António Lobo Antunes, "Le navi"

Le navi (As naus, 1988)
di António Lobo Antunes
Einaudi, 1997
pp. 191
Traduzione dal portoghese di Vittoria Martinetto




Non ero mai incappata, tuttavia, in uomini tanto amareggiati come in quel periodo in cui i transatlantici tornavano nel regno carichi di gente disillusa e rabbiosa che aveva, come bagaglio, un fagotto sotto il braccio e un'acidità incurabile alla bocca dello stomaco, umiliati dai loro stessi schiavi e dalla prepotenza piumata degli antropofagi. I coloni che non riuscivano a partire per il Brasile o per la Francia assomigliavano ad angeli che avessero perso la nozione del volo e trascinassero suole terrestri nei quartieri più tristi della città, fatti di salite che non portavano da nessuna parte, di piazze barocche e di scalette disorientate, dove persino i balconi degli edifici, con i loro vasi rossi e la biancheria appesa al filo, avevano un'aria di sordida periferia.

Un ritorno a casa mesto e umiliante, il frangersi di secolari orizzonti di gloria, la presa di coscienza dell'inconsistenza del mito. È tutto questo, e altro ancora, Le navi di António Lobo Antunes, uno dei più grandi scrittori portoghesi contemporanei - ma forse di sempre - e un testimone diretto della disastrosa guerra coloniale in Angola e Mozambico e dell'odissea del rientro successivo all'affrancamento di quei Paesi in seguito alla Rivoluzione dei Garofani del 25 aprile 1974.

Rientrano gli eroi di sempre, Camões, Diogo Cão, Pedro Álvares Cabral, sconfitti, ridotti in stracci e disconosciuti da quel Paese predestinato, condannato alla gloria ma sempre e solo dall'altra parte del mondo. Si scorge, fugacemente, lo stesso Dom Sebastião, diretto con passo inesorabile verso il black hole di Alcácer Quibir.
Non c'è accoglienza trionfale per chi torna a casa, non c'è neanche più una casa ma solo sistemazioni di fortuna negli ospizi dei poveri e nelle bettole.

Il cielo vuoto del cristianesimo

Cristianesimo. La religione del cielo vuoto
di Umberto Galimberti
Feltrinelli, 2012


pp. 416


Umberto Galimberti tiene una rubrica su “D di Repubblica”, il supplemento del sabato del quotidiano diretto da Ezio Mauro. Lo troviamo in ultima pagina e a raccogliere tutte le sue risposte ai lettori, sostanzialmente si tratta di una classica rubrica delle lettere, comporremmo un saggio. Perché bisogna dire che il pensiero di Galimberti è oramai consolidato e ciò che riporta in un libro lo troviamo in un articolo, coerentemente. Non è che un filosofo debba per forza rinnovare, rielaborare, continuamente il suo pensiero. Se sente di essere arrivato a un punto di vista soddisfacente ha il diritto di fermarsi. Perfino di crogiolarsi. Secondo me.

Pillole d'Autore - "Girotondo" di Arthur Schnitzler


Girotondo è una piccola gemma di teatro. Scritto nel 1897, è opera dell’austriaco Arthur Schnitzler. Venne rappresentato per la prima volta nel 1920 a Berlino, dopo esser stato proibito dalla censura tedesca e per di più prima di subire un processo per pornografia. Nel 1950 il regista tedesco Max Ophüls lo adatta per il film La Ronde (Il piacere e l’amore).
La pièce è composta da dieci scene, ognuna con due personaggi: un uomo e una donna, che provengono da diversi contesti sociali ed ogni volta ripropongono un dialogo amoroso che termina in un incontro sessuale. Uno dei due personaggi, poi, è protagonista anche del dialogo successivo, insieme ad un nuovo compagno che, a sua volta, sarà poi nel dialogo seguente. Si viene così a creare un vero girotondo, in cui ogni personaggio è legato ad altri due e partecipa per due volte alle brevi scene: la prostituta e il soldato, il soldato e la cameriera, la cameriera e il giovane signore e così via. Senza mai un nome proprio o un tratto che li contraddistingua, queste figure si incrociano a due a due nella Vienna a cavallo tra i due secoli. La città con la sua ipocrisia borghese fa da sfondo alle loro giostre amorose e li lascia soli alla fine della danza. La solitudine dopo l’amplesso arriva perentoria per ogni uomo e ogni donna, che non possono far altro che constatare l’illusorietà della conoscenza dell’altro e, contemporaneamente, lo sfaldamento della società che li accerchia.

Il Salotto - L'ABC di Erica e di Emma: una chiacchierata notturna, davanti a due pc.

Una scrittrice particolare, che ha deciso di raccontare qualcosa in più di sé, a distanza, attraverso quei canali che l'hanno resa famosa.
Tra un attacco di insonnia e l'altro, tra un'ora piccola e l'altra, Erica Vagliengo ed Emma Travet si sono raccontate, rispondendo a una raffica di domande, o meglio, a una sorta di abbecedario della loro vita.

A come Amore. Cosa ti affascina, cosa ti fa innamorare al punto di dire “devo registrarlo attraverso la scrittura”?

Le storie delle persone che conosco, di quelle a me sconosciute che incontro per caso. Spesso le appunto sul Moleskine o sul block notes del cellulare, per riportarle sul file “Appunti” nella cartella “Work in progess” legata al mio secondo romanzo. Riguardo al giornalismo e al blog: frasi di libri, lette sui giornali, pensieri scovati su Twitter, fotografie, vetrine di caffetterie e negozi vintage che vedo in giro… archivio tutto quanto mi fa innamorare per riprenderlo di notte, dandogli una mia personale lettura sul blog o attraverso un articolo.

B come Bambini. Come riesci ad amalgamare la tua anima materna al tuo (iper)dinamismo?

Con difficoltà. Perché spesso sono troppo iperdinamica, con mille pensieri creativi che vorrei diventassero subito realtà. Questo cozza con la vita reale (leggi alla voce: famiglia, figli, fare la spesa, pulire la casa, fare le lavatrici, cucinare e via dicendo). Ciò detto, sono contenta di aver avuto due figli, ma non sono tagliata per fare solo la mamma.

C come Contingenze. Quali sono le contingenze che ti hanno spinto a creare da sola il tuo lavoro?

Premetto che ho avuto la fortuna di capire subito che non avrei mai potuto vivere di giornalismo, già nel 2001, quando ho iniziato a collaborare con il mensile locale. Però sapevo anche una cosa: non avrei mai rinunciato a scrivere. Così sono riuscita a trovare un lavoro part time, legato a progetti finanziati dall’Unione Europea (in linea con i miei studi universitari), per avere una sicurezza economica mensile e il tempo libero da dedicare al giornalismo e, successivamente, al romanzo. Più che un lavoro ho voluto crearmi da sola un progetto che mi calza a pennello e che porto avanti dal 2007, quando ho lanciato Emma Travet. Scrivere un romanzo non sarebbe bastato ma occorreva trasformarlo in un tassello di un progetto più ampio, nel quale sperimentare i new media (che mi hanno sempre affascinata) e forme diverse di scrittura (come i post sul blog o su Facebook per creare un’interazione con le lettrici).

La decisione più importante

La decisione più importante 
di Giovanni Mennuni
Europa Edizioni, 2014

Pp. 294
€ 15,90



Sandro Pertini diceva che nella vita a volte bisogna saper lottare, non solo senza paura, ma anche senza speranza.
Giovanni Mennuni racconta la storia di un giovane d'oggi, di quelli che s'incontrano per strada, in un treno o in un qualsiasi posto; racconta le passioni politiche, le difficoltà nella lotta per la sopravvivenza contro chi non vede, non sente non parla, gli eccessi fatti di alcool e viaggi mentali a casa degli amici, i pomeriggi e le serate, mentre si parla di filosofia e poi di politica sotto i fumi dell' hashish.

Franco è sul balcone della sua stanza in una sera tiepida di settembre, a ritroso ricorda i suoi anni universitari  in un lungo flashback che occupa l'intero romanzo; Ansia e Rabbia le parole d'ordine, l'una per l'impossibilità di decidere l'altra per l'impossibilità di cambiare
Franco è un giovane universitario disadattato che vive gli anni del qualunquismo, in cui le ragazze frequentano le case dei capi di governo, all'epoca delle leggi adpersonam, dei (no)talent show e della (dis)unità nazionale.

#pnlegge2014 - Domenica: grande conclusione di un grande festival

Andate e ritorni
Foto ©GMGhioni

Ultima cronaca di #pnlegge2014, e mi spiace un po', perché in parte vuol dire chiudere uno dei festival più belli mai vissuti finora - e lo so che domenica sera è stato il vero finale, ma finché racconti tieni vive emozioni, sensazioni e anche un po' dei tanti interrogativi aperti dagli autori. Mi sono lasciata in chiusura i due incontri che hanno colmato il mio Pordenonelegge di curiosità: il pre-serata con Donato Carrisi, con un grande evento per non dire performance sul thriller italiano; la serata con i pro e i contro dell'italianità con Beppe Severgnini. 
Quanto ai sapori, profumi, agli spritz, alla simpatia un po' ruvida ma trasparente dei friulani, beh, sappiate che presto uscirà una cronaca alternativa, tutta da ridere insieme, su Il Magnetofono.

 
SPUNTI E INDIZI IN ATTESA DE "IL CACCIATORE DEL BUIO"

Foto  ©GMGhioni
Ma è proprio vero che gli italiani non sanno scrivere thriller? Si apre con questo interrogativo l'incontro appassionante con Donato Carrisi, tra le firme più note che stanno rivoluzionando il genere. Se il suo Suggeritore è ormai un punto fisso per chi cerchi un brivido e tante ottime indagini, il primo successo non basta a segnare uno scrittore: secondo Carrisi, la definizione di "scrittore" arriva solo con il secondo libro; prima si è esordienti, semmai di successo. Ma nel suo caso il secondo libro è arrivato, e così un terzo e un quarto, e adesso l'Italia conta i giorni che mancano dal lancio del nuovo Il cacciatore del buio. Questione di giorni, certo, ma Donato ha deciso di incuriosirci chiedendoci quale sia il più grande archivio criminale del mondo. La mente è corsa subito a Guantanamo o posti simili e invece... è molto più vicino, e per precisione in Vaticano! 

E tu? Vorresti scrivere per «Vanity Fair»?: il vademecum di Emma/Eric. Un vademecum per tutti.


Voglio scrivere per Vanity Fair
di Emma Travet (Erica Vagliengo)
goWare
2014


Assuefarsi alla superficialità è cosa facile in un mondo colmo di lustrini e glitterato fino alla nausea. Il glamour che Carry Bradshaw chiede a Mister Big in una scena di Sex and the City 2 va bene, ma se preso a piccole dosi, e soprattutto con eleganza e intelligenza. 
Poca eleganza e poca intelligenza mostrano coloro che con superficialità bollano come frivolo e leggero, quello che lo è, ma solo in apparenza. Il mondo della moda, del giornalismo che strizza l’occhio allo chic, al glamour, al glitter in apparenza è tutto fumo e niente arrosto. Ma le cose stanno veramente così? 

Erica Vagliengo, o meglio, Emma Travet, non può essere considerata una superficiale, anzi. È una ragazza che ha saputo costruire una superficie intelligente, ironica, ma soprattutto profonda. 
Lucidamente consapevole delle logiche che muovono il mondo del lavoro, della moda, della mondanità, ha deciso di scoperchiare il vaso di Pandora e di mostrare la fatica che c’è dietro la patina glitterata. 

#pnlegge2014 - Domenica: quando la lettura non si ferma un attimo (1^ parte)

Ricordi pordenonesi.
Da sinistra: Noemi Cuffia, io, Michela Zin, Sara Bauducco.

Si sapeva che la domenica ci sarebbe stato un boom di presenze autoriali, e si sperava che anche i lettori crescessero parimenti. Ma i numeri, qui, sono stati molto più alti delle migliori aspettative. Come hanno segnalato ieri sulla pagina Facebook di Pordenonelegge (e vi consigliamo di diventare fan), si sono contate circa 130.000 presenze! E quanto è stato social il festival? Tanto (e noi siamo chiaramente tra i contributori assidui dall'account di @cletteraria, ma anche da @gloriaghioni).

Ma ora veniamo agli incontri, che ho per forza dovuto dividere in due post, o ci avreste messo troppo tempo per scoprirli tutti.

Premessa: ho aperto la mattinata con lo stupore per la mostra "Gli scrittori nel loro habitat" presente fino al 12 ottobre vicino al palazzo della provincia. Roberto Nistri è un fotografo eccezionale, e spero di potervi presto regalare una sua intervista!


SVELARE IL VELATO CON LILIN

Foto ©GMGhioni

Ricordo che Marco Caneschi, una delle firme migliori di CriticaLetteraria, mi aveva raccontato il bello di condividere il palco con Lilin (clicca qui per la cronaca), e a Pordenonelegge ne ho avuto la prova. Nicolai Lilin è un autore di grande ricchezza intellettuale, e non teme di donarsi ai suoi lettori e agli spettatori, che erano tantissimi in sala.
E proprio parlando dello stile, mutato dall'Educazione siberiana a Il serpente di Dio, commenta che «la scrittura è un processo che non si ferma mai, anche per questo è difficile fermare il mio stile in una definizione». E proprio a muovere la pubblicazione dell'ultima uscita è stato il bisogno di riaffermare che 
la guerra è solo dolore e sporcizia.

Lezioni in paradiso, di Fabio Bartolomei


Lezioni in paradiso
di Fabio Bartolomei
Edizioni e/o
p. 144
€ 15,00




L’incipit del romanzo è una pagina di prosa poetica. 
«Costanza aveva la pelle di un bianco ostinato, gli occhi azzurri e i capelli neri che si avvitavano dolcemente dal collo in giù. La sua bellezza possedeva ancora l’incanto della materia terrena: nitida, raccontata con discrezione dalle linee ondulate della sua veste leggera, un confine di cotone acrilico tra lei e la perfezione del creato». 
Per la prima volta in un libro di Fabio Bartolomei la protagonista ha un volto femminile. Dopo un improbabile trio di quarantenni, una banda di arzilli vecchietti e un bambino dalla sensibilità prodigiosa, Lezioni in paradiso racconta di una ragazza inconsapevole delle proprie qualità sulla soglia della vita ultraterrena. Non si tratta di un’anima qualunque, sebbene sia una poco più che trentenne come oggi se ne incontrano tante, una con belle speranze, tanta motivazione e senza lavoro. In questo i romanzi di Bartolomei non cambiano, il tono oscilla tra una poeticità a tratti malinconica, un’ironia irresistibile e l’attenzione al presente, alla realtà di un paese che viviamo giorno per giorno.

Dicevo della poeticità e di un po’ di realismo, Costanza è appena morta, ma partecipa a uno strano colloquio di lavoro in cui si ritrova ad ascoltare frasi già sentite come «Lei non ha nessuna esperienza», e poi un’osservazione un po’ meno frequente: «…ma in fondo è un buon curriculum». Per la prima volta le viene proposto un contratto vero e proprio, a tempo eterno. Ricorda quello di pochi fortunati della nostra generazione che hanno un lavoro ma non andranno mai in pensione.

#Scrittori in ascolto - con Edoardo Boncinelli





Stavolta in ascolto sono rimasto io, perché ho avuto l’onore di poter interloquire con il grande genetista e biologo molecolare Edoardo Boncinelli in occasione della presentazione del suo “Alla ricerca delle leggi di Dio”, Rizzoli. Un libro che attraversa tutta la storia della fisica, dalla meccanica classica alla quantistica, che è anche un’attraversare la filosofia e innumerevoli suggestioni. La prima cosa che mi è saltata agli occhi è stata proprio una frase di Boncinelli:

«Tutti coloro che sottolineano esageratamente ogni mutamento nella scienza e che parlano di un certo numero di rivoluzioni scientifiche, mostrano di ignorare, più o meno in buona fede, che i problemi nuovi o nuovissimi hanno un cuore antico».

#Pnlegge2014 - Sabato: unico problema? Non avere il dono dell'ubiquità (2^ parte)



Eravate già stati travolti dalla quantità di eventi di sabato (la prima cronaca è qui)? Bene, non è ancora niente. Il pomeriggio e la serata di sabato sono stati ancor più intensivi, con pochissimo tempo per lo spritz quotidiano (anche i blogger hanno le loro necessità) e tantissimi km tra una sala e l'altra, quasi da velocisti.

CONTRO LA MALINCONIA?

Foto ©GMGhioni
Sala piena per Georgi Gospodinov, che presentava a Pordenone il suo Fisica della malinconia. Un titolo emblematico, di grande forza evocativa, che sembra cozzare con il bel sorriso dello scrittore, che osserva curioso e - si dice - stupito per la folla lì presente, nonostante la coda per Eco fosse già in corso. Ma basta sentire l'inizio dell'incontro con Gospodinov per avere la certezza di essere proprio nel posto giusto. Il romanzo ha per protagonista un malato di... empatia! Avete mai pensato a cosa accadrebbe se sentissimo e vivessimo le vite degli altri? Non solo dei nostri amici e parenti, ma persino dei miti classici! 
Gospodinov apre la conversazione con un interrogativo, che verrà via via smontato dalla potenza della sua trama:
Nessuno fa la reclame per vendere una Mercedes triste; così teoricamente la malinconia andrebbe evitata... o no?

#LibrinTrincea - Il mondo senza sonno di Stefan Zweig





Il mondo senza sonno 
di Stefan Zweig
Skira 2014

pp. 98
12 Euro

Animo mitteleuropeo e profonda conoscenza delle dinamiche politiche di fin de siècle, Stefan Zweig ha saputo raccontare con grande trasporto lo sconvolgimento della Prima Guerra Mondiale. Il mondo senza sonno, quattro racconti inediti in Italia, ritrae i sentimenti che attraversarono l'Europa della Grande Guerra.
Nato a Vienna nel 1881 da famiglia ebrea, Zweig era un intellettuale cosmopolita, viaggiatore e traduttore di numerose opere soprattutto dal francese. Questo dinamismo gli derivava dal retaggio ebraico ma anche dalla cultura austro-ungarica. Proprio del tramonto di quell'impero Zweig fu interprete, narrandone la nostalgia in Il mondo di ieri (1940-41), considerato spesso la sua autobiografia sebbene al centro di essa non ci sia l'autore con le sue vicende private bensì un mondo rimpianto.
L'opera, infatti, tratta dagli ultimi decenni dell'impero fino all'ascesa di Hitler. A causa dell'annessione dell'Austria  Zweig dovette lasciare la patria per trasferirsi a Londra, New York e infine a Petropolis, in Brasile, dove morì suicida insieme alla seconda moglie nel 1942.

#Pnlegge2014 - Sabato: parte un weekend di fuoco (1^ parte)

© GMGhioni
Basta sfogliare il libretto di PordenoneLegge per accorgersi che gli eventi si moltiplicano di sabato e diventano addirittura difficili da ricordare di domenica. Proverò comunque a raccontarvi cosa è accaduto oggi.


TRA ETICA E STORIA: "LE ZONE MORTE" DI SIMON PASTERNAK

S. Pasternak con A. Garlini
Cosa accade a un uomo quando è sotto la pressione della storia, degli affetti e dell'amicizia? Le zone morte di Simon Pasternak (Longanesi) muove da questo interrogativo molto complesso, cui si aggiunge il desiderio di sfatare un falso mito: non è vero che in Danimarca ci fosse poco nazismo; anzi, i soldati delle SS erano più dei partigiani! E tuttavia Le zone morte non è un romanzo tedesco, né prettamente sul nazismo: a Pasternak interessava l'aspetto umano, forse su ispirazione delle lettere scritte da un vecchio zio che era passato al nazismo. 
Queste, le mosse da cui prende avvio un romanzo avvincente, che per Alberto Garlini sarebbe riduttivo definire "thriller storico". Il romanzo porta avanti infatti un punto di vista complesso: non quello di un vincitore o di un vinto, ma parla attraverso gli occhi di uno spettatore che decide di non prendere posizione. Ma ce la farà?  

#Pnlegge2014 - Venerdì: al via la Mappa dei sentimenti

© GMGhioni


La giornata del venerdì a Pordenonelegge ha una caratteristica: oltre ai consueti incontri, otto scrittori sono stati chiamati a intervenire su sentimenti universali (amore, amicizia, felicità, inquietudine, invidia, per dirne qualcuno), creando un racconto ad hoc e (quando vogliono) commentando con il pubblico. Un bell'esperimento, che impegna gli autori in un lavoro originale: il famoso spunto dall'esterno, per intenderci... Ma andiamo con ordine.

UN RISVEGLIO A SUON DI LÙBRICO O LUBRÌCO


Espressione giustamente sconvolta in un bel "no"
No, non sono impazzita: è che la mia mattinata a Pordenonelegge si è aperta a suon di grammatica: quando ho sentito che erano presenti Valeria Della Valle e Giuseppe Patota non ho potuto resistere! Un po' per attaccamento alle mie radici accademiche, un po' (tanto) per le simpatiche e competenti ospitate dei due a "La lingua batte" su Radio 3, mi sono precipitata al Convento di San Francesco, dove ho avuto una piacevole sorpresa: grammatica, etimologia, lessico e curiosità letterarie sono state trasformate in un "quizzone" per le scuole. I ragazzi, agguerritissimi, avevano lasciato gli smartphone negli zaini fuori, per non "vincere facile", e in effetti le prime risposte drammatiche hanno dato prova d'onestà.
I nostri linguisti preferiti non si sono persi d'animo, e anzi sono riusciti a distribuire più 'dantini' agli studenti che hanno poi vinto copie dei loro libri.

Il Salotto: intervista a Yeng Pway Ngon

Singapore Literature Prize 2012 e South East Asian Award 2013: Yeng Pway Ngon è la voce letteraria più importante del sud-est asiatico. 
Nato a Singapore nel 1947, esordisce negli anni '60 come poeta modernista. Scrittore, saggista, drammaturgo, ha collaborato come editorialista con diversi quotidiani di Hong Kong. Nel 1978 è stato arrestato e tenuto in custodia per alcuni mesi dalla polizia di Singapore perché sospettato di attività sovversive; dagli anni '80 si dedica a tempo pieno alla scrittura. 
Con L'Atelier, romanzo edito in Italia da Metropoli d'Asia nella traduzione di Barbara Leonesi, ha scritto "il grande romanzo di Singapore", una storia corale che inizia negli anni '50 e arriva fino al 2000. Tutto comincia dal Maestro Yan Pei e dalla villa in stile occidentale dove i suoi allievi artisti si incontrano. Dall'Asia all'Europa, il romanzo è il racconto di una serie di vite scandite dalla passione artistica, dall'amore, dagli ideali politici. 
L'Atelier è ambientato in un mondo sconosciuto alla maggior parte dei lettori occidentali: Singapore è un'anomala città stato in continuo cambiamento, con una storia sospesa tra oriente e occidente. 
Yeng Pway Ngon ha dichiarato che questo libro racchiude le storie di "un gruppo di solitudini" perché i personaggi sono soli di fronte a se stessi, si scontrano con una realtà che rende irrealizzabili i propri sogni e ideali. Da Singapore a Paigi passando per la giungla malese, ognuno sopravviverà a suo modo, accettando di guardarsi dentro.
Abbiamo incontrato l'autore a Milano, durante il tour di promozione del romanzo in Italia.
Ecco cosa ci ha raccontato...

#Pnlegge2014 - Giovedì: tra filosofia e politica



 Secondo giorno a Pordenonelegge: tante le aspettative, aperte dalla prima giornata (leggi la cronaca), e anche oggi non sono state per niente disattese.

POLITICA 2.0 E DEMOCRAZIA DIGITALE

Dopo gli incontri per i più piccoli e un aggancio alle Beatitudini (ambizioso programma di esegesi ed ermeneutica biblica), è venuto il momento della riflessione sulla politica 2.0. Con Fabio Chiusi e Sergio Maistrello, lunghi e animati interrogativi su cosa sia la vera democrazia digitale, e se sia applicabile ai modelli politici italiani. Inutile dire che la problematicità e i punti critici erano tanti, a cominciare dal numero di referendum e petizioni online che racchiudono nella domanda una certa tendenziosità. Inevitabili i cenni a certe scelte dei grillini, che metodologicamente Chiusi non approva, ma rispetta da un punto di vista di scelta. Un punto su cui anche il pubblico ha concordato è stato il seguente: perché tante istituzioni chiedono partecipazione del cittadino, se poi non esaminano e/o tengono in conto i risultati?

Sarah Rayner - Un attimo, un mattino

Un attimo, un mattino
di Sarah Rayner
Guanda, 2012




Devo fare una premessa: Un attimo, un mattino mi è stato regalato a Natale. Natale 2012. Per due inverni ha accumulato polvere in libreria sorretto da Pirandello da una parte e dalla Serrano dall'altra. Le mie priorità di lettura sono state altre, potete capirmi. La copertina (cinque tazze da the in ceramica rosa e azzurrino, sotto a un temporale) mi ha fatto pensare da subito a una classica lettura femminile e chi me lo ha regalato non ha questo grande back ground letterario da far sì che io mi possa fidare senza dubbio delle sue scelte. Probabilmente a lei le tazzine da the piacciono. Pregiudizi, vero. Che poi non c'è nulla di male a leggere un romanzo scritto e pensato per un pubblico femminile senza grandi pretese. Ma ci vuole l'occasione giusta, e mi si è presentata al momento di partire. Giorno festivo, biblioteca chiusa, altre centinaia di libri che ho a casa da poter portarmi dietro, ma comunque ha vinto la necessità di una lettura leggera e distensiva. Così ho chiuso il libro in valigia (insieme a Umberto Eco, per compensare) e sono partita per il mare. Là dove sotto gli ombrelloni vivono solo esemplari di Donna Moderna, Chi, Gazzetta dello Sport, Settimana Enigmistica e Cinquanta sfumature. Ancora pregiudizi, la smetto. Insomma ho cominciato a leggere il mio romanzo e tutto sommato non posso dire che mi sia dispiaciuto.

#Pnlegge2014 - Mercoledì: scaldiamo i motori



Quest'anno, per la prima volta, CLetteraria è ospite di Pordenonelegge, per seguire gli eventi, ma anche per respirare l'aria tutta letteraria che macchia le vie della città del classico giallo-festival. Per celebrare il 15° anno del Pordenonelegge, una divertente iniziativa che ha fatto molto discutere: una casa-mostra con tutte le locandine di queste edizioni. Non solo una scelta artistica controversa, ma soprattutto un'occasione per ridiscutere ospiti e incontri dei quindici anni passati.

VENEZIA, DOVE L'EDITORIA MODERNA È NATA
Poteva esserci Pordenonelegge senza uno sguardo sull'editoria? E quest'anno la prospettiva è arretrata al XVI secolo, quando nella laguna veneziana Giovanni da Spira e soprattutto Aldo Manuzio hanno approntato la stampa moderna. La relatrice, Michela Dal Borgo, riconduce la fama e la fortuna di Venezia ad alcuni fattori favorevolissimi: accanto alla libertà di stampa (Da Spira la ottenne nel 1469, quando pubblicò le Epistolae ad familiares di Cicerone), una fitta rete commerciale, disponibilità di capitali e di carta. Poi, un alto grado di alfabetizzazione, che ha portato moltissime famiglie venete a possedere almeno un volume. Infatti, nella sola Venezia nel XVI secolo c'erano almeno 35milioni di libri!

Essi vivono, e lottano contro di noi: "Stronzology" di Amleto De Silva

Stronzology. Gnoseologia della dipendenza dagli stronzi
di Amleto De Silva
LiberAria, 2014

pp. 175
€ 10,00


Quando andavo all'Università, erano quasi riusciti a convincermi che le parole servissero a capire le cose. Avete presente, no?, tutte quelle storie sul logos che è parola e anche ragione, e sul verbo che è anche Verbo e quindi Dio, e tutto il resto. Poi, lasciandomi alle spalle il fatato regno dell'Accademia per il più terragno mondo del lavoro, ho capito che il vero scopo delle parole è un altro: fregare la gente. Quando in ufficio senti dire: "Bisogna fare una chiacchierata con il cliente", significa che sta per arrivare un tizio il cui destino è essere avvolto da una nube purpurea di ciarle così fitta e densa e ottundente da prostrarne la mente ad un livello di prona obbedienza che non vada oltre l'articolazione di un semplice "Sì". È proprio la prima cosa che ho imparato negli uffici: "chiacchierata", nel mondo vero, sta per "inculata". Chi possiede il potere della parola, possiede il mondo. Già, ma chi possiede il potere della parola?

Semplice: gli stronzi.

Stronzology, il nuovo libro di Amleto De Silva, è un'indagine filosofica sul concetto di "stronzo" e le sue varie manifestazioni concrete, svolta non in forma di manualetto di auto-aiuto, ma nei toni e nelle modalità di una conversazione da aperitivo: multiforme, variegata e divertentissima. E proprio nel legame stretto e indissolubile che sussiste tra gli stronzi e l'uso accorto e sirenico della parola, che percorre il volumetto dall'inizio alla fine, sta uno dei fulcri dell'indagine.

«Intrecci di ricordi che riescono a far lampeggiare immagini quasi reali al punto da provocare un'identificazione»: Matteo Nucci, «Le lacrime degli eroi»


Le lacrime degli eroi
di Matteo Nucci
Torino, Einaudi
2014



Le lacrime degli eroi di Matteo Nucci (Einaudi, 2014) è un libro straordinario, o meglio extra-ordinario: un libro che confonde, che infonde qualcosa. Un libro che trasuda umano: che apre prospettive (accademiche e non) su un mondo, quello greco, che, per troppo tempo, è stato ammantato dalla (futile) pretesa di essere stato scandagliato in ogni ombra e in ogni luce. 
È stato davvero detto tutto sui miti? È stato davvero detto tutto sui poemi omerici? 
Le lacrime degli eroi è la testimonianza che la risposta non può che essere negativa: ci sono ancora mondi inesplorati, che accompagnano il lettore in vortici di senso, in catabasi testuali, in spirali che non conoscono fine. 
Un libro che pone l’accento sull’umano troppo umano degli eroi, sull’umano deificato degli dei, e sulla letteratura che Omero, volente o nolente, continua a produrre. 
Una passeggiata tra epoche, che non risparmia nulla: c’è Platone, c’è Aristotele, ma ci sono anche Achille, Odisseo, Niobe, Demetra, Persefone, Adone. Tutti alla corte di un’intelligenza e di un’acribia, qualità intrinseche e mai velate, proprie di un magistrale Nucci. Che non pretende l’esaustività, e con un coraggioso atto di umiltà, accompagna le sue pagine a una bibliografia essenziale, ma mirata. Mirata a cosa? Non di certo a dire tutto. Mirata, piuttosto, ad aprire prospettive di ricerca inedite: echi che continuano, che contano, che si fanno fortissimi e prepotenti nelle pagine delle letterature mondiali che saranno e che si troveranno a fare i conti con la culla della civiltà. Con la Grecia. 

#CritiComics | "La gigantesca barba malvagia": fiamme eterne e mostri tricotici

La gigantesca barba malvagia
di Stephen Collins
Traduzione di Leonardo Favia
Bao Publishing, 2014

pp. 240
€ 21,00 cartaceo

C'è una canzone delle Bangles che fa da colonna sonora a “La gigantesca barba malvagia” di Stephen Collins (Bao Publishing, 2014). “Eternal flame” confonde e consola: è una classica ballad anni Cinquanta contaminata però dai cori e dalle cotonature degli Ottanta che sembra partire come una canzone d'amore e poi si riveste se non di un tono religioso, almeno di un'atmosfera mistica. Gioca continuamente a rassicurarci con la sua classicità e a disorientarci con inaspettate virate moderne. Non si tratta però di un mix di elementi tra loro opposti al fine di ottenere uno strambo giocattolo, “Eternal flame” costruisce piani distinti che comunicano tra loro e si fondono sino a formare un'unica e inquietante entità da cui emergono in maniera indistinta i due elementi.

Anche il lavoro di Stephen Collins sembra un blob mutaforma in cui l'illustratore continua a sommare elementi alla premessa rendendo la sua creatura sempre più grande, sempre più varia e sempre più complessa. Eppure tutto sembra iniziare come una favola: il nostro protagonista vive in un mondo perfetto, l'unico problema è quel pelo che un giorno spunta sul suo viso glabro. Un pelo che ben presto diventa una barba ingovernabile che si espande per tutti la città come un mostro malvagio.

Tra un passato non deglutito e un presente indigeribile...

Alta fedeltà
di Nick Hornby
"Le Bussole" Guanda, 2014

Prima edizione: 1995

pp. 401
€ 10



Hai bisogno di zavorrarti più che puoi per non andare alla deriva; hai bisogno di gente attorno a te, hai bisogno di vedere camminare le cose, altrimenti la vita è come girare un film e finire i soldi, così non ci sono più scenari, né riprese in esterni, né comparse, ma solo un tizio che fissa la cinepresa senza niente da fare e nessuno a cui parlare, e chi ci crederebbe mai a un personaggio così? Qui mi serve più roba, più frastuono, più particolari, perché ora come ora corro il rischio di precipitare nel vuoto. (p. 100)

Ci sono libri che attendono. Il momento migliore per lasciarsi aprire e portarti a riflettere sulla pelle degli altri, di personaggi che all'inizio ti fanno sorridere e poi ti fanno boccheggiare perché in quella situazione ci sei stato anche tu, e hai pensato le stesse cose... Libri banali? No, libri sinceri o scaltri, dipende dal grado di cinismo con cui li guardiamo. Libri che sanno pensare - e pensarti.
Questo accade con Nick Hornby e il suo Alta fedeltà, uno dei romanzi che hanno consacrato il suo successo anche in Italia, e non sorprende che Guanda abbia inaugurato la sua collana (bellissima!) delle Bussole proprio con questo titolo.

Robert Fleming (Rob) è un uomo comune e un io-narrante ironico e autoironico; si descrive senza falsa modestia, pur senza incensarsi. O meglio, si vanta di avere quel "talento per la normalità" raro a trovarsi:

#LibrinTrincea - Dalton Trumbo, "E Johnny prese il fucile"



E Johnny prese il fucile (Johnny got his gun, 1939)
di Dalton Trumbo
Traduzione dall'inglese di Milli Griffi
Bompiani, 2003 (prima edizione italiana 1949, edizione di riferimento per questa recensione 1972)

pp. 250



Lui era un uomo morto con una mente che sapeva ancora pensare. Lui sapeva tutte le risposte che sapevano i morti ma loro non potevano più pensarle. Lui poteva parlare per i morti perché era uno di loro. Lui era il primo soldato fra tutti quelli morti dall'inizio dei tempi che avesse ancora una mente con la quale pensare. Nessuno poteva avere qualcosa da ribattere. Nessuno poteva dimostrare che si sbagliava. Perché nessuno sapeva tranne lui.
Il nome di Dalton Trumbo è legato alle vicende della Commissione di inchiesta sulle "attività antiamericane" che lo interrogò durante il periodo della "caccia alle streghe" contro i nemici degli Stati Uniti (allora erano i Comunisti, prima lo erano stati i Giapponesi, oggi lo sono i terroristi, domani forse i Marziani); al pari di altri intellettuali che come lui si rifiutarono di rispondere alla Commissione, nel 1950 Trumbo fu incluso in una lista di proscrizione e condannato a un anno di prigione per oltraggio al Congresso.

Trumbo non risulta fra i grandi della letteratura americana contemporanea, avendo lavorato più che altro come sceneggiatore di film per l'industria cinematografica hollywoodiana, tanto che nel 1971 sceneggiò e diresse egli stesso il film tratto da questo libro.
Nonostante questo, E Johnny prese il fucile è forse il romanzo antimilitarista per antonomasia, comunque una delle opere più famose in cui vi siano il rifiuto della retorica patriottico-nazionalista e la condanna senza appello della guerra.
La prima guerra mondiale cominciò come una festa d'estate, tutta gonne al vento e spalline dorate. Milioni e milioni di persone sventolavano i fazzoletti dal marciapiede mentre le piumate altezze imperiali, le serenità, i feldmarescialli e altri idioti del genere sfilavano per le strade delle principali città d'Europa alla testa dei loro scintillanti battaglioni.
Era un momento generoso, il momento delle vanterie, delle bande, delle poesie, delle canzoni, delle innocenti preghiere. [...] Nove milioni di cadaveri si contarono alla fine quando le bande si zittirono e le serenità cominciarono a scappare, mentre il lamento delle cornamuse non sarebbe stato più lo stesso.

Pillole d'Autore - l'universo poetico di Charles Simic


Hotel insonnia,
di Charles Simic
a cura di Andrea Molesini
Adelphi, 2002

pp. 191
€  11,50


Il mostro ama il suo labirinto,
di Charles Simic
Adelphi, 2012

pp. 149
€ 12

“Io scrivo poesie per annoiare Dio e far ridere la Morte. Perché voglio che ogni donna del mondo si innamori di me”.

Avvicinarsi alla poesia di Charles Simic significa entrare in un universo inafferrabile e sconfinato. Affrontare un viaggio senza ritorno. Perdersi senza bussola. In un mondo misterioso e affascinante, dove ogni cosa viene nominata, disegnata, raccontata, scoperta per la prima volta. Un mondo assoluto perché incomprensibile, al di fuori da ogni sistema di riferimento. Dove la mappa delle nostre conoscenze e delle nostre sensazioni viene riscritta e ricompilata. Un’esperienza che ti segna. Qualcosa che resta.

Forse proprio per questo Charles Simic ha un grandissimo successo negli Stati Uniti. È senz’altro uno degli scrittori più acclamati d’oltreoceano. Premio Pulitzer, poeta laureato del Congresso, ha all’attivo oltre venti raccolte. Amico intimo di Mark Strand e James Tate. Eppure autore senza precedenti, caso davvero unico. Personaggio inimitabile e irripetibile. Lontano da tutte le correnti americane del secondo Novecento, da tutte le convenzioni e le scuole, gli avanguardismi. Per lui si è parlato di “imagismo minimalista”. Ma è un’etichetta che proprio non regge.

Purtroppo in Italia non è stato pubblicato molto. Anche se Adelphi ha colmato negli ultimi anni questa lacuna con una splendida antologia del 2002, Hotel insonnia, titolo che dava già il nome a una raccolta del 1992. Il volume è stato curato e tradotto da Andrea Molesini e offre un’ottima prospettiva di tutto il lavoro del poeta serbo-statunitense. A questa si aggiunge, sempre per Adelphi, una raccolta di riflessioni, uno zibaldone edito nel 2008 negli Stati Uniti e nel 2012 in Italia, dal titolo quanto mai significativo, Il mostro ama il suo labirinto (traduzione di Adriana Bottini). Lì è messo in bella mostra tutto il Simic che c’è in Simic.

#FestLet incontra #LectorInFabula: le fiabe dei grandi autori del '900 in digitale


E chi ha detto che un festival della letteratura deve occuparsi solo degli autori presenti? L'operazione di quest'anno a Mantova è decisamente nuova: riprendono vita le fiabe d'autore del '900! Sapevate che Morante, Munari, Landolfi, Calvino, Chiara (solo per fare qualche nome, ma la bibliografia è vastissima) hanno scritto fiabe?



Bene, durante il Festival della Letteratura è stato possibile visitare una "biblio-mostra" davvero nuova, che ci permette di improvvisare un neologismo.

Nel "Palazzo delle fiabe", in collaborazione con i bibliotecari della provincia di Mantova, sono state raccolte numerose fiabe di autori del Novecento, che i visitatori possono consultare, sfogliare, ma anche sedersi a leggere. L'atmosfera, scaldata da lampade a terra e simpatici cuscini, è decisamente invitante, e non è affatto strano, tornandoci in momenti diversi, trovare bambini e anziani seduti lì, a pochi centimetri, con le fiabe tra le mani.

Anche i titoli, del resto, attraversano tutto il Novecento: da Capuana a Benni, da Imbriani a Camilleri, da Lussu a Nori, da Sciascia a Soldati... Accanto a loro, i più autori di fiabe: Pitzorno, Piumini, Lodi, Rodari.
E poi si scopre che anche tanti poeti si sono cimentati con la forma della fiaba: basti pensare a Morante, Montale, Gatto, Lamarque, Porta, Raboni, Zanzotto.
Un insospettabile? Gadda, che ha scritto Il mio primo libro delle favole (Garzanti, 1976).

Un impero bianco fondato su sangue e petrolio

Il figlio
(The Son)
di Philipp Meyer
Einaudi, 2014 (2013)


pp. 546




Prima di Houston e Dallas c’è una storia, sia chiaro a tutti. Prima di grattacieli, petrolieri e famiglia Bush possiamo andare a ritroso, più o meno in prossimità dell’infanzia del mondo. Scoprire che c’erano i Mogollon. E chi sono? Non si sa: spariti all’improvviso, pare, tipo i dinosauri. Erano umani e avevano fondato una civiltà, sembra, niente male. È l’America precolombiana, ma non aztechi e incas bensì... el norte. Sì, perché oltre il Rio Bravo, o Rio Grande, dipende da quale sponda ci si tuffa, stavano abitanti autoctoni.
Comunque a un certo punto i Mogollon si dissolvono e arrivano gli indiani, proprio quelli dei film: Apache, soprattutto. E via, un altro impero. Dopo gli Apache ecco i Comanche che scacciano i primi letteralmente a calci e a colpi di ascia. Gente, ardimentosa, tosta, neppure gli spagnoli che intanto fondano colonie a ripetizione ne riescono ad avere ragione e queste colonie spagnole sono tutte Messico, su su fino al… Texas. Perché in questo libro siamo in Texas.

Arrivano i pagliacci, l'ultimo romanzo di Chiara Gamberale

Arrivano i pagliacci
di Chiara Gamberale
Mondadori, 2014

pp. 216
€ 15

Durante un trasloco dovete stare molto attenti a quello che ficcate negli scatoloni, a quello che buttate nell’immondizia, a quello che lasciate, a quello che regalate alla portiera e a non finirci voi negli scatoloni, nell’immondizia o dalla portiera.”

Inizia così il romanzo di Chiara Gamberale che non è nuovo al pubblico. La prima stesura è infatti del 2003 ma ora, a distanza di 11 anni, l'autrice ha deciso di rimettere mano a questo testo, a rivisitarlo, e a ripubblicarlo.

È una storia che parla di traslochi, come si intuisce dall'incipit. La protagonista è Allegra, la voce narrante, che prima di trasferirsi e lasciare la casa ai futuri inquilini scrive una lunga lettera, una sorta di manuale di istruzione. Dove a parlare sono gli oggetti che lascia volontariamente in questa casa. E consegna tutto al nuovo arrivato, questa coppia in dolce attesa, i signori Godalla, che forse nemmeno esistono e Allegra solo se li immagina. A loro affida la storia della sua casa e della sua famiglia.

Chi è Allegra, che in questo nome così bello tiene chiuse tante sfumature? Allegra Lunare è una giovane ragazza che il 20-02-2000, quando scrive, compie vent'anni. È l'anno zero dice lei, ed è un problema serio: “il 2 del giorno e quello del mese si eliminano a vicenda e così anche il 2 dell’anno e il 2 dei miei anni e viene fuori ZERO. ” I suoi venti anni, traguardo importante, potrebbero farle un brutto scherzo e chiuderla in uno scatolone e spedirla chissà dove. Invece Allegra scrive e lascia il suo messaggio al futuro.

La sua famiglia è ordinaria e straordinaria allo stesso tempo, come tutte. Una “famiglia normale” come si dice sempre, con qualche elemento assolutamente speciale.

Suo padre Ettore negli anni settanta voleva la rivoluzione, studiava filosofia ma crescendo (o invecchiando) si smussa e si adagia sulla sua poltrona in vimini, sostituisce L'Unità col Corriere. È un uomo che “nella classifica delle cose belle della vita mette Suzanne di Leonard Cohen perfino davanti alla sigaretta dopo il cappuccino”.

Sua mamma è americana e viene in Italia da giovanissima per un'offerta di lavoro per una campagna pubblicitaria. Ma come in ogni storia d'amore qualcosa va storto e la quattordicenne Patty si innamora di Ettore, che ha 10 anni in più di lei.
Da quella notte mia madre fu per mio padre la sostenitrice instancabile, al suo fianco sempre e comunque per appoggiare con il silenzio ogni sua mossa, per poi – una volta compiuta – trasformarla in un palloncino con fiumi di chiacchiere inutili e farla volare via”.

Nei primi anni della loro unione vivono in un appartamento con Adriana e Matilde, compagne nella vita e presenze costanti nella vita della famiglia Lunare.
Papà ci mise poco ad affezionarsi a quelle due e ancora meno ci misero quelle due a diventare le sorelle maggiori di papà, le sue più accanite fan in qualunque casino lui si ficcasse, primo fra tutti il rimbambimento per l’americanina con miliardi di lentiggini e quattordici anni.”

Presto il primo figlio, si chiama Giuliano detto Giù, ed è nato con la sindrome di down. E poi, poco tempo dopo, arriva Allegra ed è allora che si trasferiscono nella loro casa.
Almeno quel giorno la scena fu tutta di questa bambina nuova che arrivava e che per un momento sembrava dire che il cancro la Dc l’handicap e il ventisette del mese erano solo degli scherzi, di cattivo gusto sì, ma comunque degli scherzi”.

E poi ci sono tutti gli altri: amici, amori, affetti. Cambiamenti, addii. Tutto è intrinsecamente legato alla casa e agli oggetti che la popolano, che non sono semplici cose vuote di significato, ma un lascia passare ai ricordi e alle esperienze più toccanti della sua giovane vita.

Ci sono le ali di cartapesta, fatte da Allegra per la recita scolastica, il momento in cui capii che da grande avrebbe recitato. Tre piatti rotti da suo padre in un momento di crisi e sconforto. La sedia di vimini su cui si sedeva. Le foto incorniciate, ricordo di momenti sereni, il calendario dei Beatles. Peluches, un orologio, posters. Tutto ha qualcosa da comunicare sotto la guida attenta di Allegra.

Fa pensare a tutte le cose che riempiono le nostre case: quante hanno qualcosa da dire? La verità, le bugie, la tenerezza, le lacrime. Le paure, le risate, le canzoni . Tutto ciò che fa della nostra una vita vissuta.

Di colpo qualcosa si rompe, l'equilibrio si incrina. Già nelle prime pagine del romanzo abbiamo degli accenni, qualche indizio. Si parla, così, dal nulla, di Vera Salesani. Chi è questa donna e perché la foto della sua laurea è appesa a una parete della casa di Allegra? Lo scopriamo piano piano. Vera è una psicologa molto brava che prende in cura Giù in un momento difficile. Non solo. Anche Ettore va ad una seduta dalla dottoressa e come talvolta accade Ettore si innamora di questa donna, così colta e così lontana dalla sua “americanina”. La sposa, la porta a vivere a casa sua. Ettore vuole ricominciarsi e questo Allegra non lo può superare, e mentre il padre trova un nuovo lavoro e crede di stare meglio Allegra non vive serenamente. La sua vita cambia senza che lei lo abbia chiesto, una nuova donna lascia il suo cappotto sulla porta, la sua mamma è andata in India.

La vita è fatta un po’ così, che tu ti affanni a pensare se in quel punto lì starebbe meglio un pezzettino di lego blu da due o due rossi da uno e, mentre pensi e ripensi, la costruzione si fa da sé, così ti svegli una mattina e in quel punto lì ci trovi un pezzettino verde da tre”.

Ma anche se la vita va avanti per il suo corso bisogna portare pazienza. Come le ha insegnato il suo amico Francesco, che conosce il circo, dopo il numero dei trapezisti, così pericoloso, arrivano i pagliacci. Arrivano i pagliacci e si può tirare un sospiro di sollievo. Come un mantra Allegra si fa forza così, anche quando arriva il peggio (che lasciamo alla vostra lettura) e che spinge Allegra ad un gesto del quale mai avrebbe immaginato le conseguenze.

Ancora una volta Chiara Gamberale entra nelle case dei suoi protagonisti, nelle loro vite. A noi il piacere di ritrovarci nelle “case degli altri”, ognuna così unica ma ognuna con qualcosa in comune. Fosse anche una lista di oggetti inanimati che lasciano il posto ai nostri ricordi.
Come un fiume in piena la penna dell'autrice segue il percorso della sua protagonista, diventando ogni tanto un vortice intenso che non lascia spazio a riflessioni esplicite, solo allo scorrere degli eventi, troppo grandi per essere compresi.

Una vita nella quale il dolore ha le fattezze del tormento dei vent'anni. I vent'anni di Allegra e i vent'anni di Chiara quando per la prima volta pensò a questa storia. Quei vent'anni che ti fanno stare sospesa, tra un'infanzia antica e una maturità quasi raggiunta. Dove molte cose della vita non si è in grado di capirle, ma ci basta pensare che “non c’è quasi niente, tutto sommato, che si debba a tutti i costi capire. A volte, nella vita, succedono cose” e che queste cose, in fondo, non possono essere decise. E che se fanno male, basta aspettare i pagliacci.

Elena Sizana