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#paginedigrazia - "L'ombra del passato" che perseguita e affranca, parabola del nostro intimo io

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L'Ombra del passato
di Grazia Deledda
Ilisso, Nuoro, 2009

prefazione di Dante Maffìa

pp. 304
cartaceo € 11
ebook € 4,90



Nell’Ombra del passato, romanzo che uscì sulla Nuova Antologia nel 1907, troviamo una Deledda diversa eppure fedele, in qualche modo, agli intenti del suo tempo e della sua scrittura. Il tema del romanzo, diviso in due parti, si concentra sull’infanzia e la maturità del protagonista, Adone. Ma attraverso il punto di vista del piccolo e poi maturo uomo di campagna, nato e cresciuto nella bassa padania, si concentrano anche tutte le aspirazioni e le disillusioni di un’intera comunità, a tratti complice, a tratti avversa, sempre amata, pur nelle idee di rinnegata fuga, nella volontà di espiazione, apparentemente cristiana, di un destino che piega i deboli ma che porta, nella sofferenza alla via della conoscenza degli altri e infine di se stessi. Adone rincorre il proprio destino pur nell’esasperata volontà di fuggirgli. 
I temi cari dell’abbandono e dell’ingiustizia sociale, si trasformano nel romanzo in un’epopea corale, è il destino di un’intera nazione quello della piccola comunità sulle rive del Po. E la Deledda conosce bene il sentimento di deprivazione, che il suo soggiorno mantovano non fa che acuire, nell’eterna speranza che andare sia affrancarsi, e nell’assoluta certezza che in nessun luogo si potrà essere felici se strappati alle proprie radici. Ma non sono solo le radici a fungere da eco costante e impietosa, ancor di più è la certezza di una vocazione che nel ragazzo è volontà e sete di giustizia, nel suo sogno infantile di divenire maestro, al cospetto di una povertà che abbrutisce anche i legami parentali, che sottrae beni materiali e cure materne.

La figura femminile è un ambiguo miscelarsi di motivi metaforicamente legati alla terra, la donna è come la patria, madre e matrigna, nega e rinsalda, promette e non mantiene e infine, come sirena ad Ulisse, nel suo canto che quasi annega, la mamma povera e lontana e l'insensibile zia Tognina non colmano il bisogno d'affetto del ragazzetto e lo portano ad una primordiale diffidenza, la dolce Maddalena appare come terra promessa, lido nuovo e per questo più accattivante, mentre Caterina, custode silenziosa e cara degli affetti primordiali si perde nel suo essere così legata a valori in cui non si intravede più un briciolo di giustizia; ma è solo un momento, poi tutto ritorna al suo posto.

Un piccolo mondo di miniature appare questo borghetto lombardo, soprattutto all’inizio, così macchinoso e terribile, un’ombra proiettata dalla luce, in cui i temi cari della natia Sardegna sono quasi tutti presenti, ma in tono minore e scomposto, come il Po non può somigliare al mare, così la vita fredda dell’inverno nebuloso non può che essere affrontato col mantello grande e brutto dell’infanzia negata, la primavera è un lungo susseguirsi di negazioni e il momento in cui la bellezza selvaggia dell’isola è al culmine, diventa nel romanzo un’estate lunga di finzioni, lavori nei campi e teatranti in attesa di nuovi copioni.
Eppure stupisce la facilità in cui la scrittrice si impadronisce di motivi cari a questa parte d’Italia, nel linguaggio, nei rituali di una quotidianità svelata, nelle paure e negli accenti, ora sommessi, ora urlati, di cui i suoi abitanti si alimentano.

Tutto ruota attorno ad una comunità famiglia in cui però mancano le figure di riferimento, e i sostituti, quasi giganti per un’infanzia ingenua e credulona, nei loro discorsi contro le ingiustizie e per i lavoratori, si rivelano solo marionette di uno spettacolo troppo difficile da portare a compimento. Così Davide, figlio di uno zolfannelajo, fuori dagli schemi per la sua istruzione e per l’acuta intelligenza, ubriacato di principi socialisti e di voglia di rivalsa sarà poi primo complice del destino amaro del piccolo Adone, come il maestro che non si fa mai del tutto da parte a favore del giovane allievo, in un universo distorto in cui tutti i buoni muoiono presto, forse anche prima di scoprirli malvagi, e per questo idealizzati, e i ricchi, pur con un nuovo viso gentile tramano verso il mondo antico degli affetti e dei valori, per noia e per capriccio.

Gli pare che tutti si burlino di lui; tutti si son burlati di lui, sempre. Anche Maddalena, che non sa come passare il tempo, vuole divertirsi, come quando curava i bambini poveri "che avevano un cattivo odore". L’odore della miseria.

Quando il mondo degli uomini delude è la natura a sollevare le sorti dello spirito, nella sua bellezza muta ma esibita, la maestria della narratrice diventa magnifica, torna a lenire il cupo grigiore dei rapporti umani coi suoi toni più gentili, a volte ne accompagna gli intenti, altre, ne lascia presagire le disgrazie:
Le macchie delle isole e i boschi della riva si riflettevano taciti nell’acqua lattea, con profili indecisi, come nelle sere di luna. I colori della vegetazione, il grigio dei pioppi, il verdolino chiaro degli scopeti, il giallo di qualche salice, la figura stessa del barcajuolo, dai capelli argentei e gli occhietti verdastri, avevano sfumature verdastre da pastello.

Da un punto di vista critico, in questo romanzo la Deledda si discosta del tutto dai temi cari al verismo, perché i suoi piccoli eroi confitti non sentono il peso dell’impotenza, ma cercano in ogni modo la fuga, forse più sorretti da una manzoniana provvidenza, che si abbatte sulle loro scelte senza lasciare scampo, seppur di quei temi cari a Verga, se ne senta l’eco, la vena nostalgica di cui il romanzo è intriso lo rende più simile ad una lotta romantica, a un decadentismo bucolico, dove non è il mondo ancestrale il rifugio contro il male della società, ma ne è il custode crudele. I valori del cattolicesimo appaiono bigotti e ottusi, legano donne e uomini a superstizioni e non a ideali metafisici, in un luogo in cui lo spirito sembra assente, ma nemmeno la parabola socialista è libera dal marciume, essendo più ideale che praticabile, nell’eterno ciclo in cui chi nasce povero anela ad una giustizia morale mai realmente attuabile. Ecco la descrizione in cornice, di un modernissimo quadro della politica di ogni epoca, dipinto in questa dicotomia tra legge morale e utilità pratica. Nemmeno il dolore e la morte rendono allo stesso modo giustizia ai vivi e ai morti, ma forse in punto di morte, nella partenza ultima ed estrema, coloro che hanno fatto della sofferenza un’abitudine vengono riconosciuti con più dolcezza:
Tutto era pace, silenzio; il palazzo sembrava disabitato: la morte dei ricchi è diversa da quella dei poveri. Viene attesa con calma, con rispetto; e par che Essa giunga silenziosa e solenne come una regina che si degni di visitare i suoi sudditi migliori.


È quasi un’onda che si allarga su questo primissimo bianco e nero iniziale del povero contro il ricco, che racchiude in se via via altre dicotomie: il piccolo contro l’adulto, l’infanzia contro la maturità, la cura contro l’indifferenza, la fede contro la politica, il mondo reale contro il sogno, l’essere e l’avere. Un romanzo questo, che parlando di separazione contiene in potenza anche il seme della maturità, del distacco, della crescita, rendendo internazionali i temi prima solo legati al contesto territoriale, fortemente influenzato dalla presenza forte della sua isola, dove l’eco delle letture degli amati autori russi torna prepotente, con la politica, l’interesse economico, la rilettura critica di alcune figure centrali della vita della piccola comunità. Attraverso il superamento per il mero dato legato alla “roba”, alla ricchezza come elevazione sociale, attraverso il disprezzo di Adone, uomo del popolo, affascinato dalla borghesia ma anche schifato dai suoi dettami morali, dalla noia, dalla superficialità, dalla pallida bellezza cinica, si arriva ad un respiro nuovo, più europeo, più moderno, più consapevole. 
Egli vide in sé come la personificazione d un popolo intero! Egli era stato allevato come questo popolo schiavo, sotto la frusta dei tiranni ed era stato derubato e deriso, e la sua mamma, come la Santa Madre del popolo oppresso, pur sapendo di commettere un’ingiustizia abbominevole, gli aveva insegnato ad essere vile.
e infine la catarsi:
Ora tutto si ribellava in lui. Egli si sentiva un altro; si rizzava come lo stelo piegato dal vento; apriva gli occhi stupiti. Voleva godere la vita, la sua parte di bene. Via ogni scrupolo, ogni stupida paura. Egli vuole sottrarsi all’ombra del passato che lo avvolge ancora come un tempo il mantellaccio rattoppato.

Ma è solo un’apparente liberazione dal destino già segnato, dal richiamo forte alla responsabilità e al grido interiore, alla graduale certezza che Adone ha inseguito per tutto il tempo, senza potersene davvero affrancare mai, che in un barlume si schiarisce in fondo:
La lettera non ha ottenuto risposta. Ma ora tu puoi procedere egualmente verso l’avvenire, perché puoi fidarti, se non in tutti, almeno in uno dei tuoi fratelli: il più intimo, il più sincero: in te stesso.

Samantha Viva