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"La settimana bianca": l'orrore cartesiano di Emmanuel Carrère

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La settimana bianca
di Emmanuel Carrère
Adelphi, 2014

Pp. 139
€ 16,00




La settimana bianca è il vertice della produzione di Emmanuel Carrère, e non solo in senso qualitativo. Proprio come la cima di un monte, questo breve romanzo si pone al centro tra i due versanti della carriera dello scrittore parigino, ovvero tra una prima fase “tradizionale” e caratterizzata da opere di finzione e il periodo della maturità, in cui Carrère ha iniziato a scrivere dei romanzi intellettuali incentrati sulla ricostruzione e sull'investigazione di eventi reali, spesso a sfondo autobiografico. Segnando il punto massimo della potenza creativa di Carrère, La settimana bianca è al tempo stesso un'anticipazione di quello che seguirà, ovvero del sempre più stretto e sempre più complesso rapporto di Carrère con il reale.

Detto questo, La settimana bianca è un racconto dell'orrore. Più a fondo, Carrère sembra tentare di individuare l'orrore con il massimo rigore possibile, trovandone una definizione esatta in forma narrativa. Non si tratta dunque di un racconto di paura, o di un thriller, ma di una breve storia capace di tracciare con precisione maniacale le coordinate di una condizione emotiva difficilissima da inquadrare allo stato puro.

La storia è semplice. Un giovane ragazzino timido e piuttosto impacciato deve recarsi in montagna con la sua classe per una gita. Si tratta della sua prima volta in viaggio senza i genitori, completamente alla mercé dei suoi compagni di classe. La storia procede lentamente, elaborando tassello dopo tassello un senso di disagio che coglie il lettore alla gola, sulle punte delle dita, evocando sensazioni di umidità e assenza di controllo. Il piccolo Nicolas è ancora un bambino in un mondo fatto di ragazzi, e tutto il romanzo viene giocato sul culmine di questa esperienza di passaggio, preparando e ritirando costantemente la promessa di una crescita. La settimana bianca potrebbe essere, e all'inizio fa credere di essere una storia sul passaggio repentino all'età adulta. Ad attendere il lettore invece si trova l'atrocità di un destino, la verità di un dramma familiare che proietterà intorno a Nicolas l'aura di un'esistenza condannata alla sventura.

L'orrore descritto da Carrère riesce a separarsi chirurgicamente anche dal proprio parente più stretto, il disgusto. Nessun corpo deforme, nessuna apparizione raccapricciante per il lettore, ma purissimo orrore morale, generato dalla visione di un innocente posto sull'altare sacrificale per una colpa non sua. Carrère erige lentamente e con raffinatezza una gabbia emotiva intorno al lettore, in cui le sbarre sono composte dall'assurda mole di dettagli utilizzati per ricreare la psicologia della perfetta vittima. In questo, La settimana bianca ha qualcosa dell'iperrealismo emotivo di Philippe Forest, si libra in una dimensione troppo pura, troppo perfetta per il reale stesso. Nessun dettaglio sfugge all'economia della narrazione, nessun elemento appare in scena per caso: solo in questo modo un breve racconto su una vacanza in montagna può trasformarsi nella chiave di volta della carriera di uno dei più importanti scrittori francesi contemporanei.


Come Carrère riporterà altrove, La settimana bianca viene scritto durante il lavoro del suo L'avversario, celebre romanzo-verità sulla tragica vicenda di un familicida. Le due opere sono gemelle, e mostrano faccia a faccia i due cartesianismi dello scrittore parigino. In un primo senso c'è infatti la già menzionata precisione nel descrivere, l'esattezza rigorosa nel calibrare emozioni e personaggi, elementi scenici e svolte narrative. In un secondo senso, proprio a partire dall'Avversario Carrère sembra confidare in una realtà che prende vita solo attraverso la mediazione della penna: come il Dio cartesiano, è la scrittura per Carrère a garantirci che il mondo è vero, che in esso gioie e orrori, avventure e tragedie possono coesistere nonostante la loro apparente mancanza di senso.