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XXI SECOLO di Paolo Zardi

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XXI SECOLO
di Paolo Zardi
Neo edizioni, 2015

Cadeva una pioggerellina solforica, oleosa – merda liquida, il cui tonfo si mescolava al vago profumo di un principio di primavera. Gli alberi, che ormai credeva rassegnati a un inverno perpetuo, avevano concesso qualche foglia qua e là, straccetti grigi e mesti, il minimo sindacale per riaffermare lo status di esseri viventi.

 Darwin la chiama lotta per la sopravvivenza, ma poco ha a che fare. Il panorama è dell’apatia, evasione e abbandono del Paese in uno status di rassegnazione simile ad un ictus, che colpisce e riduce all’immobilità, stato vegetativo diffuso e silenzioso, come quello di Eleonore, la moglie del protagonista. 
Il protagonista è anonimo (alla maniera di quelli dei racconti), di cui Zardi, evidentemente, vuole ben definire  il ruolo ma non l’identità; è un uomo che va in giro a parlare di acqua morta e depurarla con un filtro portatile, “in tempi d’ira”, di gente becera, un uomo qualunque: 
troppo brutto per la tragedia, troppo bello per la farsa, terribilmente noioso per la commedia.
Un secolo che il lettore pensa chimerico, ma ritrova sulla strada, grigia, come il futuro di cui si dà notizia, in fin dei conti non distorto, ma potenziamento dai caratteri del nostro XXI secolo, raccontato con toni franchi ─ a volte quasi fastidiosi da sopportare ─ che dicono così è, ma senza morale.
Giunto fra i dodici candidati finalisti al Premio Strega 2015, XXI SECOLO, è intanto un romanzo distopico, poi famigliare; Paolo Zardi ripropone – così come aveva già fatto ne Il Signor Bovary – il tema del tradimento, elemento drammaturgico galvanizzante della narrazione. La problematica è la stessa: la riflessione sul rapporto di coppia, sui suoi meccanismi di funzionamento e gli assi portanti che lo costituiscono (i figli ad esempio); ciò che muta, drasticamente, è però l’angolo visuale, questa volta è un uomo pulito ad essere tradito, alla ricerca delle ragioni di quell’atto, tanto antico e convenzionale. La trovata del tradimento tende a diventare quasi una 'soluzione professionale', la via per una riflessione esistenzialista. 
Zardi, col suo taglio sempre originale, si fa interprete di una realtà dai tratti d’atmosfera post-bellica, reminiscenza dei personaggi  beckettiani d’Endgame, indotti ad una sopravvivenza forzata, in un contesto di vite sciatte, che guardano al futuro come una liberazione dall’indifferenza.
La lingua, ricca di metafore (tecnicismi spesso eco di una realtà lavorativa meccanica) e aggettivi caratterizzanti, fa da protagonista. La scelta stilistica è essenziale, è pensata, i personaggi usano un linguaggio medio, parlano come si parla oggi, mentre il narratore si distingue nelle descrizioni spesso apocalittiche di gente che tira avanti per inerzia, intervallate da momenti di brillante ironia. Il grigio è la tonalità cromatica predominante: terapia intensiva, crisi economica, gente che abbandona il Paese, cane grigio, case improvvisamente vuote, un testimone di Geova che assalta una moschea, Brasile, Russia e Mondo in conflitto ─ una sorta di Guerra Fredda ─ in cui non si vedono soldati.
È un’effettiva fine del mondo, peccato che abbia i caratteri del presente.


Isabella Corrado