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Dallo stato di natura alla società: quando si smette di essere "umani"?

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La ragazza selvaggia
di Laura Pugno
Marsilio, 2017

pp. 174
€ 16,50 (cartaceo)


Quando si inizia a leggere La ragazza selvaggia, si crede di aver cominciato un romanzo distopico, ambientato in una riserva naturale singolare, dal nome quasi fatato (Stellaria), dove si prova a riprodurre la ferinità, analizzando l'interazione tra animali selvatici. Sembra impossibile la scelta di una biologa, Tessa, di ritirarsi a Stellaria in una solitudine che ha dell'eremitaggio, per analizzare quanto sta avvenendo, come sembra assurdo che nella foresta sia sopravvissuta una bambina, divenuta donna e regredita allo stato primordiale di "ragazza selvaggia". Invece, quando si supera il primo stupore, si osserva che Stellaria è certamente inventata, ma potrebbe esistere, in un mondo come il nostro che vuole addomesticare la natura, studiarla e modificarla a proprio piacimento. 

E dunque, come mai una ragazza selvaggia vive prima con il proprio cane-lupo e poi da sola nel bosco? Come può sopravvivere? Tessa è al corrente delle brevi apparizioni di questa creatura, di cui conosce anche il nome: Dasha Held. Dasha, scomparsa dieci anni prima mentre giocava nel bosco con la gemella Nina, è stata cercata a lungo dal padre adottivo, Giorgio Held, imprenditore che aveva sperato di risollevare la moglie dalla depressione per la propria sterilità portando a casa due ragazzine di Cernobil. Fin dall'inizio, però, Nina si è presentata come l'opposto di Dasha: la prima, solare, curiosa e pronta ad apprendere la nuova lingua e la nuova cultura; l'altra, ugualmente bella, ma muta e diffidente. Selvaggia, verrebbe da dire, prima ancora della sua sparizione nella riserva di Stellaria. 
È il ritrovamento di Dasha, ferita, nella foresta e il salvataggio da parte di Tessa a mettere in moto l'azione, che si svolge sempre con frequenti interruzioni per affondare nel passato e comprendere meglio cosa ha portato Giorgio Held a cercare per anni la figlia scomparsa, che invece ha fatto mantenere a Tessa il segreto di avere già avvistato Dasha, perché adesso Nina si trova in coma,... 

Ma c'è anche il presente: nella bolla della villa di famiglia, Giorgio Held riproduce un habitat per Dasha, chiama specialisti perché aiutino la figlia a ritrovare la sua umanità. Senza volere, la ragazza si trova in una sorta di gabbia dorata, in cui non c'è spazio per il calore umano, né per la libertà. D'altro canto, anche la famiglia Held si trova a sconvolgere nuovamente l'equilibrio difficilmente recuperato. 

Il mito del buon selvaggio, tanto coltivato durante l'Illuminismo, ravvisava nell'esotico un ritorno ai valori primordiali, ripuliti dalla corruzione e realmente genuini. Nella Ragazza selvaggia tutto questo manca: la ferinità di Dasha genera disgusto e sospetto, paura e profonda preoccupazione. L'unica soluzione possibile, per tornare ad amare Dasha, è addomesticare la ragazza, lenire le sue asperità e quindi farla rientrare a pieno titolo nell'almeno apparentemente rassicurante categoria degli esseri umani. 
Il tema della natura, tanto caro a Laura Pugno, già presente nel suo Sirene d'esordio, torna a essere analizzato nel suo rapporto problematico con l'uomo. Certamente l'idea del romanzo è interessante, per tutti i retroscena che presenta, ma la sintassi fortemente paratattica, la scrittura scabra, lontana da qualsiasi uso aggettivale non fondamentale, il raro scavo nelle emozioni dei personaggi creano un effetto di gelo. Di certo sarà stato tutto preventivato dall'autrice, scrittrice attenta e letteraria, non lo si mette in dubbio, però durante la lettura l'effetto di straniamento è fin troppo potente: la storia, potenzialmente drammatica fino al patetismo più estremo (oltre alla scomparsa di Dasha, i vari personaggi fanno i conti con depressione, desideri suicidi, incidenti, drammi di varia natura,...), rifugge il rischio di empatia col lettore in direzione di una freddezza eccessivamente distanziante, quasi cronachistica.

GMGhioni