Pillole d'Autore: "Le fragili attese" di Mattia Signorini

Alla periferia di una grande città sorge la Pensione Palomar, un vecchio edificio a due piani gestito da un uomo quasi ottantenne che la vita ha portato lì cinquant'anni prima, per caso o per destino.
Si chiama Italo e ha deciso di chiudere per sempre la Pensione.
In questo luogo, dal nome di calviniana memoria tanto caro a Mattia Signorini, si incontrano le storie di personaggi diversi, tutti in qualche modo in attesa.
Sono vite che si passano accanto sfiorandosi appena ai lati della grande città, lontano dalle metropolitane e del rumore.
C'è Lucio, un uomo alla ricerca del padre che non ha mai conosciuto; Guido, un professore d'inglese che spera in una seconda opportunità; Ingrid, che per paura di amare ancora gli altri è diventata incapace di amare se stessa; Adolfo, un Generale che anche nei sentimenti è sempre in trincea; Emma, la domestica della Pensione che non ha mai avuto l'occasione di andare lontano e sogna il cielo della Giordania perché dicono sia pieno di stelle.
Infine c'è Italo, che è fuggito lontano dalla sua campagna e dai ricordi di giovinezza ma continua a essere braccato dal passato che torna come a ondate e fa ancora male.
Per non cedere ai ricordi si è rifugiato per quarantasei anni nelle vite comuni dei suoi ospiti, raccolte e sommate l'una all'altra nelle stanze della Pensione Palomar.

Di donne, fughe e conquiste: intervista a Valeria Ancione

Abbiamo avuto già modo di parlare di La dittatura dell'inverno (Mondadori, 2015), primo romanzo della giornalista sportiva Valeria Ancione (leggi qui la recensione di Mattia Nesto). Ho incontrato Valeria in un soleggiato pomeriggio pisano per farle qualche domanda sul suo libro, un romanzo di amori, fughe e riscoperte che mette in discussione molti pregiudizi.

La dittatura dell’inverno è il tuo esordio narrativo, ma hai alle spalle una lunga esperienza di scrittura giornalistica. Cosa cambia quando si passa a un altro genere di scrittura?
Non cambia nulla, nel senso che la mia scrittura è rimasta la stessa. Forse, al contrario, adesso è diventato più difficile scrivere le “venti righe”, la scrittura veloce del giornale.

Perché La dittatura dell’inverno non è certo un romanzo di corto respiro. A questo proposito, com’è nata l’idea di raccontare questa storia?
La dittatura dell’inverno nasce in una “freddissima” giornata d’inverno – c’erano diciassette gradi! – in cui questo mio amico psicologo smaniava contro il tempo. E a un certo punto ha esclamato: «L’inverno è una dittatura». E io l’ho guardato e ho pensato: questo è il titolo che vorrei dare al romanzo. La dittatura dell'inverno è un libro nato tutto al contrario: è nato prima il titolo. Il mio amico mi ha massacrato perché cominciassi a scrivere il romanzo, e quella che ho scritto per prima è la parte che poi è diventata quella finale.
Il resto è venuto tutto da sé: avevo voglia di raccontare la storia di una donna che, arrivata ai quarant’anni, esce dalla maternità – gli ultimi due figli, due gemelli, hanno sei anni e vanno in prima elementare – e rivede un po’ la luce. Una luce molto riflessa su di sé, e che passa attraverso il corpo. Noi donne facciamo passare tutto attraverso il corpo, nel bene e nel male. Quella di Nina è un po’ una rinascita: lei prende coscienza di “essere”, oltre i ruoli che le vengono affibbiati (madre, moglie, lavoratrice), anche altro. Ma… non fa bilanci. Mi dà fastidio parlare di “bilanci”.

#CriticaLibera - Attraverso l'opera di Alberto Asor Rosa

Letteratura italiana. La storia, i classici, l'identità nazionale
di Alberto Asor Rosa
 Roma, Carocci (Sfere), 2014

pp. 253
€ 19,00


Carocci, del cui “Bollettino di Italianistica” Asor Rosa è stato direttore nel decennio 2004 – 2013, ha raccolto e pubblicato nel 2014 undici tra interventi, saggi, riflessioni, lezioni e conversazioni dell’italianista romano classe 1933.
Autore di saggi determinanti nel panorama della critica letteraria contemporanea dagli anni Sessanta (tra tutti, Scrittori e popolo, Samonà e Savelli, 1965; Genus italicum, Einaudi, 1977), cattedra di Letteratura italiana alla Sapienza di Roma tra 1972 e 2003, ideatore e direttore della Letteratura italiana Einaudi (23 volumi tematici pubblicati tra 1977 e 2001), Asor Rosa è un riferimento per chi, avventurandosi nella storiografia letteraria, cerchi mappe definite e chiare, per orientarsi intorno a periodi storici, generi, correnti, autori.

Scrittori in ascolto | Con Antonio Moresco a Milano

Antonio Moresco all'Open di Milano - Foto di ©GloriaMGhioni

Quando mi è stato proposto da Mondadori di incontrare Antonio Moresco, il mio sì è nato spontaneo. Certo, l'uscita del tanto atteso Gli increati (leggi la recensione) era un'occasione ghiotta e l'unico rammarico era quello di non avere abbastanza tempo per leggere i volumi precedenti (Gli esordi e i Canti del caos). Tuttavia, le oltre mille pagine del nuovo romanzo hanno suscitato abbastanza domande per una piacevolissima chiacchierata alla Libreria Open martedì 26. C'era un po' di timore a rompere il ghiaccio: siamo in molti a ritenere che Antonio Moresco sia tra le più alte voci letterarie del nostro Duemila, e quindi non è semplice porre domande a chi presto entrerà (ma sta già entrando) nel canone della nostra letteratura contemporanea.  

Infrango io il silenzio con una domanda abbastanza coraggiosa: visto che nel suo libro ci sono più domande che risposte, almeno nella prima metà, ritiene che la letteratura debba fornire più quesiti che risposte pronte? 
Moresco conferma che «le domande aprono il mondo, le risposte lo chiudono», e aggiunge:
 «D'altra parte, quando scrivo non ho fari davanti a me, ma percorro una strada nel buio. Anche il lettore deve fare lo stesso. Il lettore non è un recipiente vuoto da riempire, ma compie un'avventura insieme allo scrittore. La letteratura porta a una nuova zona di scoperta e le domande fungono da traino».

Jack Torrance c'est moi: Stephen King contro Stanley Kubrick

I segreti di Shining
di Alessandro Gnocchi
Barney Edizioni, 2015

pp. 125
€ 13,50


Nella Nota dell'autore che chiude Doctor Sleep (il sequel di Shining pubblicato nel 2013), Stephen King racconta di aver pensato spesso, negli anni, al piccolo Danny Torrance. Quanti anni aveva adesso? Cosa gli era successo dopo quell'inverno all'Overlook Hotel? E sua madre, Wendy? "Dovevo sapere", spiega King: questa, in due parole, la genesi di Doctor Sleep. Ci sono però un paio di eredità parecchio ingombranti con cui il nuovo romanzo deve fare i conti ancora prima di nascere. Tanto per cominciare, a trentacinque anni dalla sua prima pubblicazione, Shining (1977) è ormai universalmente considerato uno dei testi più importanti della narrativa kinghiana, nonché uno dei romanzi più spaventosi di sempre:

Insieme con Le notti di Salem, Pet Sematary e It, Shining salta sempre fuori quando i miei lettori devono decidere quale mio libro li abbia davvero fatti cacare sotto.
E poi c'è "la faccenda del film di Stanley Kubrick", uscito nel 1980 e destinato a scavalcare nell'immaginario collettivo il romanzo stesso, dando il via a una delle guerre intellettuali più aspre e durature di sempre. Per chiunque, oggi, Jack Torrance ha la faccia di Jack Nicholson; per molti (anche tra quelli che le conoscono entrambe) la storia dei Torrance è quella di Kubrick, non quella di King. Il quale ovviamente non ha dubbi: per lui, si tratta semplicemente di un film
che per motivi a me ignoti molti ricordano come assolutamente terrorizzante. (Se lo avete visto senza leggere il romanzo, vi avverto che Doctor Sleep è il seguito del secondo, ovvero La Vera Storia della Famiglia Torrance). [trad. Giovanni Arduino]
Kubrick non si scomoda a rispondere: quando esce Doctor Sleep, è morto da più di dieci anni. Un dettaglio che la dice lunga su quanto sia ormai incancrenita l'eterna controversia "King contro Kubrick": così tanto da non cessare nemmeno con la morte di uno dei due contendenti. E forse, chissà, nemmeno con la morte di entrambi; in fondo siamo pur sempre nell'ambito del paranormale.

Cortocircuiti identitari e spazio-temporali per viaggiare attraverso la morte

Gli increati
di Antonio Moresco
Mondadori, 2015

pp. 1013
€ 30 cartaceo 

Quando ci si approccia per la prima volta a Gli Increati di Antonio Moresco, si rimane a bocca aperta. Soprattutto se, come nel mio caso, si conoscevano i precedenti Gli Esordi e i Canti del Caos solo attraverso la critica. Basta la copertina al contrario, stimolante e originalissima, poco appariscente (non ci sono fascette pubblicitarie e il titolo è solo nel retrocopertina e sul dorsino!) per capire che tutto il potere della comunicazione è affidato alle parole. Provate a leggere il paragrafo incipitario, scavato in rosso sulla copertina bianca, e già avrete la misura della penna di Moresco: la semplicità dello stile e la forza del contenuto. 

#PagineCritiche - Fuori dalla nebbia: due vite all'ombra di Giovannino Guareschi


Fuori dalla nebbia
due vite all'ombra di Giovannino Guareschi

di Giancarla Minuti Guareschi e
Concetta Cirigliano Perna
Falco Editore, 2015



Giovannino Guareschi (probabilmente ispirato da Leo Longanesi) diceva che molti scelgono di "vivere una vita" infelici perché costa meno. 
Non è questo il caso, non si tratta di questa storia.
 Iniziò a nevicare, mentre gennaio terminava freddo e doloroso. La neve cadeva sempre più fitta e si posava copiosa per terra. Imboccammo il viale che portava verso casa mia, ero un fiume in piena. Divenne naturale prendermi per mano e non solo per il rischio di scivolare. Ci fermammo sotto lo scheletro di un albero dai miseri rami vinti dal peso della neve, che in poco tempo coprì i nostri cappotti e i miei racconti. Giuliano mi abbracciò con slancio dicendomi laconicamente:   
«Non cambia niente, non cambia proprio niente».

Fuori dalla nebbia è una biografia: accorata, nuda, simbolica. È la narrazione schietta di Giancarla Minuti, il tassello mancante alla storia di Giuliano Guareschi, giornalista italo-australiano e ‘figlio di Carta’ del celebre scrittore Nino Guareschi. Vicenda all'ombra dell'ingiustizia del non-riconoscimento familiare, di cui Giancarla e Giuliano sono i protagonisti, sono esatta attuazione del viaggio ad ostacoli, della determinazione e della lotta, non solo qui ed ora, ma in ogni posto. Storia metafora della lotta umana – mai scevra di passione, a volte un po’ ribelle − per il riconoscimento dei diritti; canto corale e richiesta di giustizia che prescinde dal singolo avvenimento, perfetta incarnazione della presa di coscienza delle responsabilità del fare e del fatto, di quella che – psicoanalisi o meno – Svevo chiama appunto Coscienza.

Marina Plasmati, "Il viaggio dolce"





Il viaggio dolce
Marina Plasmati
La lepre Edizioni

pp 166
16,00


Era come se avesse il mondo dentro al cuore, non davanti agli occhi

Il viaggio dolce” è quello che il protagonista del romanzo di Marina Plasmati sta per compiere di lì a breve, fatale ed ultimo. Il protagonista resta sempre “l’ospite di riguardo”, persona schiva che se ne sta chiusa in camera senza disturbare, parlando sottovoce, con mite gentilezza. Ma noi sappiamo bene chi è, anche se non viene mai nominato, è Giacomo Leopardi, e questo bellissimo romanzo costituisce quasi una versione in prosa delle sue poesie immortali. 
Il romanzo racconta gli ultimi mesi di vita del poeta, quelli trascorsi in Campania, a villa Ferrigni, presso il cognato dell’amico Ranieri, e la Plasmati li ricrea attingendo direttamente ai testi leopardiani. Sono le stesse vicende e gli stessi protagonisti descritti in “Sette anni di sodalizio con Giacomo Leopardi”, di Antonio Ranieri, senza la malignità piccata del biografo ottocentesco ma con il rispetto e compassione della studiosa.    
Il paesaggio è lo stesso de “La ginestra”, il penultimo canto prima della morte, nato proprio in quei luoghi estremi e ripubblicato qui in appendice, insieme al “Discorso sopra lo stato presente dei costumi degli italiani”. La ginestra è un fiore povero e tenace, dal profumo persistente, bello nonostante la sua ruvida semplicità, buono come le persone che abitano quei luoghi, capace come loro di strappare la propria esistenza al deserto - “contenta del deserto” - di sentirsene comunque pago, ma destinato, alla fine, a soccombere come ogni altra cosa. La ginestra ci parla della forza e dell’ostilità di una natura splendida e matrigna e di come l’uomo debba, con un atto di supremo coraggio, guardare in faccia la realtà, “nulla al ver detraendo”, riconoscendo negli altri esseri umani la stessa sua condizione e unendosi a loro per sopportarla. Il vulcano tiene in scacco gli abitanti, può risvegliarsi da un momento all’altro e distruggere tutto, come ha già fatto con Pompei, che il protagonista visita a dorso di mulo, può seppellire l’umana vanagloria in un soffio.

“L’intestino felice” di Giulia Enders: escatologia del nostro interno a passo di danza

L’intestino felice
di Giulia Enders
Sonzogno, 2015

Traduzione italiana Paola Bertante
pp. 251

euro 16,50



Quando si arriva in fondo a L’intestino felice di Giulia Enders si hanno due reazioni, una consequenziale all’altra: la prima, immediata come le risate improvvise che pagina dopo pagina le similitudini della ricercatrice tedesca ci hanno strappato, è più o meno “e io che credevo fossero solo budella” e la seconda, leggermente più lenta ad arrivare ma inesorabile è “ci penserò due volte prima di strafogarmi senza ritegno di gelato alla vaniglia per una delusione d’amore”. Già perché il libro edito da Sonzogno e brillantemente tradotto da Paola Bertante è una divertente, ironica e interessante esplorazione del nostro “intimo più intimo”: ovvero dell’intestino che da  “l’organo meno studiato perché avente a che fare con i nostri scarti e rifiuti” diviene “il re del nostro corpo”.
Se non apparisse blasfemo il paragone, Giulia Enders attua un’operazione molto simile, date comunque le differenze, a quella condotta a suo tempo dal poeta ligure Giovanni Boine. Boine, “carissimo poeta” ebbe a dire Eugenio Montale di lui, scrisse nel 1918 Frantumi seguiti da plausi e botti. E uno allora può dire, ve lo concedo amici lettori: “Ma che c’azzecca un poeta sperimentale come Boine con Enders, abile comunicatrice scientifica pronta a limare ogni asperità per raccontare al meglio una realtà oscura”. A questo punto vi guarderei negli occhi e con un sorrisetto (forse mascherante “un dolore di stomaco” per troppi mojitos a seguito di discorsi sui “poeti liguri”) vi direi: “Appunto”.

Provare a diventare adulti

Storia di chi fugge e di chi resta
di Elena Ferrante

E/O, 2013

pp. 382
19,50


Siamo all’atto terzo del ciclo “L’amica geniale” di Elena Ferrante. Seguendo sempre le vite di Elena e Lila. Poi il rione. Questa ambientazione fagocitante che ci accompagna come le due protagoniste fin dal primo romanzo. Perché stavolta ho sentito come un rumore di fondo: un magma sotto la superficie della trama, un’entità indifferente e cinica e che si espande, contrae, trasforma, rovina, ingloba, uccide, resuscita.
Un rione di Napoli, proletario e monarchico, strozzino e cafone, zoppicante e assassino. È quello da cui si fugge, è quello in cui si resta. Non è detto che chi fugge abbia partita vinta e non è detto che chi resta debba finire stritolato. Siamo negli anni Settanta, l’alleanza tra proprietari e picchiatori fascisti si scontra pure qui con l’altra compagine: lavoratori e studenti eredi di una borghesia salottiera. Però, perfino l’epoca più politicizzata della storia repubblicana deve piegarsi a dinamiche di quartiere, a risentimenti familiari, alla logica stringente del rione.

La post-adolescenza negli anni zero: "Ripescati dalla piena" di Daniele Pasquini

Ripescati dalla piena
di Daniele Pasquini
Intermezzi, 2014

pp. 160
€ 13 - Ebook € 5


Nel suo Immaturità Francesco M. Cataluccio mette in guardia da quella che definisce “la malattia del nostro tempo”: l’esaltazione dell’età giovanile, assurta a Zeitgeist, onnipresente nella letteratura, nella musica e nel cinema, è una fuga dall’assunzione delle responsabilità, un sottrarsi allo sforzo di vivere nel mondo costruendo il proprio destino e, in sostanza, una retorica funzionale al turbo-capitalismo che vede nel rifiuto di auto-regolarsi e nell’incoscienza le condizioni migliori per crescerci tutti come fidati consumatori compulsivi.
È innegabile però che, al netto delle considerazioni socio-politiche, andare con la mente agli anni della propria pubertà è un atto piacevole e che quei momenti così determinanti nella nostra formazione personale resteranno per sempre tra i ricordi indelebili. Il motivo del successo di film come Boyhood, e forse anche il loro gioco facile, è proprio il mostrare il periodo della crescita nella sua essenza più intima, un’immagine potente che non può lasciare indifferenti chiunque abbia un minimo di capacità di immedesimazione e si ritrovi così a pensare al se stesso di alcuni (o di tanti, dipende dall’età) anni prima.
Ripescati dalla piena, un insieme di racconti di Daniele Pasquini, alcuni dei quali già pubblicati su riviste e online, si concentra proprio sul conflitto tra questi due momenti della vita, quello in cui ci si affaccia al mondo, a volte in maniera problematica ma mai cinica, e quello in cui, cresciuti, subentra la disillusione e l'inevitabile filtro che vira il passato su colori più rosei dell’originale.

Il Salotto | L'Afghanistan raccontato dall'autore di 21 volte Shindand



21 volte Shindand
di Bruno Vio
Kimerik Edizioni, 2014
pp. 146
euro 12,80


Tanti hanno provato a raccontare l’Afghanistan, qualcuno ne ha trattato gli eventi legati alla missione Isaf, quindi prediligendo un punto di vista militare, altri ne hanno messo in evidenza il valore strategico, all’interno della Guerra Fredda, e successivamente nel post 11 Settembre. Nessuno finora ne aveva raccolto la voce a partire dagli abitanti di un piccolo distretto all’interno di una delle 32 province che formano il Paese. “21 Volte Shindand”, scritto dall'esordiente Bruno Vio ed edito da Kimerik Edizioni nasce dall’ultima esperienza che l’autore, capitano dell’esercito e giornalista, ha fatto in Afghanistan, tra il 2012 e il 2013, e della quale ha voluto raccontare uno degli aspetti, a volte meno esaminati di quel contesto, ovvero il mosaico di vite semplici e difficili, degli abitanti di un villaggio, Shindand, sito nel distretto occidentale di Herat. 

L’autore presenterà lunedì alle 18 il libro nella prestigiosa cornice del Circolo dei Lettori, a Torino. Lo abbiamo incontrato per intervistarlo e per farci raccontare il libro.

"La Sposa giovane" di Alessandro Baricco


La Sposa giovane
di Alessandro Baricco
Feltrinelli, 2015

“Non era attesa per quel giorno, o forse sì, ma se n’erano dimenticati... Semplicemente, il tempo era passato con una velocità che non avevano avuto la necessità di registrare, e adesso la Sposa era lì, probabilmente per fare ciò che da tempo era stato concordato, con ufficiale approvazione di tutti: sposare il Figlio. Era seccante ammettere che, attenendosi ai fatti, il Figlio non c’era.”
Siamo all'inizio del secolo scorso, da lontano arriva una giovane sposa, ma il promesso sposo non c’è, è in Inghilterra ad occuparsi degli affari aziendali di famiglia. Aspettando il rientro del designato marito, la giovane, travolta da un’atmosfera surreale, densa di sensualità, eccesso, follia, solitudine, malinconia e sentimento si ritrova inghiottita nelle bizzarre usanze della casa: colazione sino a tardo pomeriggio, libri proibiti, felicità bandita e paura ancestrale della notte.
“C’è già tutto nella vita, a patto di starla ad ascoltare, e i libri distraggono inutilmente da questo compito, a cui tutti in questa famiglia, attendono con una dedizione tale che un uomo assorto nella lettura, in queste stanze, non mancherebbe di apparire come un disertore”.

#CritiComics | "Six-Gun Gorilla" e "Sam Zabel e la penna magica": a chi appartengono i personaggi?


Sam Zabel e la penna magica
di Dylan Horrocks
Bao Publishing, 2015
Traduzione di Michele Foschini
pp. 232
€ 21.00

Six-Gun Gorilla
di Simon Spurrier e Jeff Stockely
Bao Publishing, 2014
Traduzione di Leonardo Favia
pp. 160
€ 15.00





Sam Zabel è un fumettista in crisi creativa, con alle spalle un graphic novel di grande successo e un presente che lo vede alle prese con il reboot della celebre eroina Lady Night. Per dare voce a questo personaggio Sam ha smarrito la sua: dov'è finito l'autore? Dove la sua voce, il suo stile, i suoi temi?

In un futuro non troppo distante (o forse lontanissimo) dalle vicende che coinvolgono Sam Zabel, la Terra è un enorme platea di spettatori intenti a vedere una sorta di reality show ambientato sul pianeta Blister, dove gli umani possono recarsi per un suicidio legale ed epico a patto di diventare al contempo attori e telecamere di questo spettacolo. Blue è uno di questi uomini: deluso da una storia d'amore sbarca su Blister attendendo con trepidazione la sua morte.

Una morte che invece Sam Zabel non può nemmeno sognare, visto che la burocrazia della vita (divisa tra famiglia e le sceneggiature da consegnare all'editore) non gli permette di avere di questi pensieri. A destabilizzare il suo equilibrio (soltanto economico e quindi sofferto) arriva una penna magica capace di creare mondi cartacei completamente visitabili. Sam smette così di essere autore e diventa parte integrante delle Storie, cercando di utilizzare questa nuova prospettiva per risolvere i suoi problemi con il mondo del fumetto.

#LibrinTrincea - Paolo Rumiz, "Come cavalli che dormono in piedi"

 

Come cavalli che dormono in piedi
di Paolo Rumiz
Feltrinelli, 2014

pagine 261

disponibile anche in ebook










Qui c'è puzza di gente mia, signori, lasciatemi solo, voglio cercare in pace i miei dalmati, i miei istriani, goriziani, triestini; parlare ai miei sloveni e croati della costa, e soprattutto a loro, i miei italiani "in divisa sbagliata", di cui per quasi un secolo non si è potuto parlare.

Scrivere di guerra è sempre un compito arduo, poiché è un tema complesso che inevitabilmente si ramifica sviluppandone altri, in gran parte legati a sentimenti, valori e convinzioni personali. È quindi difficile mantenere una prospettiva sufficientemente distaccata in modo da permettere a chi ne scrive di mostrarsi affidabile e corretto nei confronti del lettore.
Lo stesso vale anche per chi si assume l'onere di recensire l'opera, che andrebbe analizzata con la dovuta equidistanza per analoghe ragioni di correttezza e credibilità.

Questo esordio con tono da professorino, in realtà, non ha altro scopo che quello di stabilire un principio per giustificarne il mancato rispetto, sia da parte dell'autore del libro sia da parte di chi scrive queste righe di commento. Va tuttavia precisato, a parziale discolpa, che il mancato distacco in questo caso si ha nei confronti della guerra in sé e non certo di chi ebbe il discutibile privilegio di combatterla da una o dall'altra parte, pertanto credo che la parzialità non solo sia comprensibile ma quasi un atteggiamento dovuto.

#SalTo15 : riflessioni post Salone

Anche da questo Salone ne siamo usciti – più o meno – vivi. Cinque giorni di incontri, stand, laboratori, spettacoli, che abbiamo condensato in una giornata sfiancante, un tour de force dal quale tornare, ancora una volta, storditi ma soddisfatti. Non vi fornirò qui la cronaca di incontri e presentazioni: troppo frammentaria la mia partecipazione ed esiguo il numero degli eventi a cui sono stata presente per rendere davvero giustizia ad anche uno solo di essi. Ma voglio condividere almeno impressioni e foto di una blogger, di una lettrice, che ogni volta torna da questo travolgente festival del libro con un notevole carico – anche letterale – di cose, storie, pensieri.
Partiamo proprio dal mio ruolo di blogger: quest’anno per la prima volta il Salone anche ufficialmente si apre ad una categoria professionale non sempre da tutti supportata ma che molto spesso, in ambito editoriale, porta insieme alla passione anche competenze specifiche, al pari degli altri professionisti del settore che godono però di una considerazione diversa; penso in primo luogo ai giornalisti e ai loro – circoscrivendo il discorso a quest’ambito, sia chiaro – privilegi: pass di accesso ad ogni area, posti riservati, file separate, convenzioni varie. Ecco, da quest’anno al Salone anche noi blogger abbiamo potuto saggiare parte di queste possibilità, almeno simbolicamente, mediante l’accredito professionale e l’ingresso a prezzo ridotto, fiduciosi che con il tempo non siano solo le singole case editrici a dimostrare fiducia nel nostro lavoro ma il sistema editoriale in genere.

#CritiCinema - Il racconto dei racconti di Garrone e l'oscura fantasia del "made in Italy"

Le fiabe non sono per bambini. 
Le fiabe sono posti pericolosi, grotteschi, irreali. Più della Napoli della camorra (Gomorra, 2008) e di quella della povera gente che sogna il riscatto del Grande Fratello (Reality, 2012), sembra suggerirci il regista Matteo Garrone. 
Che nel suo Racconto dei racconti in concorso a Cannes 2015, distilla dall'opera secentesca di Giambattista Basile Lo cunto de li cunti (1643-46) un'essenza di instabilità, come fosse una lunga camminata funambolica su un filo sospeso nel vuoto.
È un film in bilico, dove il fantastico ha la parvenza della realtà ma lo spirito dei sogni (talvolta, degli incubi).
 
Quello che muove ciascun personaggio, come in una fiaba che si rispetti, è la quête, desiderio e ricerca: che sia di una maternità regale, o dell'amico-fratello da cui si è stati separati, o per la perduta giovinezza e il cuore di un principe, o del necessario coraggio di diventare grandi e di uccidere l'orco. 
E anche la macchina da presa sembra vagare nei racconti (tre episodi liberamente tratti dalla raccolta di Basile: La regina, La pulce e Le due vecchie) che si intersecano alla ricerca di uno sguardo che sfugge, di un'oggettivazione di una materia impalpabile e incantata.

Ribeyriana #3: Gli Scritti apolidi: un inventario di enigmi per una realtà in frammenti

Scritti apolidi
di Julio Ramón Ribeyro
La Nuova Frontiera, 2015

Traduzione: allievi scuola di traduzione editoriale Tuttoeuropa

pp. 131
€ 15,00


Dopo il romanzo I genietti della domenica e gli otto racconti di Solo per fumatori, la recente traduzione degli Scritti apolidi completa una sorta di ideale "trilogia ribeyriana", aggiungendo alla nostra conoscenza dell'opera di Julio Ramón Ribeyro un terzo, fondamentale elemento: la scrittura frammentata e dispersa del pensatore aforista. La raccolta comprende duecento pensieri, bozzetti, riflessioni e soliloqui che ci restituiscono il volto di Ribeyro nella sua essenza più autentica: l'osservazione della realtà svincolata da sovrastrutture narrative e ridotta a puro sguardo. Un volto i cui tratti combaciano perfettamente con quelli del ritratto in quarta di copertina.

Nella foto Ribeyro fuma, e distoglie gli occhi dall'obiettivo. Sembra distratto. Il bello è che non ha l'aria di essere una posa, un'espressione posticcia assunta così, tanto per aderire all'immagine stereotipa dello "scrittore riflessivo": sembra davvero distratto. Come se un attimo primo fosse stato lì, concentrato, a pensare al momento, al fotografo, a dare un altro tiro alla sigaretta, e un attimo dopo, di colpo, la sua mente si fosse sintonizzata su lunghezze d'onda del tutto diverse, remote: il bicchiere di Bordeaux sul tavolino, la sonata barocca ascoltata la sera prima, la ragazza in jeans attillati incrociata quella mattina mentre andava al lavoro, i mille scalini della spiaggia dei Faraglioni di Capri al tramonto, la portinaia con cui aveva scambiato le solite quattro parole di rito sulla soglia della sua tristissima loge, i complessi di inferiorità degli scrittori peruviani, i complessi di superiorità dei critici, quei due giovani innamorati in Place Falguière...

Era fatto così, Ribeyro: si distraeva sempre.

#SalTo15 - Christian Raimo e Nicola Lagioia dialogano sui libri da non perdere al Salone del Libro di Torino




Il Salone del Libro di Torino è sempre una splendida vetrina per i libri che sono appena usciti, eppure alcune voci autorevoli hanno dedicato un incontro a quei titoli che, per qualche ragione, sono finiti nel dimenticatoio pur essendo autentici capolavori. Christian Raimo, scrittore e docente, ha dialogato con Nicola Lagioia, editor per minimum fax e autore, (candidato al premio Strega col suo La ferocia), insieme a Giuseppe Culicchia, autore e traduttore.

L'incontro inizia all'insegna di una riflessione: in questo periodo un libro fa presto a invecchiare. È un pensiero diffuso anche tra librai, che devono aggiornare a ritmi sostenuti le loro proposte, adeguandole alle nuove uscite e alle presentazioni televisive. "Se un libro non lo hai letto in bozze, è già obsoleto", dice Raimo, "e scompare dalle vetrine e dai giornali dopo poco tempo, stritolato dal mercato". Approfondisce poi la sua analisi, considerando i responsabili dei grandi gruppi editoriali dal catalogo ampio che negli ultimi anni hanno presidiato librerie e distributori, acquistando sempre più spazi; le librerie rendono certi libri in poco tempo e, sempre più spesso, la critica letteraria recensisce in anteprima; anche sfogliando il programma eventi del Salone, si può notare come alcuni libri usciti poco tempo fa non siano stati presentati.

#CriticaNera - In questo sperduto Far West che ci ostiniamo a chiamare Milano

Il colosso di Corso Lodi
di R. Besola, A. Ferrari, F. Gallone
F.lli Frilli Editore, 2015


Torna in libreria il trio noir Besola-Ferrari-Gallone. Dopo il successo di Operazione Madonnina e il poco convincente Operazione Rischiatutto, con Il colosso di Corso Lodi i tre autori milanesi si mettono su binari meno scivolosi dei precedenti, con una storia che vede come investigatori il commissario Malaspina e il giornalista di nera in congedo Dino Lazzati, detto Fernet. Vanno momentaneamente in panchina Angelo, Lorenzo e Osvaldo, i tre delinquenti degni de I soliti ignoti che avevano animato i primi due romanzi.

Il Salotto - "Cade la terra": intervista a Carmen Pellegrino


Cade la terra
di Carmen Pellegrino
Giunti, 2015

pp. 220
€ 14,00 



Cade la terra è il romanzo d'esordio di Carmen Pellegrino, scrittrice e studiosa già nota per la singolare quanto suggestiva occupazione di 'abbandonologa'. In un Sud profondo e remoto che è più un luogo dell'anima, Estella, la protagonista di questa storia, tornando dopo anni di lontananza al suo borgo natale, decide per un atto di vocazione di farsi custode di una memoria che, come la terra del titolo, rischierebbe altrimenti di franare per sempre, e con essa quella linea d'ombra, quella soglia impossibile e indefinibile che separa (e unisce) i vivi e i morti. 
Di questi spunti di lettura ne abbiamo parlato con la stessa Carmen Pellegrino.

Cade la terra è in fondo la storia di un nòstos, della protagonista Estella nel suo borgo natale ma anche di coloro che quel borgo non lo hanno mai lasciato e sono rimasti come ombre. E, va da sé, il nòstos implica una necessaria nostalgia. Qual è dunque la radice della sua nostalgia per questa «terra» e per le storie dei personaggi che la popolano?

Estella ritorna nel suo paese d’origine, dopo gli anni della lontananza, sperando di trovare un posto in cui stare. Se di nostalgia parliamo, quella di Estella è nostalgia dell'inaccaduto: un ritorno a ciò che non ha mai avuto, una famiglia, una casa. La terra, solo quella le è famigliare, ma non è una terra madre, piuttosto è una terra malsicura, tremolante. Così si appropria della casa di Marcello, dai cui genitori viene assunta come istitutrice. È una ladra d’affetti, sebbene ignori cosa sia quest’affetto che le manca. In fondo ha solo una certezza: la voragine che la muove. La stessa voragine che minaccia la terra dove è nata. Dunque Estella porta i segni della sua terra, forse è la sua stessa terra. E che disordine c’è in quella terra, che disordine.

#PagineCritiche - "L'uomo e la morte" di Edgar Morin


L’uomo e la morte 
di Edgar Morin,
Traduzione e cura di Riccardo Mazzeo
Trento, Erickson, 2014

pp. 370

Di Edgar Morin, sociologo francese e interprete autorevole di una trasversalità disciplinare che include la sociologia, l’etnologia e la semiologia, viene presentata una nuova traduzione di L’uomo e la morte, del 1951. Morin, nella prefazione, in un dialogo con il critico Riccardo Mazzeo, spiega come abbia trovato sempre nuova linfa per una riconsiderazione globale del problema della morte. Se sono cambiate notevolmente le relazioni che intercorrono tra la vita e la morte e anche la biologia e la genetica hanno contribuito in modo esponenziale ad un miglioramento e prolungamento della qualità della vita, essa è ancora un fenomeno inevitabile, un “susseguirsi di un accumulo di errori a cui neppure i batteri possono sfuggire”. Nel proprio “eterno” peregrinare Morin ha cercato le risposte alla morte; l’incontro con studiosi importanti, come i biologi Leslie Orgel e Jean Claude Ameisen, colloca ad un livello comparativo i progressi della scienza biologica  in stretta correlazione con le esperienze sociali e culturali di aspettativa di vita.

Canto d'amore per una madre. L'esordio di Marco Peano




L'invenzione della madre
di Marco Peano
Minimum Fax (Nichel) 2015

pp. 252
€ 14

Dopo la morte della madre Mattia si sente «il primo e ultimo orfano della storia dell’umanità». Perché  il dolore è un fatto privato che, quando arriva, non vuole essere condiviso con nessuno. E la perdita della propria madre è un dolore che non si spiega.
L’invenzione della madre, il romanzo d’esordio di Marco Peano, è il susseguirsi di scene di un film che non si riesce a vedere, in cui coprirsi gli occhi e aspettare siano passate.
Madre-letto, madre-braccio, madre-occhio. Mattia, ventisei anni, commesso di una videoteca di provincia, scandaglia la lunga malattia della madre, iniziata con un tumore al seno che si è espanso fino al cervello.
Da quando la situazione è peggiorata la vita di Mattia e del padre è cambiata in funzione delle esigenze della donna. Si dice di là per indicare la stanza di casa adibita alla sua degenza. La malattia porta con sé un nuovo vocabolario che impedisce di chiamare le cose con il loro nome: Mattia e il padre sanno che quello è il luogo in cui, una volta dimessa dall’ospedale, trascorrerà il tempo rimastole. Julian Barnes in Livelli di vita, il memoir scritto dopo la morte della moglie, trova inappropriato l’uso del termine 'spegnersi' per riferirsi alla morte: «come un abat-jour? come una radio»? si domanda. Allo stesso modo Mattia annota le espressioni di circostanza che si utilizzano in caso di malattia, a partire dal divieto di pronunciare la parola ‘cancro’, ma anche i termini scientifici, le etimologie, il linguaggio ambiguo dei medici.

#ScrittoriInAscolto: incontro con Carine McCandless

Milano, 14 Maggio 2015
h. 16.00

Chris mi ha insegnato che niente è più importante della verità.

Foto di Debora Lambruschini
È nel rispetto di questo insegnamento che Carine McCandless ha scritto Into The Wild Truth e che oggi, ospite in casa editrice Corbaccio a Milano, ne ha condiviso con alcune blogger emozioni e brani, ben disposta a rispondere alle nostre domande. Accompagnata dalla sorella Shawna, questa bellissima quarantenne americana resta con noi per più di due ore, durante la quali riflette attentamente sulle nostre domande rispondendo con gentilezza e mai avara di parole, il ricordo sempre a quel fratello amatissimo precocemente scomparso. Verità, dicevamo, è il fil rouge che attraversa le pagine e l’incontro con la sua autrice, che a vent’anni dalla morte di Chris ha «deciso di scrivere questo libro per completare la storia di Into the Wild», un testo che continua a conquistare lettori in tutto il mondo - in parte grazie anche allo straordinario film girato da Sean Penn - adottato come lettura obbligatoria in più di tremila scuole americane come ci ricorda l’autrice.
Sono state, forse, anche le domande di tutti gli studenti che negli anni si è trovata ad incontrare a convincerla infine a scrivere il suo libro, spinta dalla «necessità di raccontare la verità». E, subito chiarisce, non è un libro in difesa di Chris e della sua scelta – intorno alla cui storia sono state fatte negli anni differenti speculazioni e critiche spesso feroci, soprattutto, ci ricorda Carine, negli Stati Uniti – ma qualcosa che doveva fare in nome di quella verità troppo a lungo distorta dalla fitta trama di bugie intessuta da Walt e Billie, i suoi genitori, ben prima della morte di Chris. Ha dato loro il tempo necessario per elaborare una perdita tanto terribile, sperando ancora una volta che potessero cambiare e perchè, ci confida Carine, «i miei genitori avevano diritto al tempo per capire cosa era successo» e, magari, smetterla una volta per tutte di rifugiarsi in quella realtà distorta di una vita riscritta secondo le loro regole. È stato molto triste per lei rendersi conto purtroppo del fatto che tale cambiamento non è stato possibile, che Walt e Billie sono incapaci di ammettere i propri fallimenti; ma, ancora una volta, appare chiaro nelle parole di Carine come il suo non sia un atto di accusa nei confronti dei genitori, che sono solo esseri umani e come tutti imperfetti: hanno fatto sbagli, alcuni davvero terribili e irrimediabili, e forse non è più tempo di sperare possano cambiare, imparare qualcosa dalla storia di Chris. E, molto partecipe, Carine sottolinea «non li incolpo della morte di Chris». Ma della sua scomparsa, si: della scelta di tagliare ogni legame con la famiglia e partire per un viaggio solitario lungo due anni per avventurarsi fino nelle terre estreme d’Alaska dove, tragicamente, ha trovato la morte. Perché tutto il male che Walt e Billie hanno fatto a Carine e Chris, e agli altri fratelli e sorelle nati dall’unione con Mascia, la prima moglie di Walt, ha lasciato un segno indelebile in ognuno di loro e ha spinto suo fratello ad allontanarsi e trovare la felicità, la serenità, in quella natura bellissima e crudele.

Ribeyriana #2: "Solo per fumatori", poco fumo e molto Ribeyro

Solo per fumatori
di Julio Ramón Ribeyro
La Nuova Frontiera, 2013

Traduzione di Nicoletta Santoni

pp. 168
€ 15,50


Nel 2011 leggevo per la prima volta I genietti della domenica di Julio Ramón Ribeyro, scrittore peruviano che non avevo mai sentito nominare e di cui avevo cominciato quel romanzo solo perché il protagonista, all'inizio della storia, di colpo interrompeva il lavoro, cacciava un urlo lancinante nel silenzio dell'ufficio, scriveva una lettera di dimissioni e diceva addio alla Grande Impresa in cui aveva sudato e sbadigliato negli ultimi tre anni della sua vita. Che era precisamente quello che sognavo di fare io ogni giorno, da quando mettevo piede in ufficio al mattino fino a quando, la sera, spegnevo il pc per trascinarmi sul treno diretto a casa. Non ho mai imitato l'urlo di Ludo, ma sono arrivato alla fine della sua storia con la consapevolezza di aver letto uno dei romanzi più intensi e potenti della mia vita di lettore; tra i pochi che negli anni ho riletto e a cui spesso faccio ricorso, come una specie di bussola.

Uno degli aspetti curiosi del romanzo è il sovrano disinteresse per la coesione strutturale della narrazione, che procede per accumulo di episodi. Nel complesso sembra quasi di avere per le mani, più che un romanzo organico, una raccolta tematica di racconti. All'epoca la cosa mi aveva colpito; non sapevo ancora che Ribeyro non era stato solo "uno dei pilastri del realismo urbano latinoamericano", come recita la quarta di copertina, ma uno dei più grandi autori di racconti dell'America Latina. Tanto da essere di norma accostato, in una specie di "trinità dei racconti", ai due numi tutelari della letteratura ispano-americana: Borges e Cortázar. E non lo sapevo perché nessuno in Italia aveva mai tradotto mezzo racconto di Ribeyro.

Come diavolo era possibile, mi chiedevo, che nessuno lo avesse mai pubblicato prima?

Into the Wild Truth: la verità dietro la storia di Chris McCandless

Into the wild truth
di Carine McCandless
Corbaccio, 2015

traduzione italiana Rita Giaccari

pp. 374
euro 17,60

Datemi la verità, invece che amore, denaro o fama. Sedetti a una tavola imbandita di cibo ricco, vino abbondante e servi ossequiosi, ma alla quale mancavano la sincerità e la verità; partii affamato da quel desco inospitale. L’ospitalità era fredda come i gelati.

[Henry D. Thoureau, Walden ovvero vita nei boschi, passaggio sottolineato da Chris]


Non è per niente facile parlare di questo libro. L’intensità e la sofferenza delle vite rievocate sono un pugno allo stomaco e giudicare – che parola inappropriata – questo memoir in termini di critica letteraria, cercando di prendere le distanze dal coinvolgimento emotivo derivato dalla lettura, è complicato. E forse, in fondo, nemmeno necessario.
Non lo farò quindi, preferisco parlarvi di come le 374 pagine della storia narrata da Carine McCandless portino la traccia evidente delle emozioni dell’autrice che racconta per la prima volta in un libro la verità sulla propria famiglia e soprattutto su quel fratello amatissimo dalla cui morte sono passati già vent’anni ma che, ancora oggi, rimane un esempio per tanti giovani sognatori, ribelli, idealisti che hanno conosciuto Chris tramite Into the wild, il racconto del giornalista Krakauer poi ripreso da Sean Penn nella bellissima trasposizione cinematografica.

#CritiMusica - Un lettore d’eccezione: Johannes Brahms

Album letterario o Lo scrigno del giovane Kreisler
di  Johannes Brahms
EDT, Torino, 2007

Traduzione italiana di Artemio Focher

pp. XXXIII-207
16 euro

Da parecchi anni tengo dei quadernetti dove mi appunto frasi, parole e tematiche tratte dai libri che leggo. Penso sia un’abitudine abbastanza diffusa. Si vuole intrappolare quel pensiero che, benché formulato da qualcun altro, calza perfettamente al nostro ego. Carta e penna, veloci a trascriverlo prima che voli via, tra lo scorrere delle giornate e l’avvicendarsi di altri libri. E quale meraviglia, anni dopo, nel rileggere quegli appunti! Ci si interroga su promemoria diventati indecifrabili – eppure l’ho scritto io!, mentre altre note strappano ancora quel sorriso, quel moto d’animo che avevano fatto guadagnare loro un posto nel nostro quaderno. L’ho sempre trovato un esercizio confortante. La comunanza delle idee, l’affinità dei pensieri non sono forse l’unica – vera – cura per la solitudine? 

Eureka Street


Eureka Street
di Robert Mcliam Wilson
Fazi editore, 2015

traduzione italiana Lucia Olivieri

pp. 388
Euro 18.50

Tutte le storie sono storie d'amore

Un incipit folgorante apre Eureka Street, il romanzo più celebre di Robert Mcliam Wilson da poco riedito da Fazi per il pubblico italiano, e immediatamente rivela al lettore una delle numerose chiavi di lettura del romanzo mentre, capitolo dopo capitolo, sentenze e brani non dissimili per il grado di partecipazione che sanno suscitare nel lettore, si susseguono nella storia. Ed è, almeno per la sottoscritta, un romanzo di contraddizioni, tali sono i sentimenti contrapposti che questo libro ha fatto nascere in me: la cruda bellezza di alcune pagine, il difficile contesto storico sociale mirabilmente evocato dall’autore che diventa a tutti gli effetti protagonista del romanzo, quella Belfast degli anni Novanta in cui il quotidiano è scandito da attentati e paura, mi hanno catturata totalmente; mentre non con la stessa partecipazione ho seguito la vicenda personale dei due protagonisti, Chuckie e Jakele cui vite si intrecciano a tanti altri personaggi sopra le righe, bizzarri e disperati in un fiume difficile da arginare di abbandoni, alcol e risse, famiglie disfunzionali, violenza e povertà, milionarie imprese fondate sul nulla, amori incredibiliUn microcosmo popolato da personaggi improbabili per cui è difficile non provare un certo affetto, ma dalle cui vicende dopo un po’ si finisce anche per essere sopraffattiDove la storia di questi trentenni non riesce a conquistare fino in fondo il lettore – o forse solo me, chi può saperlo? – le incertezze e i sogni di questi stessi uomini che dal caos di un quotidiano scandito da attentati e violenza cercano in qualche modo di non farsi sopraffare sono per me ciò che rende la commedia umana messa in scena da Wilson una piccola perla da riscoprire.