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Di libri, percorsi e opere sopravvalutate: intervista a Tiziano Cornegliani

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Per i lettori curiosi sempre a caccia di nuovi spunti e per noi addetti ai lavori, i “libri che parlano di libri”- siano essi romanzi o saggi sul genere del recente I 100 libri che rendono più ricca la nostra vita di Dorfles, o La sovrana lettrice di Alan Bennet pubblicato un paio di anni fa, solo per citarne un paio - sono una buona occasione per farsi guidare da un lettore d’eccezione in una passeggiata tra autori ed opere, lasciarsi ispirare, condividerne gli entusiasmi o contestarne scelte ed esclusioni. In questo filone, che negli ultimi anni pare aver trovato nuovo slancio, La farmacia dei libri. Rimedi per l’anima del prof. Cornegliani, recentemente pubblicato in ebook e cartaceo, è l’interessante viaggio tra i testi – romanzi, saggi, racconti – identificati dall'autore come meglio rappresentativi intorno ai ventiquattro temi ricorrenti nella letteratura e organizzati in ordine alfabetico dalla A di Amore alla V di Vanità. A ognuno di essi Cornegliani dedica un paio di pagine circa e dopo aver introdotto brevemente il tema si concentra su quei testi che meglio di altri hanno saputo farsene interpreti, spesso partendo dalla tradizione greco latina, per giungere a classici e contemporanei. Opere e autori scelti risentono ovviamente del giudizio e del gusto personale dell’autore del saggio, come inevitabile in lavori di questo genere, e il lettore non sempre si troverà d’accordo con le scelte operate, le opere escluse a discapito di altre: semplicemente sono le scelte soggettive e personali di un lettore appassionato, che da sempre si occupa di medicina ed editoria medico scientifica, oltre a ricoprire il ruolo di docente nell’ambito del Master in Editoria dell’Università Cattolica di Milano. Con toni per nulla accademici e tantomeno saccenti, Cornegliani ci guida in questa passeggiata tra i libri che ha più amato e, lungi dal voler esaurire l’argomento, offre spunti e suggerimenti di lettura che inevitabilmente invogliano il lettore ad approfondire, rileggere, trovare nuovi esempi intorno al tema scelto o individuarne altri su cui la letteratura si è interrogata. Una chiacchierata vivace che noi di Critica Letteraria abbiamo avuto il piacere di proseguire oltre lo spazio del saggio pubblicato, intervistando il prof. Cornegliani per parlare ancora con lui dei numerosi spunti che la lettura de La farmacia dei libri ci ha suggerito.


È noto che la sua biblioteca conta circa 4.000 volumi, un vero e proprio patrimonio letterario che fa invidia a molti e da cui non deve essere stato per nulla facile selezionare il numero ragionevole  di testi per questo saggio. Prof. Cornegliani, come mai la scelta di un altro saggio sul genere "libri che parlano di libri"? Quale il pubblico ideale a cui il suo testo si rivolge?
Ha ragione, in effetti oggi i “libri che parlano di libri” abbondano… Tuttavia, non credo siano inutili o superflui. Nella Presentazione del mio volumetto ho citato Harold Bloom, il grande critico letterario che sostiene  che “la letteratura è una forma di bene”, perché aiuta a conoscersi e a riflettere. Ed è per questo che dobbiamo leggere, ma dovremmo leggere, specie oggi che siamo circondati da milioni di libri, solo il meglio di quanto è stato scritto. Ecco, questa può sembrare un’affermazione forte, quasi presuntuosa, che spazza via tutto ciò che non è letteratura alta, ma non è affatto così perché ciascuno ha il suo percorso, ciascuno trova alla fine la sua strada, quei libri che fanno luce dentro di lui. Ma per arrivare a questo, ha bisogno di una guida, almeno inizialmente, e di qualche buon consiglio. È un po’ come la pratica sportiva: non si diventerà mai bravi tennisti o sciatori, se non ci si affida inizialmente a un bravo maestro o allenatore… Naturalmente, non ho la presunzione di aver suggerito il meglio, e tanto meno di essere un bravo maestro o allenatore, ho cercato di trasmettere solo un punto di vista personale, ma appassionato, sulle letture che aiutano a inquadrare i grandi temi dell’esistenza.
Quanto al “pubblico ideale”, semplicemente lettori appassionati in cerca di nuovi stimoli, in cui suscitare curiosità, la voglia di leggere “quel” libro cui ho fatto cenno.

Da sempre si occupa di medicina ed editoria medico scientifica, ma ha sviluppato anche un appassionato interesse per la narrativa: può raccontarci qualcosa di più di questa sua anima divisa e di come si è avvicinato alla letteratura?
La dicotomia medicina-letteratura ha sempre caratterizzato la mia vita: dopo il liceo mi laceravo nella scelta fra iscrivermi a Medicina o a Lettere. Ma le due discipline non sono in conflitto tra loro, tutt’altro. La Medicina è la scienza umana per eccellenza perché si occupa dell’uomo, della sua cura. Se poi è vero che la Medicina è una scienza, l’esercizio della professione medica è un’arte. Per farla breve, ho fatto mia una citazione di Anton Čechov: “La medicina è la mia moglie legittima, la letteratura è la mia amante: quando mi stanco di una, passo la notte con l'altra”. Mia moglie, in proposito, non ha niente da dire…
Come mi sono avvicinato alla letteratura? Perché ho scoperto da subito che leggere è uno dei più grandi piaceri che la vita ci offre, anche quando siamo soli, e che ci fa fare tante di quelle esperienze e conoscere tante di quelle persone, e storie, anche se “virtuali”, che mai potremmo raggiungere nella vita reale.

Sappiamo che è un grande estimatore, tra gli altri, di Čechov e Tolstoj, ma anche di Philip Roth che lei ha definito in questo libro "tra i più grandi [scrittori] viventi" : cosa di questi autori la colpisce maggiormente?
Čechov è il più grande esploratore dell’animo umano, nei suoi Racconti ne ha descritto grandezze e miserie, senza peraltro mai giudicarle: qualunque cosa venga dall’uomo, nel bene come nel male, è “umana”. Nei suoi racconti non succedono grandi cose, spesso viene solo riportato il quotidiano, ma è straordinaria la profondità di pensiero con cui viene trattato questo “niente”. E infine perché è il padre del racconto, un genere letterario che amo moltissimo. Tolstoj è immenso, in lui c’è tutto. Non a caso, Dostoevskij definì Anna Karenina il “romanzo perfetto”. Quanto a Roth, ho appena letto, su di lui, una definizione fulminante (di Marco Missiroli): “la penna che ha circonciso la letteratura”. Credo sia proprio così: ha messo a nudo la letteratura moderna, l’ha svelata e interpretata. Everyman è un capolavoro.

Non solo saggi e romanzi, cita in diverse occasioni anche la short story, che negli ultimi tempi sembra soggetta a nuove indagini ed esplorazioni. Crede che questo genere sia più adatto ad interpretare la complessa realtà contemporanea?
Penso di sì. Ian McEwan afferma che il racconto è un dono che si fa al lettore: si legge in fretta, magari nello spazio di una sera e richiede a chi lo scrive un’estrema capacità di sintesi. La brevità porta a dei “non detto” che lasciano spazio all’immaginazione del lettore. E la brevità è virtuosa, Voltaire diceva “Vi scrivo una lunga lettera perché non ho tempo di scriverne una breve”… Come dire, che è più facile lavorare su un testo lungo che su uno breve, su quest’ultimo occorre selezionare, scegliere, capire cosa è importante e cosa lo è meno, affinare lo stile…
Potrei dire che il racconto, la short story, è il “tweet” della letteratura ed è ormai evidenza comune di quanto ci abbia aiutato esprimere un concetto, un messaggio in soli 140 caratteri… Ci porta ad essere essenziali, precisi, concreti. Il paragone è forse eccessivo, ma il concetto è quello.

Nel panorama letterario attuale quali sono invece per lei i grandi temi con cui la narrativa deve maggiormente confrontarsi e quali gli autori/libri che ci sono riusciti in qualche modo?
Non credo che un autore debba porsi il problema di quale tema scegliere per inserirsi (o restare) nel panorama letterario attuale. Semmai, il tema gli viene suggerito dal mondo in cui vive. Un tema sempre di attualità è quello della famiglia, oggi indubbiamente in discussione: ecco, per fare un esempio, credo che Jonathan Franzen con Le correzioni ce ne abbia dato un’interpretazione superba. Sempre Franzen con Libertà, sul tema dell’ambiente. Oppure penso all’ultimo McEwan, con La ballata di Adam Henry dove la protagonista, un giudice dell’Alta Corte britannica, dipana con misura e sobrietà questioni difficilissime, dall’affidamento dei figli all’intervenire o meno su un caso di un ragazzo malato di leucemia che la sua famiglia non vuole salvare per questioni religiose. 

Periodicamente ci si interroga sulla crisi dell'editoria: eppure, guardando alle interazioni sui social, alle presenze di pubblico durante fiere di settore ed incontri con gli autori, il dibattito sembra piuttosto animato e partecipe. Forse il problema si pone in termini di qualità della lettura, è d'accordo? Oggi poi la lettura sembra farsi sempre meno attività solitaria ma social, reinterpretazione delle sue origini corali.
Che l’editoria stia attraversando una fase critica non c’è dubbio. Al di là di problemi oggettivi e congiunturali, gli editori perlopiù fanno scelte quasi esclusivamente commerciali, raramente puntano su nuovi autori, preferisco affidarsi ai soliti noti che promettono buoni numeri, oppure “cavalcano l’onda” con temi di attualità, ma non per questo di qualità. Spesso sono supponenti, altezzosi. Lo straordinario successo del self-publishing, con i suoi limiti, beninteso, è una riprova di come si stiano creando soluzioni alternative all’editoria tradizionale. Attenzione, perché facendo così, molti di loro rischiano di essere spazzati via da Amazon e simili (con, anche qui, gli infiniti limiti – soprattutto culturali – di questi ultimi). 
Ed è verissima anche l’altra cosa che lei riporta, e cioè che la lettura sta cambiando, viene sempre più condivisa. Appena leggiamo una bella frase, un passaggio che ci ha colpito, sentiamo l’esigenza di condividerlo. E così, ecco le recensioni dei lettori sulle librerie on-line, il fenomeno di anobii che permette addirittura di riportare nelle schede dei libri i passaggi che più ci sono piaciuti, o i siti dedicati ai libri di facebook o – ancora – i tweet agli amici, ma anche a chi conta nel “club della lettura”. Tutto questo per molti aspetti è un bene, credo però ci sia un rischio: è provato che la lettura digitale comporta meno attenzione di quella tradizionale, rischia di essere trattenuta di meno; per non dire che la lettura, per quanto condivisa e condivisibile, resta essenzialmente un’attività solitaria: almeno inizialmente, siamo “io e il libro”, tutto il resto viene dopo.

Una curiosità: nel capitolo dedicato al romanzo di formazione (uno dei miei preferiti, dedicato ad un genere a me molto caro) dice a proposito de Il giovane Holden che è un romanzo a suo parere sopravvalutato: mi piacerebbe approfondire la questione.
Sapevo, nel momento in cui ho fatto questa confessione, di scatenare un polverone. Succede quando prendi le distanze da un mostro sacro. In tutta umiltà potrei dire che forse non l’ho letto nel momento giusto, né quando ero giovane. Non mi ha trasmesso empatia, non mi ha preso. O, forse, potrei azzardare che mi ha irritato lo stile.

Moltissimi dei testi scelti sono classici spesso proposti nelle scuole come materiale di studio; lei stesso ha esperienza di docenza: ci parli del delicato rapporto tra adolescenti-lettura, spesso conflittuale, forse anche per colpa delle imposizioni dall'alto, dell'orientamento del gusto, della familiarità o meno con la parola scritta.
Altro tema scottante.  È risaputo che rischiamo di odiare ciò che ci viene fatto studiare a scuola, vedi I promessi sposi. Ma io credo, una volta di più, che tutto transiti dalla passione. Se un docente ama follemente i libri che suggerisce, probabilmente i suoi allievi non potranno restare del tutto indifferenti, ne saranno almeno incuriositi. E poi, certo, occorre trovare i testi giusti. A partire dai classici perché un classico, per riprendere la famosa citazione di Italo Calvino, è un libro che non ha mai finito di dire quel che ha da dire. O da quei libri che non possono lasciare indifferenti i giovani, come Martin Eden, di Jack London, che io ho definito una lettura “obbligatoria”. E con questo torniamo all’inizio dell’intervista: ci vuole una guida, qualcuno che indichi un percorso. Deve essere un lettore forte, appassionato, illuminare molte strade affinché poi ciascuno possa scegliere e percorrere la sua.


intervista a cura di Debora Lambruschini