci, manda al diavolo l’intera categoria: Maledetti architetti, dunque, e chi ancora non è d’accordo avrà tutto il tempo (quello esilarante della lettura) per ricredersi. Una provocazione, certo, e al tempo stesso un’espressione che è diventata un passepartout: può forse non averci pensato Alessandra Coppa nel “battezzare” il suo Maledetto design, appena pubblicato da Centauria? Dopotutto architetti e designer sono praticamente parenti, e non si può certo negare come un vago maledettismo sia connaturato al settore già dal suo avvento e dal suo stesso significato. Se ancora non ci credete, ecco la prova del nove: provate a dare o a cercare una definizione assoluta di design, e preparatevi a perdere ben presto la pazienza. Perché non esiste, o meglio ne esistono tante quanti sono i designer e le scuole di design oggi sulla terra, per non parlare delle connotazioni ambigue e sfuggenti che la parola e il mondo che le gira intorno hanno progressivamente assunto nel corso dei decenni. Che fare, dunque? Tanto per cominciare, molte domande: quelle che l’autrice ha rivolto ai principali protagonisti e studiosi di settore sulla loro visione del design, ma anche sul perché questa particolare categoria di oggetti abbia assunto lo statuto di icona e di (spesso assai costoso) status symbol.

"Un caso qualunque" nella Sicilia senza miti: il giallo di Salvo Di Caro

Un caso qualunque
di Salvo Di Caro
Bookabook, 2019

13,00 € (cartaceo)
5,99 € (ebook)




Gli ingredienti per essere una lettura piacevole ci sono tutti, in questo libro promosso dai lettori attraverso una campagna di crowfounding, secondo una formula sperimentata dalla casa editrice Bookabook, e collocano Un caso qualunque nel solco degli autori siciliani, tra gli epigoni di Camilleri. 
C’è un protagonista innamorato della sua famiglia e della buona cucina, Antonino Pilato, che però non sembra molto tagliato per la carriera da maresciallo; c’è l’appuntato scelto Rosario Spanò, fedele aiutante, esperto di computer e affascinato dalle donne, e c’è la vita di una città della provincia agrigentina, Naro, dove tutto scorre apparentemente tranquillo. 
Il paese a quell’ora era il regno di venditori ambulanti e signore intente a fare la spesa, le strade erano comunque semi deserte. oramai quelle poche persone che erano rimaste e non erano emigrate erano al lavoro. «Italo ma tu cosa noti di strano in questo paese?»,«Niente maresciallo, a parte il fatto che non ho mai capito chi dia i soldi a quelli che stanno al bar dalla mattina alla sera a bere, non ci trovo niente di strano». (p. 99)

#PagineCritiche - Paolo Borsellino Essendo Stato: Un esempio, un paradigma morale senza tempo

Paolo Borsellino Essendo Stato
di Ruggero Cappuccio (disegni di Mimmo Paladino, fotografie di Lia Pasqualino)
Feltrinelli, 2019

prima edizione: 2004

pp. 136
€ 12 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)


Ad Agnese Borsellino che insegnò sorridendo come quel che non è più può essere ancora (p. 9).
Si apre con questa dedica assai toccante il testo di Ruggero Cappuccio Paolo Borsellino Essendo Stato. Scritto nel 2004 con la benedizione della moglie del giudice ucciso dalla mafia, Agnese Borsellino, da 15 anni calca i palcoscenici di moltissimi teatri italiani.
Nel 2013 Radio Tre ne registrò la rappresentazione tenutasi a Roma presso l'auditorium Parco della Musica e nel 2016 questa andò in onda su Rai Storia e Rai Uno.
Oggi Feltrinelli lo ripubblica arricchito sia dai disegni di Mimmo Paladino e dalle fotografie di Lia Pasqualino, che dalle dichiarazioni rese da Paolo Borsellino e dal collega Giovanni Falcone dinanzi al Consiglio superiore della magistratura il 31 luglio 1988. Ma andiamo con ordine.

Paolo Emanuele Borsellino nacque a Palermo il 19 gennaio 1940, nel 1962 si laureò in Giurisprudenza e nel 1963 vinse il concorso in magistratura, divenendo il più giovane giudice d'Italia. Nonostante egli avesse iniziato il suo percorso mosso dalla profonda passione per il diritto civile, ben presto si rese conto come la sua opera dovesse essere indirizzata alla lotta del fenomeno della criminalità organizzata.
In un'epoca nella quale anche pronunciare la parola "mafia" in Sicilia faceva pensare ad un elemento che nulla aveva di realistico, Borsellino contribuì a fondare il pool antimafia insieme ad altri valenti magistrati quali Giovanni Falcone, Giuseppe Di Lello, Leonardo Guarnotta, Rocco Chinnici e, più tardi, Antonino Caponnetto. Il resto è storia.

«Meglio non farsi troppe domande su quello che combinano gli altri. Non dureresti un minuto in quella prigione»: "Mars Room" di Rachel Kushner

Mars Room
di Rachel Kushner
Einaudi, aprile 2019

Traduzione di Giovanna Granato

pp. 330
€ 20 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)


Sammy mi ripeteva in continuazione quant'era importante avere qualcuno fuori, ma io non le dissi mai che avevo un sostegno. O che mi avevano dato due ergastoli più sei anni. Erano affari miei e di nessun altro. Come nel camerino del Mars Room, non dai il tuo vero nome. Non fornisci informazioni. Non parli di te perché non c'è niente da guadagnarci. (p. 115)
Romy Hall ha passato tutta la sua vita a imparare a stare zitta, o perlomeno a non parlare di sé: prima al Mars Room, il locale dove ha fatto lap dance fino a quando è scappata a Los Angeles, poco prima di essere arrestata per omicidio. L'abitudine di farsi chiamare Vanessa è servita a poco: perlomeno non è bastata a tenere lontano Kurt Kennedy, uno dei clienti abituali, che ha iniziato a nutrire per "Vanessa" quello che lui definiva affetto, e che si è rivelato invece un'ossessione morbosa. Pedinamenti e stalking sono in grado di esasperare una donna, tanto più se al suo fianco c'è un bambino piccolo: Jackson. E da lì a un gesto estremo - per protezione, sfinimento, paura - non passa molto. Ecco perché nelle prime pagine del romanzo troviamo Romy su un cellulare che la deve portare nella sua nuova prigione, dove dovrà scontare due ergastoli e sei anni. Quei sei anni suonano tristemente paradossali? Mai quanto i regolamenti carcerari, o le regole che le donne del penitenziario si sono auto-imposte per sopravvivere senza ossa rotte lì dentro. 

#CriticaNera - "Con tanto affetto ti ammazzerò": uno spassoso giallo che è anche un inno d'amore alla città di Napoli

Con tanto affetto ti ammazzerò
di Pino Imperatore
DeA Planeta, 2019

pp. 354
€ 15 (cartaceo)
€ 8,99 (ebook)

«E noi Vitiello vi aiuteremo nell'investigazione, è vero?» «Sicuro. Rimettiamo in piedi la squadra» (p.43).
È trascorso quasi un anno da quando lo scrittore partenopeo Pino Imperatore ci ha trasportati tra i vicoli della città di Napoli e ha dato vita a un giallo dal sapore decisamente insolito: Aglio, olio e assassino (qui la recensione). 
Durante tutto questo tempo ho avuto modo di visitare e innamorarmi della città di Napoli e, quando ho saputo che sarebbero presto uscite in libreria delle nuove avventure che avevano per protagonisti i personaggi che avevo conosciuto e apprezzato così bene nell'opera di cui sopra, non ho potuto esimermi dal leggere anche Con tanto affetto ti ammazzerò
Nel libro precedente, a far luce su un caso un omicidio in cui la vittima veniva ritrovata "condita" con aglio, olio e peperoncino (ecco il motivo del titolo) ci avevano pensato il bell'ispettore Gianni Scapece, il valente commissario Carlo Improta e gli allegri gestori della trattoria Parthenope, Francesco e Peppe Vitiello, e il loro comico staff.
Nella seconda avventura di questa serie di "noir umoristici", come sono stati definiti gli scritti di Pino Imperatore dal quotidiano La Stampa, i nostri amici dovranno invece fare i conti con la misteriosa sparizione della baronessa Elena De Flavis (che avviene pochissime pagine dopo l'inizio della storia), arzilla novantenne conosciuta dall'intera città per il suo buon cuore e la grande generosità, e del suo fedele maggiordomo Kiribaba.

Marilyn, questo bacio è per te: Massimiliano Capella racconta lo stile della diva Monroe, che fu Norma Jeane Baker

Iconic Marilyn.
Vita, passioni e fascino di uno stile unico oltre le mode
di Massimiliano Capella
Centauria, 2019

pp. 141
€ 19,90 (cartaceo)

Credeva nel potere del biondo platino, del rossetto rosso, della bellezza e soprattutto della passione, perché era convinta che senza passione non ci fosse vita. Per questo, pur essendo diventata una tra le dive più importanti e pagate di Hollywood, non si preoccupava di essere ricca, ma di essere amata. E così fu, senza dubbio alcuno. Ma le rose del successo e dell’amore, anche di quello matrimoniale – ebbe tre mariti: James Dougherty, che le mise la fede al dito nel 1942, quando non aveva che sedici anni; il campione di baseball Joe di Maggio, con cui convolò a nozze nel 1954; il drammaturgo Arthur Miller, sposato nel 1956 – non furono per lei prive di spine. Il 5 agosto del 1962, licenziata da quella fabbrica di sogni cinematografici che l’aveva consacrata come Marilyn Monroe e poi abbandonata ai suoi incubi, la diva che fu Norma Jeane Baker si spegneva per sempre, in circostanze tragiche e ancora oggi misteriose, ostaggio di un sistema senza cuore e di una sensibilità eccezionale. A lei e al suo stile immortale, che non solo ha segnato un’epoca ma ancora oggi eccita le fantasia maschili e ispira le tendenze femminili, Massimiliano Capella ha dedicato il terzo volume della collana Iconic, appena pubblicato da Centauria.

#IlSalotto - «Diventare adulti significa accettare i limiti del proprio modo di vedere il mondo»: intervista a Serena Patrignanelli

Foto per gentile concessione dell'autrice
I primi giorni di aprile è arrivato in libreria il romanzo d'esordio di Serena Patrignanelli, La fine dell'estate (NN editore), che abbiamo recensito qui. La vicenda si svolge in un Quartiere anonimo, che però assomiglia a tanti paesi italiani durante la Seconda guerra mondiale, sconvolti sì dalla miseria e dalle tragedie, ma anche rischiarati dai raggi della speranza di poter ricominciare. Perché, in fondo, l'estate si ostina a tornare e i bambini continuano a correre per le strade, vociando nei loro giochi infantili e nelle sfide di coraggio che li preparano al mondo. E qui è ambientato un romanzo di formazione e di amicizia che farà imparare ai protagonisti, Augusto e Pietro, cosa significhi assumersi le proprie responsabilità, rischiare per qualcosa in cui si crede e portare avanti un progetto, a qualsiasi costo... 
Vista la trama decisamente piena di spunti e la narrazione che ci fa respirare un periodare d'altri tempi, abbiamo intervistato l'autrice, che ringraziamo per la sua disponibilità e per averci mandato queste bellissime fotografie d'epoca. 

Serena Patrignanelli
Raccontare da vicino la storia dei nostri nonni: quali accortezze dobbiamo sempre avere? E quanto possiamo invece concedere alla fantasia? 
Direi che bisogna trovare la misura, io inizialmente ero portata a privilegiare i ricordi diretti, ma mano a mano i personaggi hanno preso una loro identità autonoma, così gli aneddoti “reali” che avevo inserito risultavano deviazioni dalla storia principale e ho iniziato a toglierli. Però hanno lasciato un’eco, credo, nelle atmosfere, nel linguaggio, nell’aspetto delle stanze e nella geografia delle strade. Alla fine, non ho raccontato esattamente i ricordi di nessuno, ma la forma delle storie coincide con la forma che hanno i ricordi, i luoghi sono raccontati coi sensi più che con l’oggettività di un romanzo storico. 

La fine dell’estate guarda da vicino il mondo dei ragazzini, con le loro ingenuità e le loro intuizioni geniali. È stato difficile narrare la storia di Augusto e di Pietro? 
Be’ considerando quanto tempo ci ho messo per arrivare in fondo, direi di sì! Credo che la difficoltà fosse stare dentro il panorama mentale di ragazzini così giovani, non potevo usare metafore eterogenee rispetto al loro mondo, dovevo rinunciare a parole che a una voce narrante farebbero molto comodo, ma che i ragazzini non possono utilizzare, né dare spazio a tutta una serie di riflessioni, perché prima di una certa età ci sono cose che non si iniziano proprio a vedere. 

Contro ogni tipo di fascismo: "Il giuramento" di Mario Carrara nell'ultimo romanzo di Claudio Fava

Il giuramento
di Claudio Fava
add editore, 2019

pp. 123
€ 14 (cartaceo)
€ 4,99 (ebook)

Appena s’abituò gli occhi allo scuro, la vide: Tilde era seduta in uno degli ultimi banchi, il busto eretto, la testa dritta, lo sguardo da qualche parte. Non pregava, e il professore fu contento. Non pregava più nemmeno lui. Come si fa a squartare i morti e pregare? Cosa gli dici al Signore quando frughi dentro i corpi e scopri solo cose guaste? L’anima non l’aveva mai incontrata sui tavoli di marmo dell’istituto di patologia. Solo ferite, malattie, sfasci. (p. 78)
Nel 1931 oltre 1.200 professori universitari ricevettero dal ministero per l’Educazione Nazionale una lettera con la quale venivano invitati a prestare giuramento, oltre che al re alla patria, anche al regime fascista e a Mussolini: «Giuro di essere fedele al Re, ai suoi Reali successori e al Regime Fascista» doveva recitare il giuramento. In 1.238 firmarono, in dodici rifiutarono. E, come Fava si ritrova a fare nella nota al termine del suo libro, anche io mi sento in obbligo di ricordare, in una sorta di rispettoso minuto di silenzio letterario, quei dodici: Ernesto Buonaiuti, Mario Carrara, Gaetano De Sanctis, Giorgio Errera, Giorgio Levi Della Vida, Fabio Luzzatto, Piero Martinetti, Bartolo Nigrisoli, Francesco Ruffini, Edoardo Ruffini Avondo, Lionello Venturi, Vito Volterra.

«Micronarrazioni personali e soggettive»: i saggi di Franzen in "La fine della fine della terra"

La fine della fine della terra
di Jonathan Franzen
Einaudi, 2019

Traduzione di Silvia Pareschi

pp. 208
€ 18,50 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)


«Se consideriamo la parola "saggio" nel senso di "prova" - qualcosa di azzardato, non definitivo, non autorevole; un tentativo fatto sulla base dell'esperienza personale e della soggettività dell'autore - potremmo dire che viviamo nell'età d'oro della saggistica» (p. 3)
Inizia così la nuova raccolta di saggi di Jonathan Franzen, sedici micronarrazioni personali e soggettive, per parafrasare la definizione dell'autore nel suo primo e sconvolgente Scrivere saggi in tempi bui. Sconvolgente perché l'oscillazione tra l'autobiografia, la saggistica e l'articolo d'opinione è continua, come nella saggistica italiana è ben raro accada. Il personal essay, amato dallo stesso Franzen-lettore torna nella sua scrittura con una naturalezza che porta il lettore a osservare ammirato i passaggi talvolta sorprendenti da un paragrafo all'altro. Nelle sue pagine vive il fascino dell'arbitrio e della soggettività spinta: non c'è informazione che non sia filtrata dalla personalità magnetica di Franzen, un po' come avviene nei suoi romanzi, in cui viceversa è possibile trovare tracce saggistiche. L'osmosi è totale, l'effetto è spiazzante e le argomentazioni non si avvalgono sempre di scientificità, ma approdano all'esperienza privata, agli incontri e alle conoscenze di Franzen. Poi, tutto torna a collimare, a unirsi secondo una conclusione estremamente razionale, molto più di quanto saremmo stati in grado di prevedere a metà saggio.

#Criticanera - Un giallo negli anni Settanta: "Milano sottozero" di Oscar Logoteta

Milano sottozero
di Oscar Logoteta
Fratelli Frilli, 2018

pp. 158
€ 12,90 (cartaceo)




Dicembre 1978. Milano si prepara a salutare l'anno che fino a quel momento è stato il più duro di un decennio che ha fatto dimenticare la leggerezza dei Cinquanta e ha incanalato la protesta dei Sessanta in un vortice di violenza politica.

La placida domenica del commissario Negri viene turbata dal tragico ritrovamento di Anna, una ragazza di appena quattordici anni impiccata nella sua cameretta. A complicare le cose, si tratta della nipote del senatore Ferrari, esponente della DC vicino a Cossiga, che allora era il potentissimo Ministro degli Interni. Puntuali arrivano le pressioni affinché il caso venga archiviato al più presto come il suicidio di un'adolescente. Ma qualcosa non convince il commissario, che senza farsi spaventare dalle minacce decide di approfondire la vita di Anna. A dispetto delle apparenze che la ritraggono come una ragazza normale, divisa tra i collettivi studenteschi (nello specifico quelli del Berchet) e l'oratorio, Anna sembra nascondere un lato sessuale che per molti, trattandosi di una quattordicenne, sarebbe opportuno rimanesse celato.

Pasqua 2019 - Appuntamento con i libri che ci hanno... sorpreso!


Buona Pasqua, lettori! 
Se in passato ci siamo dedicati ai libri da portare in tavola il giorno di Pasqua, quest'anno abbiamo pensato di condividere i libri che ci hanno sorpreso (non come certe sorpresine dell'uovo di Pasqua!). Come sempre, oltre al consiglio di lettura trovate il link alla recensione per scoprire se l'opera potrebbe sorprendere anche voi...

E come sempre, buone ottime letture! 
La Redazione

***

Alla ricerca d'Europa. Un viaggio tra le abbazie benedettine

Il filo infinito
di Paolo Rumiz
Feltrinelli, 2019


pp. 174

€ 15,00 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)



Perché l'Europa è soprattutto un atto di fede. (p. 128)

Puntualissima e fedelissima, come sempre, eccomi all'appuntamento con il mio narratore di storie "viaggianti" preferito, Paolo Rumiz. Il quale, ormai da anni, ci fa percorrere, insieme a lui, le strade più insolite e profonde dell'Italia, dell'Europa e non solo. Portando con sé, in ogni viaggio, un'idea, uno spunto, un pensiero da confermare sul territorio. O una curiosità da soddisfare. Viaggi che si trasformano in reportage giornalistici, in libri e in docufilm, grazie alla regia di Alessandro Scillitani.
L'idea che ha generato il viaggio questa volta è l'Europa, un concetto sul quale Rumiz, triestino doc (e già questo ha il suo bel perché), sta rimuginando da tempo. Un pensiero che si è fatto concreto sotto i suoi occhi grazie al suo impegno di voce narrante ai concerti della European Spirit of Youth Orchestra, un ensemble di 80 giovani musicisti provenienti da oltre 20 Paesi europei, che ogni anno si esibiscono in tournée puntando su un tema europeo.
Ma torniamo al libro, "Il filo infinito". Dopo aver vagato per le isole greche "Alla ricerca di Europa" (questo il titolo del suo ultimo docufilm) e avere scoperto che in realtà la fanciulla della mitologia greca Europa nacque in Oriente per essere poi trasportata in Grecia da Zeus, Rumiz va alla ricerca di un filo che attraversa tutto il continente europeo e che, grazie ai suoi innumerevoli nodi, forma una rete solida e antica: la Regola di San Benedetto e i monasteri benedettini sparsi per tutta Europa.

Primo è bello, secondo è meglio? Un libro di Marilena Lualdi racconta la "secondità", con poca filosofia e molte storie esemplari

L’importanza di essere secondi.
Storie di eroismo e non solo

di Marilena Lualdi
Nomos Edizioni, 2012

pp. 189
€ 14,90 (cartaceo)
€ 3,02 (ebook)



Con il suo bel costume intero a righe orizzontali e la cuffia d’ordinanza da cui sfugge qualche ciocca bionda, l’atleta è pronta allo scatto. Ginocchia flesse, braccia tese all’indietro, busto in avanti, è al massimo della concentrazione: aspetta solo che parta il conto alla rovescia e che il fischio dell’arbitro dia il via libera per tuffarsi in vasca e, finalmente, gareggiare. Per vincere, ovvio! Non ha forse tutta l’aria di una campionessa la ragazza che vediamo sulla copertina di L’importanza di essere secondi, il libro di Marilena Lualdi pubblicato da Nomos Edizioni? In effetti, osservandola un po' meglio... ecco, magari no. Non proprio. Non necessariamente. E a dire il vero anche il set, pur fotografico, non sembra mica quello di una piscina regolamentare. Quella pedana improvvisata, poi, altro non è che un cubo di legno piuttosto traballante, e pure sulla posa obliqua della fanciulla ci sarebbe da discutere. Forse, a ben guardare, non siamo davanti al ritratto di una sportiva d’esperienza: siamo di fronte al fermo immagine di un suo brutto sogno. Di sicuro, un sogno ricorrente: uno di quei sogni di pura prestazione in cui ci si rende tragicamente conto della propria inadeguatezza, si capisce che le cose non andranno come desiderato e che magari, se non si perderà, si arriverà addirittura secondi, il che sarà molto peggio. A chi di noi non capita di essere ostaggio di incubi simili? Specialmente in questi tempi così competitivi, farne a meno pare quasi una vergogna, quasi si fosse totalmente privi di ambizione. Ma tranquilli: alla fine dei conti non c’è proprio nulla per cui valga davvero la pena preoccuparsi e rovinare la qualità del proprio sonno. E l’autrice di questo libro, con pochissima filosofia spicciola e molte storie, ci aiuta a capire il perché.

Gli anni di piombo e quelli di piuma nell'ultimo romanzo di Romolo Bugaro


Non c’è stata nessuna battaglia
di Romolo Bugaro
Marsilio, 2019

pp. 217
€ 16 (cartaceo)

Sono figli di cardiologi che tengono le coppe dei tornei di tennis vinti in gioventù sulla mensola dello studio, accanto alla foto scattata sul ponte della nave durante la crociera nei fiordi, oppure figli di avvocati che amministrano gli immobili e le campagne di famiglia nella zona di Udine e Pordenone, oppure figli di farmacisti che dovrebbero proprio decidersi a licenziare Aldo, sebbene lavori con loro da trent’anni, perché non riesce più a scaricare nel modo giusto una fustella che sia una. (p. 41)

C’è un’epoca, ci dice Bugaro nel secondo lunghissimo capitolo, che del suo romanzo occupa quasi la metà, durante la quale ogni cosa è sproporzionata: le giornate sono lunghissime, e abbiamo tempo da sprecare in piazza o al bar, liberi da impegni che non siano scolastici; le amicizie sembrano saldissime e irrinunciabili, legami che paiono destinati a durare per tutta la vita; gli obiettivi sono chiarissimi e a portata di mano, perché fondamentale risulta essere in cima alla piramide sociale del proprio gruppo; gli amori sono soverchianti e lasciano senza fiato, qualcosa per cui vale la pena morire.
Così, mentre intorno si fa la storia e gli anni di piombo pesano nei corpi delle persone e arrivano nelle case attraverso i servizi al telegiornale, l’epoca dei ragazzi del muretto di Padova è segnata dalle rivalità interne fra chi vuole essere il capo del proprio gruppo e chi tenta di scalare la classifica, dal desiderio di entrare a tutti i costi alla festa più esclusiva del quartiere, da quel misto di curiosità e fame che anticipa di poco l’esplosione della sessualità della tarda adolescenza e della prima giovinezza.

L'equilibrio delle dipendenze: "Astenersi astemi" di Héléna Marienské

Astenersi astemi
di Héléna Marienské
Edizioni Clichy, 2019

Traduzione di Tommaso Gurrieri

pp. 296
€ 17,00 (cartaceo)


Ecco l’idea: smettere di classificare le dipendenze, di chiudere in una gabbia gli alcolisti con gli alcolisti, i tossicodipendenti con i tossicodipendenti e così via. Conosci bene le mie convinzioni. Alla base di ogni dipendenza ci sono un difetto nella costruzione dell’ego, così come una patologia del legame (ansia da abbandono/ansia di intrusione). (pp.13-14)
La nostra società è afflitta dalle peggiori dipendenze. Non parliamo solo delle più comuni e immediate che possono venirci in mente come l'alcol, le droghe e il gioco d'azzardo, ma anche alcune meno diffuse e che possono parere, a prima vista, quasi divertenti come lo shopping compulsivo e una libido sfrenata. Clarisse, terapeuta addictologista, sta sperimentando una nuova forma di terapia: raccogliere i suoi casi più gravi e porli a confronto tutti insieme, nella speranza che si aiutino l'un con l'altro a uscire dalle proprie dipendenze. Il sacerdote cocainomane uguale a papa Francesco potrebbe essere d'aiuto al professore universitario malato di sesso; l'ossessivo per lo sport potrebbe mostrare alla giovane e rozza drogata e alla ricca e infelice alcolista come prendersi cura di sé; l'enigmatico giocatore di poker sarebbe perfetto per mostrare la rovina finanziaria alla shopaholic. Ciò che la terapista non sa però è che le dipendenze, quasi come virus, sono trasmissibili per via aerea e possono creare un confuso e vischioso magma di vizi e peccati. Nessuno però sta dicendo che la cosa sia necessariamente un male. Soprattutto se queste dipendenze, mescolate, possono portare all'elaborazione di un sistema in grado di rendere tutti ricchi e felici.

"Il mio nome è Greta": uniti per salvare il pianeta

Il mio nome è Greta. Il manifesto di una nuova nazione, quella verde, quella dei ragazzi di tutto il mondo
di Valentina Giannella
con illustrazioni di Manuela Marazzi
Centauria, aprile 2019

pp. 128
€ 12,90 (cartaceo)


Tutti, almeno una volta, abbiamo sentito nominare Greta Thunberg, la giovanissima attivista svedese che a meno di sedici anni è riuscita a portare l'attenzione dei giovani di tutto il mondo sul problema dei cambiamenti climatici. Ma da cosa è nata la sua missione? E quali sono i punti fondamentali su cui dobbiamo focalizzare la nostra attenzione per il futuro? Cosa possiamo fare, ognuno nel proprio piccolo eppure fondamentale quotidiano? 
Queste sono solo alcune delle domande a cui risponde Il mio nome è Greta, scritto dalla giornalista Valentina Giannella e con le illustrazioni di Manuela Marazzi. I libri illustrati hanno già mostrato più volte il loro straordinario potenziale nel portare avanti idee in modo sempre più incisivo e qui abbiamo una piacevole riconferma.

Come la dea Iris: custodi dell'arcobaleno e portatrici di nuove verità. Elisabetta Rasy racconta le storie di sei pittrici di carattere

Le disobbedienti.
Storie di sei donne che hanno cambiato l’arte

di Elisabetta Rasy
Mondadori, 2019

pp. 253
€ 20,00 (cartaceo)
€ 10,99 (ebook)



Le disobbedienti, l’ultimo libro di Elisabetta Rasy appena pubblicato da Mondadori, ha una copertina deliziosamente indocile, in perfetto accordo con le Storie di sei donne che hanno cambiato l’arte raccontate dall'autrice al suo interno. Il particolare del Ritratto della principessa Carolina del Liechtenstein nelle vesti di Iris (1793) realizzato da Élisabeth Vigée Lebrun (non a caso una delle pittrici in questione) ha in sé tutte le caratteristiche di simbolo e di sibillino contrappunto che sanno fare la gioia del lettore più smaliziato. Mentre la scelta del dettaglio isola in modo molto opportuno il drappo dorato che, quasi come in un antico cartiglio, diventa sfondo per i caratteri cubitali della dicitura, l’accenno alle chiome sfuggenti della protagonista del dipinto esalta al massimo l’effetto décadrage, accentuando il mistero di una figura femminile che proprio in questa veste vive contemporaneamente oltre il bordo dell’inquadratura, tra le pagine e addirittura a monte della loro esistenza in qualità di voce narrante. Quale riferimento migliore se non quello alla dea Iris per introdurre i ritratti di Artemisia Gentileschi, Berthe Morisot, Suzanne Valadon, Charlotte Salomon, Frida Kahlo e la già citata Élisabeth Vigée Lebrun? Quale migliore accenno se non quello alla dea greca dell’arcobaleno, da cui derivano il loro nome le membrane pigmentate dei nostri bulbi oculari? Le disobbedienti parla di pittura, per l’appunto, di linee, forme e colori. Ma parla soprattutto di quegli sguardi nuovi che ne hanno segnato la storia: visioni inedite perché femminili, a lungo silenti e poi finalmente annunciate, rivelate. In tutto ciò, la vulgata che vuole proprio Iris in qualità di messaggera esclusiva di cattive notizie (agli antipodi di Ermes) non può che deporre a vantaggio dell’autrice e delle sei prescelte: il loro avvento nel mondo dell’arte, qui così bene raccontato, fu croce e delizia dei contemporanei, e una novità con cui loro per prime fecero i conti a lungo nel corso dell’esistenza.

Nero ananas: la deflagrazione di una bomba che ha distrutto vite, famiglie e relazioni

Nero ananas
di Valerio Aiolli
Voland, 2019

pp. 352
€ 17,00



È un odore di dicembre, di nebbia, di fiati. Di persiane serrate, di bandiere listate a lutto. Di silenzio.
L’incipit di Nero Ananas di Valerio Aiolli (Voland, 2019), candidato della dozzina del Premio Strega 2019, ricorda il 12 dicembre 1969, data marchiata indelebilmente nella memoria degli italiani. L’attentato alla Banca Nazionale dell’Agricoltura di Piazza Fontana mette sotto gli occhi di tutti che i bombaroli dei mesi precedenti non erano solo faziosi nullafacenti. Ma che dietro al clima di tensione politica ravvisabile nel nostro Paese c’è di più, molto di più. E che bisogna andare a ritroso nel passato per provare a spiegare gli eventi che da Piazza Fontana hanno condotto alla strage della Questura di Milano del 17 maggio del 1973.

"Come una rana d'inverno": essere donna ad Auschwitz

Come una rana d’inverno. 
Conversazioni con tre sopravvissute ad Auschwitz: 
Liliana Segre, Goti Bauer, Giuliana Tedeschi
di Daniela Padoan
Bompiani, 2018

pp. 245
€ 10,00 (cartaceo)



Anch'io volevo che la vita continuasse, non volevo, 
come la moglie di Lot, 
diventare pietra volgendomi a
guardare la città dei morti.

Ruth Klüger, Vivere ancora




Come una rana d'inverno è un'opera che si legge tutta d'un fiato e poi richiede un lungo periodo di sedimentazione e rielaborazione prima che se ne possa parlare. Non si sa da dove partire, come scriverne senza tradirne i contenuti, come dare il giusto peso all'importanza di una triplice testimonianza che diventa  in un fitto intreccio di richiami e rimandi interni, in una sensibilità condivisa  una narrazione sola, densissima di significato. L'ideatrice e curatrice, Daniela Padoan, si è trovata di fronte a un compito arduo che ha saputo gestire con equilibrio e intelligenza, come mostrano chiaramente l'"Introduzione alla nuova edizione" e la lunga "Postfazione", necessario complemento del volume. In un tempo in cui le testimonianze dirette si fanno sempre più rare per la progressiva sparizione dei sopravvissuti, in cui spesso il ricordo si limita ad una retorica sfoderata ad arte in un solo giorno dell'anno e il fenomeno della Shoah perde sempre più la sua carica di indicibilità e viene sempre più "normalizzato", o addirittura banalizzato, ritornare alle voci dirette di chi c'era è ancora più fondamentale. Infatti
quella del testimone è una figura inevitabile, che continuiamo a incontrare come perturbante e che non possiamo rendere innocua: sta lì a dirci, con la sua sola presenza, che anche noi avremmo potuto, e potremmo, essere ridotti in cenere. [...] Il testimone ci dice che il nostro mondo, insieme alla nostra tradizione di pensiero, ha fallito. [...] Il testimone che ci guarda e ci giudica è il nostro specchio. (pp. 9, 11)
Daniela Padoan sceglie di partire da qui, ma anche dalla consapevolezza che, nel ricordo, le voci maschili hanno finito per prevalere su quelle femminili: "su centoquarantanove opere di memorialistica della deportazione dell'Italia, i libri di donne, nel 1994, erano una ventina" (p. 200). Questo porta a sottovalutare un elemento importante, ovvero il fatto che l'esperienza femminile del Lager fu in parte differente rispetto a quella maschile. Non si ragiona mai, nel testo, in termini di qualità o di entità della sofferenza, non si dimentica mai che ogni racconto è un racconto a sé, specifico e irriducibile, eppure si mette in evidenza che nelle testimonianze delle donne si trovano prospettive inedite, derivate da una diversa sensibilità, da diverse priorità: 
Senza dimenticare per un solo istante che l'obiettivo dei nazisti era cancellare dal mondo gli ebrei, uomini o donne che fossero, […] riflettere sulla peculiarità delle sofferenze e delle sopraffazioni patite dalle donne, così come sul loro modo di opporre resistenza e rendere testimonianza, può però servire ad allargare di un poco l'ambito della riflessione. (p. 201)

"L'isola del Dottor Moreau": un classico di Wells da rivalutare

L’isola del Dottor Moreau
di H.G. Wells
Feltrinelli, 2019
trad. Mirko Esposito

pp. 206
€ 9,00 (cartaceo)



Un naufrago che trova all’improvviso rifugio su un’isola, dove non è un ospite desiderato. Man mano capirà di trovarsi su un’isola davvero strana, popolata da creature, che uno scienziato di fama internazionale sta creando per dimostrare a tutti le sue tesi. L’epilogo sarà tragico per qualcuno e nell’eterna lotta tra uomo e natura ognuno troverà il suo posto. Questa è la trama, per grandi linee, di un classico della letteratura inglese e fantascientifica, che stupisce per le sue implicazioni morali e la sua intuizione della deriva eugenetica galtoniana, che di lì a poco sarà al centro del dibattito scientifico. Galton infatti, cugino di Darwin, intese estendere il suo entusiasmo per la teoria del cugino, in senso lato. E mentre Darwin, nel 1859, dimostrava che ogni specie è il prodotto del suo migliore adattamento nel contesto naturale, Galton, una decina di anni dopo, teorizzò che anche l’uomo doveva essere oggetto di studio della zootecnia e da lì si arrivò in breve al passo successivo, un miglioramento della razza umana stabilita dallo Stato, quello che in molti, dagli anni Venti iniziarono a teorizzare e che Hitler applicò, infine, al suo mostruoso progetto politico. Qui la questione è ribaltata, perché degli esseri animali vengono perfezionati fino a diventare umanizzati, ma la critica la sistema, da un punto di vista pratico, morale e sociale non mancano nelle implicazioni catastrofiche del finale. Ma non fu così per i contemporanei, che nel romanzo, nato dal genio di Herbert George Wells, videro solo orrore e fastidio.

Ancora sulle spalle dei giganti (e nel loro secolo): Antonio Forcellino racconta il Cinquecento di Michelangelo Buonarroti

Il secolo dei giganti.
Il colosso di marmo

di Antonio Forcellino
Harper Collins, 2019

pp. 558
€ 16,90 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)



Dopo Il cavallo di bronzo, uscito lo scorso anno sempre per Harper Collins, un coinvolgimento particolare deve avere caratterizzato la stesura dell’ultimo lavoro di Antonio Forcellino, Il colosso di marmo, seconda tranche della saga di romanzi dedicati al Secolo dei giganti. E chissà se l’emozione provata dallo scrittore in corso d’opera è stata la stessa vissuta in qualità di restauratore al cospetto (e non è che uno degli esempi possibili) del Mosè di Michelangelo, parte della tomba monumentale di papa Giulio II a San Pietro in Vincoli. Si, perché al centro di questo nuovo capitolo di una trilogia in fieri c’è proprio il Buonarroti, altro maestro del Rinascimento italiano a lungo studiato e ammirato nella duplice veste di storico e di professionista della manutenzione. Michelangelo, dunque, scultore di quel David a cui fa riferimento il titolo del volume e che all’alba del Cinquecento diventerà simbolo della Repubblica fiorentina nonché icona eterna della bellezza italiana. Michelangelo l’artista e Michelangelo l’uomo: sempre desideroso di riscattare l’onore del cognome familiare, avvolto nella solita giubba nera o coperto di polvere bianca fin dentro le narici, armato di dieci dita dure come il più duro dei minerali eppure capaci di maneggiare con insuperabile maestria sia i ferri che i pennelli. Per il denaro, certo, ma non meno per la gloria.

Cin-cin cinismo: lo sguardo comico di Federico Baccomo sulla società di oggi

Ma tu sei felice? Romanzo a due voci
di Federico Baccomo
Solferino, 4 aprile 2019

pp. 207
€ 16,50 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)


Avete mai avuto il coraggio di chiedere a un vostro amico: ma tu sei felice? Non è una domanda che si fa tutti i giorni, per quanta confidenza ci sia. Se lo chiedono Vincenzo e Saverio, i protagonisti del nuovo libro di Federico Baccomo, davanti a un bicchiere di vino al tavolino di uno dei tanti bar che costellano le strade di qualsiasi grande città. 
Ed è così che inizia un dialogo serrato (romanzo a due voci è, infatti, l'azzeccato sottotitolo), a colpi di comicità e di crudeli osservazioni sul presente. Non mancano anche le frecciatine, perché Vincenzo e Saverio sono stati anche compagni di scuola e si può davvero dire che conoscono da una vita i vizi, i difetti e i punti deboli dell'altro. Ma di cosa parlano? Di tutto quel quotidiano che ci schiaccia, tra problemi al lavoro, mogli e amanti, figli e scuola,... Sì, e si ride: perché i rovelli di ognuno di loro, pur nella loro rappresentazione caricaturale ed estrema, sono domande che, almeno una volta, sono passate anche nella nostra testa.

#PagineCritiche - E se Socrate avesse voluto morire? Analisi del processo che contrappose il filosofo alla sua città.

Processo a Socrate
di Mauro Bonazzi
GLF Editori Laterza, 2018


pp. 172
€ 18,00 (cartaceo)
€ 10,99 (ebook)


Meleto, figlio di Meleto, del demo Pito, contro Socrate, figlio di Sofronisco, del demo Alopece, presentò quest'accusa e la giurò: "Socrate è colpevole di non riconoscere gli dèi che la città riconosce, e di introdurre altri nuovi esseri demonici. Inoltre è colpevole di corrompere i giovani. Si richiede dunque la pena di morte". (p. 18)
Sono queste le ben note parole che formulano l'accusa rivolta a Socrate da Meleto, supportato da altri due personaggi, Anito e Licone. Siamo nel 399 a.C. Atene, la grande Atene, è una città agitata dai fantasmi di un passato ancora troppo recente. L'imperativo era quello di chiudere i conti con il passato, con la guerra del Peloponneso, le liste di proscrizione, i Trenta Tiranni. Ma, come sempre, come in ogni dopoguerra, cancellare con una spugna ciò che è stato non è cosa facile. Qualcuno che ricorda, e che a causa di questo ricordo soffre, trama, cospira, desidera vendetta, c'è sempre. E la democrazia, riportata alla guida della città, sentiva di non essere ancora abbastanza forte per traguardare questo mare agitato. E' in questo contesto che si configura quello che divenne, forse, il processo più famoso della Storia. Quello che ci giunge da più antichi echi. Il processo con cui la città di Atene mise fine alla vita di uno dei suoi cittadini più onorati e più famosi, il grande filosofo Socrate. Colpevole, secondo una vulgata che ci arriva da voci del tempo, di rappresentare il passato, per le sue simpatie oligarchiche, di essere un ostacolo e forse un nemico della nuova democrazia. In una parola, di essere incompatibile con il "nuovo tempo" che Atene voleva darsi.

Amore e Psiche - la tradizione e il mito

Amore e Psiche
di Annamaria Zesi e Daniele Durante
Roma, L'asino d'oro edizioni, 2019

pp. 70
€ 28,00 (cartaceo)

Il libro di Annamaria Zesi e Daniele Durante è un vero e proprio gioiellino da intenditori. L'opera, di una raffinatezza rara, si offre al lettore in tutta la sua potenza evocativa, riuscendo nel giro di poche pagine a catturare la sua attenzione.
Al centro della narrazione il mito di Amore e Psiche, riproposto qui in una innovativa veste grafica e accompagnato dalle bellissime illustrazioni di Daniele Duranti. L'autrice dei testi, Annamaria Zesi, che ha svolto la propria tesi di laurea proprio sulla storia di Amore e Psiche, ha già all'attivo una pubblicazione sullo stesso tema, Storie di Amore e Psiche (L'asino d'oro), in cui porta avanti una trattazione sulla fortuna di questa favola. La profonda conoscenza della materia è evidente nel Prologo, in cui la Zesi ci racconta le origini del mito:
«Non sappiamo dove, né chi fu, a raccontarla per la prima volta; l'abbiamo sentita da cento e cento narratori ovunque nel vasto mondo: in Cina, in India, in Persia e in Turchia. In fondo all'Africa, all'incrocio dei due mari, la raccontano gli zulu, più su, tra le coste e il deserto, i berberi. Grecia, Italia, Francia e Spagna, le terre intorno alla foresta nera, quelle sulle rive del Baltico, quelle bagnate dal mare del Nord… e tanti altri paesi ancora ha percorso la nostra storia. […] Un poeta africano di nome Apuleio, per primo prese tavolette e stilo, e la scrisse. O almeno sua è la prima versione scritta arrivata fino a noi.» (p. 4)

La semplice perfezione della vita e l'equilibrio dell'Universo nel nuovo romanzo di Jostein Gaarder

Semplicemente perfetto
di Jostein Gaarder
Longanesi, 28 marzo 2019

Traduzione di Ingrid Basso

pp. 132
€ 14,90 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)


Non tutto si può spiegare: come i misteri dell'Universo, che sono state studiate senza però riuscire ad arrivare alle cause ultime; o come le scelte che può vagliare un uomo che ha appena scoperto di avere i giorni divorati inesorabilmente da una malattia inguaribile. 
Albert, professore che vive con gioia la sua professione, marito, padre e nonno affezionato alla sua famiglia, si trova ad affrontare da solo una scoperta sconfortante: i disturbi al braccio non sono trascurabili come ha pensato; gli viene infatti diagnosticata la Sclerosi Laterale Amiotrofica. Ecco che allora Albert decide di approfittare della lontananza della moglie Eirin, per lavoro in Australia, e si ritira nella Casa delle fiabe, la baita che ha visto nascere il loro amore, anni prima, e che ha conservato molti ricordi della loro storia famigliare. Gli episodi salienti, poi, sono tutti scritti o disegnati su una sorta di "libro di famiglia", dove adesso Albert si trova a ricapitolare la sua esistenza.  Dunque, è vero che Albert ha deciso di togliersi la vita, escludendo tutti dalla sua decisione? 

"Angeli Terribili" di Gianni Barbacetto: una storia di frontiere a nord del Nordest

Angeli Terribili
di Gianni Barbacetto
Garzanti, 2018

pp. 209
€ 16,60 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)

Qui giace Cruchi, uomo iniquo e perverso, pregare per lui è tempo perso.
Comincia con uno strano epitaffio e una storia che lo colpisce fin da bambino, il libro del giornalista Gianni Barbacetto. Si tratta del ricordo di un certo Cruchi, a Ravascletto, in Carnia, luogo famigliare per lo scrittore, visto che da lì provengono i due genitori, prima del trasferimento a Milano. Ma chi è davvero quest’uomo che una lapide così tremenda condanna all’odio e all’oblio? Un partigiano o una spia fascista? O semplicemente una vittima? 
Da questi interrogativi parte l’indagine, al confine tra storia personale e Storia italiana, che è anche la nostra memoria storica, che abilmente e con maestria da grande narratore, e fiuto e intuito del bravo giornalista, Barbacetto ci racconta. Sull’identità misteriosa di Cruchi e su altri protagonisti di quegli anni si concentra l’attenzione dell’autore.
Nel 1943 a Ravascletto ci fu uno strano incontro che fece lavorare i carabinieri e dannare i fascisti. Protagonisti: Cruchi, una donna e un personaggio misterioso. (p. 53)
Questo libro indaga su uno degli argomenti più dibattuti e più controversi dell’Italia durante il secondo conflitto mondiale, ovvero la nascita e lo sviluppo del movimento partigiano; in particolare degli albori del movimento in Friuli, luogo di origine dell’autore. I protagonisti sono uomini su cui il passato ha posato troppo spesso dei giudizi impietosi, vittime di una contro-resistenza che li ha raccontati da vili invece che da eroi, in seguito alla lotta fratricida che vide nell’evolversi della resistenza un suo immorale e inverosimile seguito. Fratelli contro fratelli, uomini contro uomini, tutti da una parte prima e tutti contro tutti, poi. Italiani contro tedeschi, fascisti contro comunisti, friulani contro cosacchi, partigiani veri contro finti partigiani.