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#ScrittoriInAscolto - Noterelle su etica, ospiti e incontri.

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Per un'etica dell'ospitalità
di Francesco Piantoni
Qiqajon, 2017

pp. 85
€ 9,00



Un piccolo libro per un grande soggetto: quello di Francesco Piantoni è uno studio di ampio spessore concettuale che non intimidisce il lettore con il suo spessore fisico. L’autore è stato ospitato dalla libreria Feltrinelli di Verona, insieme a Marco Dal Corso, docente di Teologia del dialogo presso l’Istituto di Studi Ecumenici San Bernardino di Venezia, Gabriele Argiolas, coordinatore di CGIL-INCA, dove si occupa dello Sportello Migranti, e Damiano Conati, collaboratore della cooperativa sociale della Caritas veronese “Il samaritano”.  
Introdotto e accompagnato per l’intera durata della presentazione dal bravissimo moderatore, Francesco Piantoni ha porto la parola al pubblico con una delicatezza e una pacatezza accattivanti, coinvolgendolo in un viaggio attraverso il tempo e la letteratura. Laureato in filosofia, la sua non è però una prospettiva astratta, bensì quella concreta di chi lavora quotidianamente in una cooperativa, che l'accoglienza la vive e la pratica attivamente. Fin da subito corregge la presentazione entusiastica dei suoi interlocutori, chiarendo di essere un “ricercatore” solo nella misura in cui "ricerca", si pone domande, per non cedere alla barbarie disumanizzante che pare essere la soluzione più facile ai nostri tempi.
Se, come postilla Dal Corso citando lo psicologo sociale Kurt Lewin, "Non c'è niente di più pratico che una buona teoria", il percorso di Piantoni è interessante perché consente di affrontare problemi logorati e spesso banalizzati dal dibattito pubblico con una prospettiva nuova: la novità dell'approccio al tema dell’ospitalità consiste nel non indugiare tanto sui rapporti con l'altro, quanto su quelli con sé stessi, con la definizione della propria identità. Respingendo l’altro, infatti, io dimentico una verità di me, il fatto che io per primo sono stato accettato e accolto da un’alterità. 
Di fronte alla mole di notizie che ci bombardano quotidianamente, spiega Piantoni, ci si smarrisce sempre più in tecnicismi perdendo di vista il problema dell'individuo, del mio fratello, il cui sangue forse mi sporca le mani e di cui sono, pur desiderando spesso il contrario, responsabile. A queste riflessioni invitava anche il papa in visita a Lampedusa, ci ricorda l'autore, senza peraltro lasciar mai scivolare su un piano esclusivamente religioso un discorso che è primariamente sociale e, perché no, letterario. Solo nel momento in cui ne riconosco l'identità, l'individualità di persona (ne conosco il nome), l'altro cessa di essere una minaccia, un'alterità assoluta, e diventa il mio prossimo. Questo processo di accettazione, e quindi accoglienza, è però inseparabile da un discorso etico, che coinvolge il soggetto e ne rimette in discussione le convinzioni. In particolare, rifacendosi al pensiero di Jacques Derrida, l’autore sostiene che non si dà etica che non sia quella dell’ospitalità:
Il termine greco éthos, da cui la parola ‘etica’ […], significa dimora, abitazione, soggiorno, e dunque in accezione morale l’essere presso di sé e l’abitare a casa propria[;] allora il solo fatto che ciascuno di noi abbia un éthos – una casa piuttosto che un’etica, oppure, meglio ancora, un’etica come casa, – implica un fuori, rinvia a un’esperienza di alterità in generale. L’identità di quella casa, il modo stesso in cui è costruita, sarà il frutto di un incontro con ciò che sta fuori dalla casa stessa. E tale esperienza di alterità non si può fare senza un’accoglienza dell’altro, a partire da ciò che siamo, sulla soglia della propria casa (11). 
Per riscoprire questi valori bisogna, secondo Piantoni, tornare alle radici, duplici (bibliche e classiche), della nostra cultura. Le due tradizioni, che paiono irriducibili l'una all'altra, sono in realtà accomunate dal fatto che, quando ci si confronta con lo straniero, c'è sempre il divino in gioco. Nel mondo antico, lo straniero andava accolto e tutelato come qualcosa di sacro, perché c'era sempre la possibilità che si trattasse di un dio sotto mentite spoglie; anche quando non era così, tuttavia, poteva costituire una via di accesso a una verità altra, su di sé prima che sul mondo. L’antichità ci aiuta anche a decifrare i segni, a capire in quale modo interpretare l’ospitalità, che è sempre incondizionata, ma non incosciente, ovvero è sempre frutto del rispetto e della tutela della differenza connaturata alle due parti che si incontrano (solo se conosco e difendo la mia identità, non temo il confronto con quella altrui).
Nell'Odissea, racconta Piantoni, Ulisse sbarca sull'isola dei Feaci ed è naufrago, è nudo... Nausicaa dal canto suo non sa come avvicinarsi, se avvicinarsi. Tutto questo è molto attuale. La cosa inattuale è l'accoglienza del re Alcinoo, che fa sedere lo straniero su un trono, al proprio fianco, nel posto destinato al proprio figlio, Laudamante. Non è forse allora naturale che i figli percepiscano questa "invasione" come un'espropriazione violenta? La risposta che ci viene suggerita è che noi dobbiamo abbandonare la prospettiva dei figli per adottare quella dei padri. Certo, l'accoglienza richiede degli spazi specifici, delle specifiche modalità: Ulisse viene fatto dormire nel portico, non nel cuore del palazzo, il luogo dell'intimità domestica. Esiste infatti una cultura della soglia, che ci ricorda di uno spazio intermedio, “rispettoso della diversità di ognuno” (64; è interessante il parallelismo che si può creare tra questo passo e quello biblico dell’incontro di Abramo con i tre angeli/stranieri). 
Il problema che affligge la nostra società è la tendenza a passare dall'indifferenza (il mancato riconoscimento dell’altro) all'ostilità (il riconoscere l’altro come nemico): questo avviene consolidando i miti e trasformando gli altri in "barbari". I barbari, quelli che facevano “bar-bar”, tradizionalmente erano separati dai romani da una radicale incomunicabilità, e quindi risultavano inaccessibili, quasi inumani. L’associazione è quindi pericolosa: se l'altro è ospite va tutelato, ma se è un barbaro va eliminato. Solo una prospettiva etica ci salva da questo rischio:
Se si rappresenta lo straniero come qualcosa di positivo, il nostro atteggiamento verso di lui sarà improntato all'apertura, alla curiosità, alla collaborazione. Viceversa, se la nostra rappresentazione è negativa, il nostro orientamento sarà improntato alla prudenza, alla paura, all'ostilità, allo sfruttamento, alla violenza in ultima istanza (26-27).
Di fronte alla polemica di chi chiede perché non si parli di numeri, di soldi, di finanze e di sostenibilità, Piantoni con garbo (quasi a rispecchiare concretamente l’idea di l’accoglienza dello “straniero”, cioè di chi ci è estraneo, di cui ha parlato per quasi un’ora) risponde che tornare alla classicità, alle storie, invece che ai numeri, ha ancora un senso: vuol dire dare, al lupo che si ha dentro, qualcos'altro da mangiare rispetto al Mein Kampf che aveva in casa, per esempio, il killer di Macerata.

Carolina Pernigo