CriticaLibera: Invito alla lettura delle "Bucoliche" di Virgilio

Paul Gauguin, Laguna bucolica

È oggi difficile incontrare un pastore per strada (se ancora i pastori esistono!), pastori-compositori di versi d’amore che si dilettano in competizioni poetiche intorno a un ruscelletto, a “candidi pioppi” mentre intrecciano ceste di vimini durante la “primavera fulgida di porpora”.

Bucoloi in greco vuol dire proprio pastori, e le Bucoliche sono canti di bovari/pastori, dieci componimenti, per la precisione egloghe “carmi scelti”, in esametri dattilici, che Virgilio scrisse tra il 42 e il 37 a.C.; è il tempo delle guerre civili che seguirono all’assassinio di Cesare, del secondo triumvirato e della pace di Brindisi del 40 a.C. tra Ottaviano e Antonio, dell’esproprio delle terre per distribuirle ai veterani di guerra, fino a giungere all’Impero di Augusto. La cornice ambientale è quella del locus amoenus, l’Arcadia teocritea, che in Virgilio non è un posto reale ma un rifugio poetico in cui ritirarsi in quegli anni sanguinosi della fine dell’Età Repubblicana; l’Arcadia come regione dell’animo, angolo remoto e paesaggio incontaminato.

L’armonia stilistica è sottile legame tra gli elementi della natura, l’uomo si muove in questo locus di  motivi ricorrenti, dalle silvae alle myricae, agli arbusta alle capellae; il gregge c’è ma è ignaro, pascola da sfondo all’uomo che ricerca l’equilibrio. Virgilio fu il primo a comporre carmi nel genere bucolico a Roma e ne fu il fondatore nella latinità, con esplicito e dichiarato modello in Teocrito, poeta greco del III secolo a.C. Se Teocrito è il modello dei temi e dei motivi, i Neoteroi lo sono nello stile: canti brevi e freschi, eleganza nella forma e cura nelle corrispondenze delle parole e dei versi; le figure retoriche hanno una funzione semantica, non sono mai semplice composizione di stile, esprimono un concetto, spesso un contrasto emotivo, altre volte esaltano un’idea. Il lessico fa largo uso del linguaggio sacrale e naturalmente del linguaggio agricolo-bucolico, in cui i sostantivi sono sistematicamente accompagnati dagli aggettivi corrispondenti (tenui avena; dulcia arva; etc).

Generazioni in contrasto 1/ La nostra cara distopia: La congiura contro i giovani

La congiura contro i giovani
di Stefano Laffi
Feltrinelli, 2014

pp. 176
€ 14



“Giovani senza futuro”, “giovani senza valori”, “giovani pieni di inventiva”, “giovani menefreghisti”: si fa un gran parlare ultimamente di gioventù, spesso in maniera retorica e con una acuta miopia al contesto storico; così non accade in La congiura contro i giovani, saggio militante sulla situazione odierna degli under 30. Ho usato il termine “militante” perché – oltre ad una forte prospettiva di critica sociale – la spinta principale che muove la penna dell’autore, come denuncia lui stesso, è viscerale e non semplicemente informativa: «... ho sentito l’urgenza di svelarlo, di descriverlo a tutti nei dettagli, certo di averlo visto ma con il dubbio che la complicità degli adulti mi avrebbe dissuaso dal crederci» (p.7). Ciò di cui parla Stefano Laffi, ricercatore sociale attivo in diverse riviste, è l’incubo che circonda tutti noi: una distopia consumistica e «adulto-centrica» accettata con superficialità. La vera forza di quest’opera è l’unione tra biografia, teoria e ricerca sul campo, proprio come in quel genere che Berardinelli teorizza da qualche tempo. Il saggio perciò ha un passo vario che può rallentare fino a soffermarsi su un’argomentazione precisa per poi accelerare nell’invettiva o nel ricordo.
L’autore prende avvio dalla nascita di una nuova persona, momento in cui tutto è precisamente parametrato e la casualità naturale ha ben poco asilo. La competizione è immediata, la norma marcherà stretto il bambino per moltissimo tempo e lui potrà scegliere tra il narcisismo e l’inadeguatezza, ma difficilmente per la spontanea espressione di sé stesso. Al contempo i genitori, così accurati nel controllo, mancheranno di relazioni pazienti e accurate a causa di tempi di lavoro asfissianti (e guadagni sempre più bassi). Tra le caratteristiche dello stile fluido che caratterizza il testo c’è il frequente uso di domande retoriche come questa:

«qual è stata la semina degli ultimi anni, di cosa abbiamo riempito il mondo, a cosa ci dedichiamo di più? La risposta non è né bambini né piante, qualunque adulto da questa parte del mondo sa bene che deve dedicare assai più tempo ad altro, che a fine giornata avrà toccato il volante, il mouse o il cacciavite assai più di qualunque forma di vita, che i segreti del proprio lavoro o le offerte del discount gli sono più noti di quello che passa per la testa di suo figlio in questo momento.» (p. 19)

Una testimonianza umana come solo la letteratura può offrire

Il sergente nella neve
di Mario Rigoni Stern
Einaudi, 1965

pp. 175





È l’anno, il 2014, che segna il secolo dall’inizio della Grande Guerra. Ci sarebbero tanti romanzi che ricordano come la dissoluzione di un mondo, specie la Mitteleuropa, stava avanzando inesorabile, a prescindere dal conflitto. A Vienna, 100 anni fa, passeggiavano Joseph Roth e Robert Musil tanto per citare solo due grandi autori simbolo della finis Austriae.

Poi c’è l’attualità e la pericolosa frantumazione di uno Stato, l’Ucraina, che ancora deve decidere se affidarsi all’abbraccio dell’occidente o a quello delle steppe orientali. In quelle lande sterminate avvenne un fatto, nella guerra mondiale successiva alla prima: la ritirata del corpo di armata italiano inviato a dare manforte ai tedeschi nell’operazione che doveva portare all’abbattimento dell’Unione Sovietica. Così mi sono ritrovato per caso tra le mani il libro di Mario Rigoni Stern, lasciato finora a guardia di chissà quale avamposto della biblioteca. Un salto di pochi decenni, rispetto al 1914, all’insegna comunque della tragedia.

"In stato di ebbrezza" di James Franco

In stato di ebbrezza
(Palo Alto)
di James Franco 
Minimum Fax, 2012

pp. 192


In principio fu il nome d'autore. Lo confesso: ho un debole per James Franco ed ero curiosa di leggere un suo libro. 
Poi mi ha attirata la copertina con l'immagine del ragazzo che sembra tuffarsi nel vuoto, la maglia giallo splendente, lo skateboard e il buio che lo inghiotte. 
In stato di ebbrezza è l'esordio narrativo di un attore, regista, autore di cortometraggi e sceneggiatore che negli ultimi anni ha dimostrato il suo talento a Hollywood, e non solo. 
Il titolo originale del libro è Palo Alto perché è qui che sono ambientati i racconti ed è in questa città che l'autore è nato. Se la parola 'California' evoca in voi immagini di ville bianche immerse nel verde, viali soleggiati e party in piscina, fareste meglio a dimenticarle: in questo libro è più facile trovare campetti da basket, case borghesi, ristoranti italiani con cuochi messicani, campeggi estivi, sporchi spogliatoi di scuole pubbliche. 
La California è desolante, uno specchio perfetto delle vicende dei protagonisti, tutti adolescenti e alle prese con una quotidianità da cui cercano di scappare dandosi ad alcol, droghe, sesso, risse e atti di bullismo. 
L'insistenza è sulla violenza fine a se stessa, perpretrata per noia; inizia così il primo racconto della raccolta:
Il giorno di Halloween di dieci anni fa, al mio secondo anno di liceo, ho ucciso una donna. Avevo passato il pomeriggio a bere a casa di Ed Sales, e visto che ero in libertà vigilata non avrei dovuto farlo.

#CritiCOMICS: Tre ladre nel fumetto francese

La grande odalisca
di Bastien Vivès, Florent Ruppert e Jérôme Mulot

traduzione di Michele Foschini

Bao Publishing, 2014



Partiamo da un’affermazione lapalissiana: la figura del ladro piace. Da sempre. Se è vero che le famiglie felici non hanno storia, è altrettanto vero che i “buoni” non sbancano il botteghino. Il personaggio del ladro e del truffatore affascina da sempre e la letteratura e le arti visive hanno sempre sguazzato in ciò. Da chi ruba ai ricchi per dare ai poveri, al brillante criminale re del terrore, fino agli affascinanti truffatori della pellicola moderna, romanzi, fumetti e telefilm hanno immortalato figure che sono entrate nella mente di tutti. Per chi poi è stato bambino negli anni Ottanta giunge chiaro il ricordo della merenda delle 16:00, fatta guardando i cartoni animati: uno dei più seguiti e amati era Occhidi gatto, ovvero la storia di tre sorelle, abilissime ladre che rubavano per riavere la collezione d’arte del padre sottratta dai nazisti durante la guerra. 

La Grande Odalisca rimanda con la mente al lavoro di Tsukasa Hojo. Alex e Carole sono due ladre di alto livello. Lavorano insieme da anni e sono come sorelle l’una per l’altra. Quando però si prospetta l’idea di rubare il quadro La grande odalisca del pittore Ingres diventa necessario l’aggiunta di un terzo componente nella banda: Sam, eccezionale motociclista, diventa parte del gruppo. Questo trio di donne sarà in grado di dare l’assalto al palazzo sede della maggiore collezione di opere d’arte al mondo: il Louvre.

Quando ci si confronta con un tema già sviscerato in ogni epoca si va incontro a due generi di rischi: il primo, è il chiaro confronto con dei mostri sacri. Il secondo è di non riuscire a trovare una nuova sfaccettatura che renda il personaggio iconico e indimenticabile. 

Anche se di ladre non c’è l’abbondanza che si riscontra nei colleghi maschili, Alex, Carole e Sam hanno comunque i loro modelli di confronto. Vivès, con il tratto dei famosi esponenti del fumetto underground francese Ruppert e Mulot,  ha fatto un buon lavoro con la loro caratterizzazione: Carole è la “capobanda”, adulta, intelligente e abituata a studiare i colpi nel dettaglio. Alex è ritratta come la classica sorellina minore combina-guai per la quale Carole prova un forte senso di protezione: è lei la protagonista di tutte le scene più divertenti. Sam è forse il personaggio meno notevole, ma si intuisce che, anche se al momento è solo cornice del forte rapporto tra le due colleghe, in futuro sarà destinata ad assumere un ruolo più importante: pur non volendo svelare nulla, pare sia già previsto un seguito a questo primo episodio. Forse nel tentativo di renderle più contemporanee, le tre donne sono connotate da un’ipersessualità che a volte rischia di diventare quasi caricaturale, ma che non rovina né la trama né il profondo rapporto che lega le tre donne.


In certi passaggi, più che una graphic novel, sembra uno spezzone di un cinema muto o una carrellata di scenografie. Pagine di vignette si susseguono senza battute di dialogo eppure sono scene cariche di movimento, azione e di forte impatto emotivo. I personaggi sono disegnati con tratti del viso quasi evanescenti: nulla di preciso o definito, rughe d’espressione o inquadrature di dettaglio. Sono figure che emergono dalla scenografia eppure sono dotate di forte espressività.

Nascono così tre nuove figure che vanno ad aggiungere il loro nome nel panorama dei ladri letterari celebri. Chissà che, nel 2034, facendo merenda, i bambini non guardino La grande odalisca invece delle sorelle occhi di gatto e che i nomi di Carole, Alex e Sam siano destinati ad offuscare Kelly, Sheila e Tati della nostra infanzia.

Giulia Pretta

Il Salotto - I fantasmi invisibili e i fantasmi visibili: due interviste a margine a distanza, un'auto-intervista a margine.


Romana Petri è prismatica: da qualsiasi parte la si guardi, qualsiasi lettura venga data ai suoi romanzi, una luce particolare è in grado di illuminare un’intuizione. Non esiste il buono o il cattivo, la cosa giusta o la cosa sbagliata, la lettura efficace e quella fallimentare. Tutto è ammesso, purché sia il testo a rendere partecipe l’emozione. 

Giorni di spasimato amore si presta a un’ottica strabica, presentandosi, da un lato come un’innegabile storia d’amore, dall’altro come la parabola di un qualcosa che sfugge continuamente alla razionalità. 

Giovedì 22 maggio 2014, presso la libreria IBS di via Nazionale a Roma, due voci si sono levate dal coro, presentando una personale e inedita lettura del romanzo: la prima, quella di Sandro Veronesi; la seconda, quella di Nada Malanima. 

Sandro Veronesi, del dare il via alla chiaccherata sulla creatura polimorfica della Petri, è partito dall’evidenza più nascosta, il titolo, il quale nasconderebbe l’operazione più rischiosa e coraggiosa, più radicale dell’autrice. 

«Giorni di spasimato amore si spaccia come un libro d’amore»: in realtà, dietro la tranquillizzante superficie, si nasconderebbe la parabola straziante, ma poetica, della schizofrenia, che andrebbe a fagocitare (opinione di chi scrive) anche l’amore, anche la morte, persino la vita. 
Per lo scrittore, la letteratura è sempre stata attratta dai casi clinici: figurarsi la schizofrenia, che, in un colpo solo, assomma sei sindromi diverse legate all’identità. Figurarsi ancora se questa parabola non viene riconosciuta persino dai medici! Si innesca, a detta di Veronesi, una bomba a orologeria.
Per Veronesi questo libro racconta la parabola della schizofrenia, senza tuttavia abbandonare l’illusione di parlare d’amore. E il gioco tra disturbo mentale e illusione è ben rappresentato dalla mancanza di scansioni temporali, messe da parte per seguire un tempo interno. Si crea un duplice camuffamento: il disturbo camuffato dall’amore, e la malattia camuffata dal comune sentire. E questo camuffamento prenderebbe il via già negli incontri dei due ragazzi: si è in mezzo alla guerra, ci si conosce nell’andare alla borsa nera, ma il rischiare la vita non viene mai calcolato. 

#CriticaNera. Napoli noir: "Prima della battaglia" di Bruno Arpaia

Prima della battaglia. Un'indagine del commissario Malinconico
di Bruno Arpaia
Guanda, 2014


L'attento lettore di Bruno Arpaia non avrà bisogno dell'avvertenza dell'autore che informa del fatto che quell'Alberto Malinconico protagonista di Prima della battaglia lo aveva già incontrato qualche anno fa, nei panni di un ragazzo napoletano in Il passato davanti a noi (Guanda, 2006). Ciononostante, lo stesso lettore attento, una volta esauritasi l'enfasi dovuta al gioco intertestuale, scoprirà che il battesimo noir dello scrittore partenopeo non è dei più semplici.

Il commissario Maliconico ha l'incarico di indagare sulla morte di uno scrittore, Andrea Ruspoli, investito da un camion uscito di carreggiata. Quello che all'apparenza sembra un caso di facile e scontata soluzione diviene ben presto un vero e proprio groviglio. Maliconico ha il solo merito di farsi cogliere da un dubbio e iniziare a indagare: va a Scampia, il quartiere più degradato e malfamato di Napoli, dove pare che tutto cominci e tutto debba in qualche modo finire. Il dubbio del commissario viene confermato, ma la sua indagine è prontamente interrotta da un incarico piovuto dal cielo per i Servizi Segreti. Per questo motivo vola in Messico e, in quello che doveva essere un ruolo di appoggio all'Interpol, trova, per pura casualità, importanti elementi di connessione con la storia di Ruspoli, ovviamente caduto nella macina tritarifiuti della camorra. Come da copione, nel manoscritto dell'ultimo romanzo della vittima Malinconico trova numerose conferme e risposte a ciò che sta vivendo. Di fatto, Prima della battaglia si conclude con la vittoria morale del commissario, che non porta a casa il colpevole, né si avvicina al suo nome, ma vede uno spiraglio di giustizia quando viene informato dell'immininte blitz (la battaglia) che dovrebbe portare all'arresto di «quattro o cinque capoclan» (182). In questa pagina finale spicca la frase che non ti aspetti, o meglio, te l'aspetteresti da un scrittore di primo pelo, da uno di quelli che ha bisogno di mettere in luce la conoscenza di alcuni meccanismi: «Ah certo: quello di Rispoli era solo un romanzo. Ma, si sa, a volte i romanzi...» (ivi).

#PagineCritiche - A che serve la sociologia? Risponde Bauman




La Scienza della libertà. A che serve la sociologia?
di Zygmunt Bauman
Trento, Erickson, 2014

pp. 154

La sociologia sta dalla parte della liberazione, degli oppressi, di chi subisce ingiustizie, dell’umanità negata. La sua sociologia è sempre di parte. Ma di una parte che, proprio perché dichiarata consente l’accesso alla realtà sociale.[1]

Una priorità occupano, all’interno del dibattito sociologico del secondo Novecento, i concetti di “azione, ruolo e sistema”  dell’individuo nella società. La fortuna della sociologia, negli ultimi decenni di studio, oltre all’ambito puramente teorico, deriva dallo sviluppo di una ricerca che ha assunto varie diramazioni: “talora anche solo descrittiva,” è stata invece applicata in funzione dei bisogni conoscitivi e dei problemi derivanti dai cambiamenti politico culturali, da forme di comunicazione di massa, dai mutamenti organizzativi economici repentini, da forme di critica sociale avanzate, o messe in atto in funzione di strategie commerciali connesse allo sviluppo locale.
Il presente saggio, dedicato a Bauman, dà vigore e una rinnovata interpretazione alla disciplina che lo identifica maggiormente come sociologo; dai diversi stili del “fare sociologia,” frutto di una determinata iperframmentazione, Bauman ne indica sostanzialmente due: una ricerca che è legata all’epistemiologia e quella che l’autore predilige in assoluto, fondata sull’esperienza vissuta:

La scelta di Bauman è netta: richiamandosi a Rimmel e Wright Mill, Bauman si fa portavoce di una sociologia dell’esperienza vissuta, che si pensa come sforzo intellettuale mirante a ricostruire il nesso tra micro e macro, tra storia ed esperienza personale, tra oggettività e senso.[2]

Saga Divergent: viaggio nel mondo distopico di Veronica Roth


La saga di "Divergent"
di Veronica Roth
De Agostini, 2014




A quanto pare il genere post gotico popolato –nell’ordine- da maghi, vampiri, streghe che negli ultimi anni ha riversato sugli scaffali delle librerie una serie infinita di romanzi young adult, ha infine esaurito la sua vena creativa o quantomeno è stato rimpiazzato da un nuovo filone pronto a soddisfare il gusto del giovane pubblico a caccia di evasione nel mondo del fantasy e sue declinazioni i cui sogni, desideri e frustrazioni sono tradotti sulla carta in romanzi – o meglio, in saghe, visto che difficilmente gli autori si limitano ad un solo volume- di ambientazioni post apocalittiche. Realtà distopiche dove l’eroe compie il suo percorso di formazione lottando contro il potere, quasi sempre corrotto e violento, parallelamente alla scoperta della propria identità e dei sentimenti. Hunger Games (qui la recensione  e qui un'altra lettura) di Suzanne Collins è stata una delle creazioni recenti più interessanti in questo nuovo panorama e non sono mancati stimolanti spunti di riflessione che rendono la saga intrigante anche per un pubblico adulto (diversamente invece dalla trasposizione cinematografica, godibile, ma purtroppo incapace di abbattere la barriera generazionale); ma come spesso accade, quando un genere diventa moda e una tematica si trasforma in topos, le declinazioni non sempre sono all’altezza dei primi esperimenti finendo col risultare semplice ripresa di un tema che si è intuito essere redditizio.

Il romanziere: il medico dei casi disperati



Il mondo secondo Garp
(The world according to Garp)
di John Irving
BUR Rizzoli, 1999 (1978)

pp. 511




Stavolta non è facile. Sono letteralmente, o meglio letterariamente, colpito nel vivo. Mai avrei creduto che un personaggio potesse lambire il punto di maggiore sensibilità del sottoscritto caratterizzato dall’ammirazione inattaccabile per Barney Panofsky. Ebbene T.S. Garp è uno che merita di stare nell’Olimpo. Non ha scalzato dal trono sua maestà, ma siede al suo fianco.

Il Garp di John Irving percuote e assesta colpi. Questo è già di per sé un merito, perché la letteratura ha da essere un punto di vista un più, fornito a chi intende usufruirne, scomodo e scorrettissimo. Qui troverete centinaia di pagine senza che il pelo sia lisciato una sola volta dalla parte giusta. Andiamo con ordine.

Intanto cosa contiene questo libro? È la storia, ridotta all’osso, di uno scrittore. Ma si può scrivere di vari argomenti: poesie, saggi incomprensibili alla Cacciari, testi di giardinaggio e di cucina, e son quelli che oggi riempiono le classifiche ai primi posti. Garp si intestardisce su una particolare forma di scrittura: il romanzo. Questo me lo fa amare perché è davvero un genere occidentalissimo, anzi il prodotto principe della nostra cultura. E io sono un occidentale, con i difetti e la limitatezza che questa definizione porta, non sogno le steppe o le savane. Ammiro ma non aspiro a essere un lama tibetano e neanche lo volevo quando a forza di Bertolucci, Baggio e Richard Gere pareva dovessimo diventare tutti buddisti. Come arriva Garp al romanzo? Facciamo un passo indietro e fermiamoci alla figura di sua madre.

Roberta Corradin, La Repubblica del maiale. Sessant'anni di storia d'Italia tra scandali e ossessioni culinarie, Chiarelettere, 2013

La Repubblica del maiale
di Roberta Corradin
Chiarelettere, 2013





«La mortadella è buonissima, non c'è niente da fare, è proprio buona.
La mortadella è comunista.
Il salame... Socialista.
Il prosciutto è democristiano.
La coppa... Liberale.
Le salsicce... Repubblicane.
Il prosciutto cotto è fascista!»

Francesco Nuti (alias Caruso Pascoski)
in Caruso Pascoski di padre polacco (F. Nuti, Italia, 1988)

Con l'equivalenza finale tra la finocchiona e i Radicali, Francesco Nuti – alias lo psicanalista Caruso Pascoski in pausa pranzo, alle prese con un panino “proletario” – completava il quadro delle equivalenze tra salumi e partiti e ideologie nell'Italia dei tardi anni Ottanta. E proprio la gustosa battuta di questo film (piuttosto bistrattato dalla critica ufficiale, ma divenuto presto uno “stracult” non solo per gli amanti del tormentato comico toscano) è forse la perfetta epigrafe per introdurre La Repubblica del maiale. Sessant'anni di storia d'Italia tra scandali e ossessioni culinarie (Chiarelettere, 2013), lo studio che Roberta Corradin ha dedicato alle vicissitudini politiche, sociali e culturali del Belpaese rileggendole alla luce di tradizioni, mode, abitudini e tic alimentari.

Pillole d'Autore: L'arte della passeggiata


La primavera è uno dei momenti migliori per potersi gustare una sana passeggiata, solitaria o in compagnia. Il Dizionario Italiano Sabatini-Coletti alla voce passeggiare riporta la seguente definizione: “camminare lentamente, per lo più senza meta e per svago; andare a spasso”. La passeggiata è dunque una camminata rallentata grazie alla quale, senza avere fretta e gustandosi ogni momento, si può stare a stretto contatto con la natura, con  i luoghi, e anche con i propri pensieri e quelli degli altri. Si tratta di un movimento che consente di fermarsi quando si vuole, e che permette di voltarsi in ogni direzione, cogliendo tutti i dettagli del mondo circostante.

Sono molti gli scrittori e gli artisti (in foto: Marc Chagall, La promenade) che hanno tratto ispirazione dal loro passeggiare, e che hanno fatto della passeggiata un tema privilegiato delle loro opere. Ecco una breve carrellata di stralci dedicati alla passeggiata.

Robert Walser, La passeggiata:
Le prolisse passeggiate mi ispirano mille pensieri fruttuosi, mentre rinchiuso in casa avvizzirei e inaridirei miseramente. L’andare a spasso non è per me solo salutare, ma anche profittevole, non è solo bello ma anche utile. Una passeggiata mi stimola professionalmente, ma al contempo mi procura anche uno svago personale; mi consola, allieta e ristora, mi dà godimento, ma ha anche il vantaggio di spronarmi a nuove creazioni, perché mi offre numerose occasioni concrete, più o meno significative, che, tornato a casa, posso elaborare con impegno. Ogni passeggiata è piena di incontri, di cose che meritano d’esser viste, sentite. Di figure, di poesie viventi, di oggetti attraenti, di bellezze naturali brulica letteralmente, per solito ogni passeggiata, sia pure breve. La conoscenza della natura e del paese si schiude piena di deliziose lusinghe ai sensi e agli sguardi dell’attento passeggiatore, che beninteso deve andare in giro ad occhi non già abbassati, ma al contrario ben aperti e limpidi, se desidera che sorga in lui il bel sentimento, l’idea altra e nobile del passeggiare.

CriticaLibera: #SalTo14, "Lettere da Casablanca" e il ruolo dell'intellettuale donna nell'Islam

Un epistolario è già, di per sé, un prezioso contributo letterario, in tempi ormai così poco inclini alla lentezza e alla meditazione. Lo scambio diventa però un unicum, quando i protagonisti delle lettere sono una donna e un uomo, entrambi marocchini, nell’Islam odierno. Le lettere diventano così il primo esempio di una conversazione intellettuale tra due personalità così ricche e diverse, la scrittrice ed etno-psichiatra, Ghita (o Rita) El Khayat, personaggio di spicco della cultura magrebina e Abdelkébir Khatibi, ricercatore e grande filosofo marocchino, scomparso nel 2009. 
Le lettere, scritte tra il 1995 e il 1999, sono confluite nel libro Lettere da Casablanca, edito di recente da Lantana, dopo una prima pubblicazione con Marsam Editions, nel 2005. Il libro, pubblicato in francese in Marocco (dove attualmente è esaurito, non più disponibile), è stato al centro di un incontro, proposto al Salone del Libro, che ha inaugurato lo Spazio Lingua Madre; il dibattito è stato condotto dall’editrice e dagli studenti della Facoltà di Lingue di Torino.

Nell’epistolario le due personalità si interrogano su questioni alte, impostano la discussione sul tema dell’Aimance, definito come “il codice amoroso che afferma un’affinità più attiva tra gli esseri”, capace anche di minare le basi di una società patriarcale come quella marocchina. Poi un tragico evento nella vita della scrittrice la induce ad interrogarsi sul dolore, sulla malattia e sulle difficoltà che la vita ci riserva.

Le donne che pensano sono pericolose: 25 ritratti di donne a cui ispirarsi

Le donne che pensano sono pericolose
di Stefan Bollmann

Piemme, 2014

pp. 192
€ 15,00




Dopo il bestseller Le donne che leggono sono pericolose, il professor Stefan Bollmann torna con un galleria di ritratti femminili dal titolo affine, Le donne che pensano sono pericolose, un breve saggio in cui presenta venticinque esempi di donne che con coraggio hanno saputo dare il loro contributo in forme e settori diversi alla Storia del Novecento soprattutto, ma con fondamentali esempi anche nell’epoca dei lumi. Se pensare è un’attività pericolosa quando si scontra con il potere o la tradizione, lo è ancor di più quando a farlo sono le donne, quelle stesse a lungo confinate entro ruoli prestabiliti che decidono di far sentire la loro voce – spesso fuori dal coro- sfidando le convenzioni della società e del tempo cui appartengono per affermare il diritto naturale all’autodeterminazione, verso qualunque settore esso le porti. Moltissimi ambiti sono stati infatti a lungo dominati dalla presenza maschile, ma nei ritratti di Bollmann vediamo come lentamente certe rigide divisioni siano riuscite a cadere, grazie al costante impegno di donne tenaci e di una società che – ci auguriamo- sta andando sempre più verso l’abbattimento delle barriere di genere, per farsi un giorno realmente libera, democratica, paritaria. 

Stampa meretrix. Scritti quattrocenteschi contro la stampa


Stampa meretrix. Scritti quattrocenteschi contro la stampa
a cura di Franco Pierno
Venezia, Marsilio, 2011
Collana Albrizziana

10€
pp. 80


“La scrittura è, certamente, degna di venerazione e deve essere ritenuta più nobile di tutti i beni che l’oro ammassa per noi, a patto che non abbia subito brutture nel postribolo delle stampe. Essa è pura, se praticata con la penna, è meretrice, quando viene stampata”.
Quando la stampa arrivò a Venezia e la città lasciò spazio a botteghe mai viste prima, molti umanisti e uomini d’intelletto non accolsero felicemente l’innovazione. Come biasimarli? Dal loro mondo, s’accorsero subito che qualcosa stava cambiando e cercarono in tutti i modi di fermarlo o almeno rallentare il cambiamento.

Stampatori tedeschi arrivati in laguna, torchiatori, stampatori italiani che hanno imparato l’arte, librai e librerie, intellettuali d’ogni rango che collaborano con questi nuovi artigiani della parola.

Sei migliara de anni el mondo ha triumphato
De molti dotti homini senza libro istampato;
hora gentaia che ignoran talliano
te ensegnaranno il parlare tulliano?

(dove “talliano” sta per italiano e “tulliano” sta per latino letterario di Marco Tullio Cicerone)


Cosa resta dell’arte del copista? Della sua attenzione, abilità, cultura? Cosa ne sarà di me e di quella cultura che ho tanto difeso donandola ad altri, e che tantissimi prima di me hanno donato? Si chiede Filippo da Strada, frate domenicano, poeta e copista, nella seconda metà del XV secolo. Alcuni suoi scritti  sono raccolti nell’interessantissimo libriccino Stampa meretrix. Scritti quattrocenteschi contro la stampa, raccolta curata da Franco Pierno edita da Marsilio all’interno della collana Albrizziana (che raccoglie documenti per la storia dell’editoria veneziana). Si tratta di versi talvolta ironici, talvolta stizziti, ma comunque molto vivi nell’attaccare la fiorente attività di creazione, riproduzione e vendita di libri che si stava affermando a Venezia.

#vivasheherazade - Lucia Annibali: Io ci sono. La mia storia di non amore.



Io ci sono. La mia storia di non amore
di Lucia Annibali con Giusi Fasano
Rizzoli Controtempo

pp. 270
15 Euro

Io ci sono. Un titolo che suona come un’affermazione decisa quello scelto da Lucia Annibali  per raccontare la sua storia, scritta a quattro mani con Giusi Fasano, firma storica del Corriere della Sera.
La vicenda di Lucia, avvocato di Urbino aggredita con dell’acido sul volto da un sicario dell’ex fidanzato, è diventata nota per la sua crudeltà così insensata.
In una testimonianza sentita e puntuale ha consegnato la sua vicenda, dagli eventi che hanno condotto all'aggressione alla sua rinascita.
La storia con Luca Varani ha inizio nel peggiore del modi. Lui è un bugiardo di professione, le mente soprattutto sulla relazione di dieci anni con un’altra donna dalla quale avrà anche un figlio. Lucia è complice di questo circolo vizioso perdonando le sue menzogne e dandogli nuove possibilità.
Quando Lucia sceglie di mettere fine a tanta esasperazione, il comportamento di Varani diventa ossessivo: appostamenti, scritte ambigue, intrusioni in casa arrivando persino, e questo si capirà dopo, a manomettere l’impianto del gas con il rischio di far saltare l’intero palazzo.

"Il nero e l'argento": di amore e morte, in punta di piedi

Il nero e l’argento
di Paolo Giordano
Einaudi, Torino 2014

Cartaceo € 15
pp. 122


Cosa accade quando la più grande testimone di un amore scompare? Nel nuovo “Il nero e l’argento”, Paolo Giordano affronta l’amore e la morte dalla prospettiva peculiare di quello che resta: da un lato, il ricordo di chi c’è stato (con i doverosi flashback), dall’altro la presenza paradossale di un’assenza schiacciante. E i personaggi si chiedono, pagina dopo pagina, cosa può succedere anche alla loro vita, ora che la signora A., chiamata affettuosamente Babette, è stata stroncata dalla malattia:
Nella nostra vita, la vita mia e di Nora e di Emanuele che a quell’epoca sembrava rivoluzionarsi ogni giorno e oscillava pericolosamente al vento come una pianta giovane, lei era un elemento fisso, un riparo, un albero antico dal tronco così largo da non riuscire a circondarlo con tre paia di braccia. (p. 8)

CriticARTe - James Westcott, "Quando Marina Abramović morirà"

Quando Marina Abramovic morirà
di James Westcott
Traduzione di Irene Inserra e Marcella Mancini
Johan & Levi, 2011

pp. 350

32,00 euro


Immaginate di trovarvi a New York e di partecipare a un funerale. La persona deceduta è una, ma le bare (ormai chiuse) sono tre. Sapete che solo una contiene il suo vero corpo – nelle altre due ci sono delle esatte riproduzioni – ma che ciascuna verrà sotterrata in una località significativa dell'America, dell'Europa e dell'Asia. Non sapete, però, a chi sarà affidato questo compito – pare sia e debba restare top-secret – ma, del resto, non vi riguarda. Date un'occhiata intorno, e siete presto confortati dal fatto che tutti i presenti hanno rispettato il dress-code cromatico prescritto dall'invito: non c'è traccia di nero, e nel trionfo di tenute arcobaleno cominciate a sentirvi più a vostro agio nell'abito sgargiante che anche voi avete scelto per l'occasione. Vi avvisano che la cerimonia sta per cominciare. Prendete posto.

"Una perfetta stanza di ospedale" di Yoko Ogawa


Una perfetta stanza di ospedale

di Yoko Ogawa
Adelphi, 2009


€ 10,00

pp. 128


I racconti brevi di Yoko Ogawa riescono in un compito decisamente difficile, quello di offrire al lettore europeo - e in poche pagine - il fascino di una sensibilità diversa, permeata da una tranquillità interiore che resiste anche ai peggiori casi della vita. Allo stesso tempo, tuttavia, questa peculiare scrittrice giapponese sfida l'immagine usuale che l'Occidente ha della letteratura giapponese, rappresentandola come un mondo dominato da un rapporto armonico con la natura e dalla costante espressione di una saggezza sotterranea, capace di riconosce ovunque un confortante piano sovrannaturale. Piuttosto nei libri della Ogawa questo ordine interiore sembra derivare da una sorda impotenza nei confronti del mondo, ma innanzitutto di noi stessi: i personaggi che popolano le sue storie sembrano vittime di una legge superiore che non si può sconfiggere e alla quale non ha senso opporsi, oppure di una psiche che domina le loro azioni, lasciando spazio solo ad una rassegnata osservazione.

#CriticaNera. Quel sottile confine tra realtà e finzione: "A Milano si muore così" di Adele Marini

A Milano si muore così
di Adele Marini
Fratelli Frilli Editore, 2013



Non-fictional novel. Così Adele Marini definisce A Milano si muore così, sua ultima fatica da qualche mese in libreria per i tipi di Fratelli Frilli. Non-fictional significa che quello che viene raccontato è in gran parte vero, forse inventato in alcuni dettagli, in sfumature che possono anche sfuggire al lettore. Ma Adele Marini non mente. E la differenza tra inventare e mentire, per quanto sottile, è significativa quando si parla di letteratura, di realismo, di una forma di scrittura a cavallo tra la fiction e la realtà. L'epoca in cui viviamo ha visto una sempre maggiore tendenza nel romanzo realista a eliminare la finzione, metterla in un angolo per concentrarsi sulla realtà; questa nuova forma di scrittura utilizza, però, gli strumenti della creazione letteraria per pulire la prosa dell'asetticità del saggio, per renderla più incisiva e accattivante, per guardare al mondo da una prospettiva diversa che induca il lettore a una nuova lettura della realtà che lo circonda.

Il dominio dell'umano. Note critiche a "Felicità senza soggetto" di Mario Santagostini

Felicità senza soggetto
di Mario Santagostini

Milano, Mondadori, 2014

Cartaceo € 17,00



In principio, la "felicità senza soggetto" cui allude il titolo dell'ultima opera di Mario Santagostini coincideva, o almeno così si potrebbe credere, con una precisa utopia politica; un azzeramento del sé in un'idea storica più grande, omnicomprensiva, universale: "E io ero, come tanti, un comunista". Una felicità più sperata che reale, o meglio materiale ("E pensavo a un avvenire / senza il lavoro, a quando i corpi / ci sarebbero serviti a poco, quasi a niente"), destinata a essere disattesa storicamente, al punto che il soggetto in questione, oggi "ex comunista" e più res cogitans che mai, arriva a chiedersi "di cosa è fatto / un corpo, se merita / soltanto la vita, o già altro".
Se una felicità si profila, in questa raccolta, non è più umana ma, all'opposto, appartiene alle cose, alle "merci" ("Eppure, il solo vedere merci / ci metteva euforia / perché erano loro stesse, a essere felici."); a quelle merci feticcio di un capitalismo già in declino che hanno effettivamente sancito l'annullamento dell'individuo in termini di reificazione: "E qualcuno si chiedeva / se il loro riciclo / non fosse l'ennesima, / rassegnata forma di resurrezione. / Non molto diversa dalla mia, aggiungeva".

#SalTo14 - La giovane generazione romena: Cioran e Eliade



Più approfondisco la conoscenza di Emil Cioran (1911-1995), più mi rendo conto che della necessità di un ripensamento dell’intero mondo editoriale.
Abbarbicato su se stesso, incapace di andar oltre i propri limiti o peggio di riconoscere i veri grandi autori, è alla continua ricerca di una stentata sopravvivenza economica con l’ostinato cieco utilizzo di metodi (commerciali in particolare) che lo porteranno inesorabilmente al suicidio, come ad esempio la scellerata scelta di puntare sui cosiddetti best sellers con la loro spasmodica aspirazione, tipicamente moderna, a ciò che non è prima ancora di essere.
Il rischio, ormai danno ampiamente realizzato, in sintesi, è di svilire i contenuti di qualità e di perdere inevitabilmente dei pezzi importanti della cultura passata per inseguire la cosiddetta “cultura di consumo”, per preferire cioè il “moltiplicare dei bisogni” a scapito del loro “soddisfacimento”.
Uno di questi “pezzi” è sicuramente l’opera colta e stilisticamente raffinata dell’insonne pensatore dai natali rumeni ma dalla “maturità” prettamente francese.
Si possono anche non amare i saggi e limitarsi ai romanzi-copia di serial televisivi, si può anche non conoscere qualche autoruncolo contemporaneo, dai più osannato come un dio a tempo (leggi code infinite per comici travestiti da giornalisti), ma - e mi dispiace pure ammetterlo: de gustibus non est disputandum -, non si può pensare di amare la letteratura o meglio il pensiero umano e non conoscere un autore come Cioran.
E dico ciò non tanto con senso di (aristocratico) disprezzo ma con l’amarezza di chi vorrebbe rompere definitivamente meccanismi che non si riusciranno mai a spezzare, cosciente del fatto che sono soltanto la parte minimale di una più grande decadenza intellettuale, italiana prima ancora che occidentale.

Ricordi di un funambolo tra le Twin Towers

Toccare le nuvole
Titolo originale: To reach the clouds
di Philippe Petit
TEA, 2009

pp. 253 




C’è un’immagine che segna il nostro immaginario di inizio millennio: quella di un aereo che si schianta contro un grattacielo. E poi polvere, urla, un secondo aereo sul secondo palazzo, gemello del primo. È l’11 settembre 2001 quando il mondo assiste alla caduta dei due imponenti giganti che solleticavano il cielo sopra Manhattan. 
Troppo spesso, di personaggi importanti o di civiltà ormai scomparse si tende a ricordare solo la tragica fine, facendo passare in secondo piano eventi eccezionali che ne hanno costellato la vita. Lo stesso ormai avviene per le Torri Gemelle di cui tutti sanno la triste fine, ma non, ad esempio, quanto fossero esattamente alte o quando si concluse il loro cantiere. Questo romanzo è un capitolo della storia del Word Trade Center, un capitolo di una bellezza e di uno poesia assoluta.

#SalTo14 Essere donna in Israele, la scrittrice Naomi Ragen si racconta



Naomi Ragen scrive da trent’anni, più o meno da quando ha deciso di trasferirsi a Gerusalemme dagli Stati Uniti. Eppure in Italia i suoi romanzi circolano, tradotti, da appena due. Nove romanzi che hanno un unico filo conduttore: la donna all’interno dell’ebraismo ultra-ortodosso. Al Salone del Libro, ha raccontato la sua storia e la sua Gerusalemme, così lontana dai cliché, a cui siamo soliti affezionarci, e così amata; luogo di incontro e rinascita per la religione e le tradizioni ma anche luogo in cui le leggi dell’apparire si scontrano con quelle della violenza privata, sotterrandone i segreti inconfessabili. Naomi Ragen li porta alla luce, in maniera impietosa, lei, che nel suo sito si definisce: “Una donna ortodossa, femminista e iconoclasta, sostenitrice instancabile per i diritti delle donne in Israele, che conduce una campagna implacabile contro gli abusi domestici e i pregiudizi nei tribunali rabbinici”.
I romanzi pubblicati in Italia sono i suoi primi tre: Una moglie a Gerusalemme, L’amore proibito, L’amore violato (Editore Newton Compton).

CriticaLibera: Romana Petri a colloquio con Dino Buzzati.



Lunedì 12 maggio 2014 Dino Buzzati le luci della Macroarea di Lettere e Filosofia hanno illuminato nuovamente Dino Buzzati e la sua poliedrica arte. Protagonista indiscusso è stato Il Deserto dei Tartari, con tutta la portata, con tutte le istanze, con tutti i rischi, con tutte le provocazioni che esso comporta. E stavolta Dino Buzzati è stato letto da una delle nostre più grandi narratrici, che ha vestito i panni di critica militante del passato. 
Ma nella letteratura, soprattutto quella italiana, esiste una “militanza”? Esiste un passato? O si è in un complesso e semplice, in un profondo e superficiale, gioco di vasi comunicanti? 
Romana Petri ha dimostrato come nella nostra letteratura il passato, il presente e il futuro possono fondersi in un’amalgama perfetto, perché si nutrono delle medesime istanze, perché sono state piantate nel medesimo terreno, perché parlano la stessa lingua, perché sognano le stesse storie, perché incontrano gli stessi personaggi del mito. 
E il mito nei nostri narratori si lascia incontrare attraverso il potere della scrittura da un lato, e della lettura dall’altro: perché il portato della letteratura italiana non è nell’assolo solitario, ma nell’osmosi e nell’intertestualità, velata in molti casi, negata, ma mai rinnegata. Perché per quante colpe possa avere un padre, un figlio, pur rinnegandolo, non riesce a dimenticarlo. Il passato è eternamente presente nel suo essere memoria viva e fonte feconda. 

#SalTo14 - Luca Conti racconta il Parco delle Prealpi Giulie




Sostenibilità. La chiave per capire l’incontro che nella giornata conclusiva del Salone del Libro 2014 ha radunato ospiti e curiosi sul nuovo libro di Luca Conti. Si tratta di un volume dedicato al Parco delle Prealpi Giulie, in Friuli Venezia Giulia, frutto di un viaggio svolto dall’autore tra le bellezze paesaggistiche, ma non solo, perché in quei luoghi è stato realizzato un metanodotto.
 Il volume, infatti, mostra, attraverso testi e foto, come si possa far convivere la realizzazione di un’infrastruttura, in questo caso il metanodotto Malborghetto-Bordano, che Snam Rete Gas (società leader in Italia nel trasporto e dispacciamento di gas naturale) ha realizzato, e attraverso cui il gas proveniente dalla Russia arriva in Italia, con un ambiente complesso come quello di un Parco, luogo di incontro tra uomo e natura, tra specie diverse e soprattutto luogo preservato e tutelato. 
Non si tratta solo di un intervento di ripristino delle condizioni originarie ma, il modello proposto da Snam mira anche al miglioramento delle condizioni di partenza (come è possibile valutare dai riscontri fotografici presenti nel libro, che mostrano un prima e un dopo delle aree oggetto dei lavori).

Francesco Gungui, "Inferno"



Canti delle terre divise:
Inferno
Francesco Gungui
Fabbri editori, 2013

pp 430



Non c’è via per la felicita, la felicità è la via.”


Possono gli “Hunger Games” di Susanne Collins confluire nella prima Cantica della Divina Commedia? Sì, nel caso di “Inferno” di  Francesco Gungui.
Lo scenario ucronico e distopico di questo romanzo, edito da Fabbri, è un’Europa futura, unita al punto di non distinguere più le varie nazionalità fra loro, basata sulla netta separazione delle classi sociali e guidata da un’Oligarchia totalitaria. Ci sono i lavoranti, che vivono arrangiandosi nei bassifondi o nelle città grattacielo e coloro che, al contrario, stanno in Paradiso, in colonie mediterranee molto somiglianti ai villaggi turistici del nostro Mar Rosso, fra laghetti, piscine e feste di compleanno. Il Paradiso è un luogo in cui si può avere una vita alla Beverly Hills 90210, dove tutto è bello e falso come nel film “La donna perfetta” di Frank Oz, dove non manca nulla se non la libertà e la consapevolezza della verità. E poi, in fondo alla scala sociale, ci sono i con - dannati, coloro che marciscono all’Inferno a causa di un reato o di un’infrazione alle regole, anche solo l’aver familiarizzato con appartenenti ad una classe sociale diversa o essersi posti delle domande su cosa c’è al di fuori, oltre la muraglia e le guardie armate. Insomma, un po’ come se il protagonista di The Truman show fosse internato ad Alcatraz perché ha scoperto che di là dai confini del suo mondo c’è la realtà.

Scoprendo i Flipback Mondadori

Per farsi un'idea dei Flipback bisogna tenerli in mano, toccarli e sfogliarli. Nei giorni scorsi ho letto articoli con pareri discordanti sulla nuova 'collana' - termine che va usato con una certa cautela - Mondadori. Partivo un po' scettica, lo ammetto, ma anche curiosa di scoprire com'è leggere un libro che si apre 'in verticale' ed è più piccolo del mio smartphone. 

Abbiamo incontrato Antonio Riccardi e Marco Rana alla Libreria Mondadori di via Marghera a Milano; ci hanno raccontato l'idea che sta dietro a questo prodotto, provando a farci entrare dentro una diversa concezione di fruizione letteraria. 
Partiamo da una precisazione di metodo: dicevo poco sopra che la denominazione di 'collana' va usata con una certa prudenza perché forse è più appropriato parlare di 'formato'. I Flipback non sono un prodotto che genera un catalogo alla maniera delle storiche collane della casa editrice, come gli Oscar. Da un punto di vista strettamente formale, questi libri costituiscono una svolta: dentro un singolo foglio sta uno specchio di pagina che, secondo le tradizionali regole tipografiche, non entrerebbe in quel formato. La loro principale caratteristica industriale è la duttilità: hanno un'incredibile capacità ergonomica e stanno in una tasca (recuperano in questo modo il senso letterale del termine 'tascabile'). La legatura non è fissata al dorso come in una normale brossura, il che consente di aprire il volume con una semplicità che altre forme industriali non permettono. 
I Flipback sono stampati e confezionati in Olanda da Jongbloed. Prima di sfogliarne uno non immaginavo la grande cura del dettaglio e la qualità della confezione e dell'impaginazione. La carta è estremamente piacevole al tatto, ricorda quella di certi libri da collezione.

#SalTo14 - Due incontri, due commozioni (seconda parte)





MyBossWas
Lo dicevamo l'altro giorno, che in questo Salone anche le performance per i lanci dei libri sono state sempre molto attente al testo. Il culmine di questa sana pratica è stato raggiunto con la presentazione di "Il nero e l'argento", nuovo romanzo di Paolo Giordano, appena uscito per Einaudi: la gigantesca Sala dei 500 è stata illuminata solo da uno schermo, dove passava un filmato in parte urbano e in parte dedicato a sostanze chimiche che si mescolavano, seguendo le note d'atmosfera di @mybosswas.

Poi, all'improvviso, un fascio di luce su Isabella Ragonese, che è uscita dall'ombra per leggere con voce toccante un passo da "Il nero e l'argento". Parla di morte questo nuovo romanzo? No, non solo almeno: c'è un amore, vegliato da una terza persona - una balia forse? una donna di servizio? dalla lettura non si evince ancora, ma la "signora A." da subito assume un ruolo di spettatrice fondamentale, anche per la storia d'amore:
"A lungo andare ogni amore ha bisogno di qualcuno che lo veda".
Insomma, come suggerisce l'editor Paola Gallo, "Giordano ha scritto un romanzo in punta di piedi": momenti capitali come l'innamoramento e la morte vengono a scontrarsi con l'abbandono e la solitudine, due costanti nei romanzi di Paolo. Lui commenta:
"Non inizio mai a scrivere di solitudine, e mi ci ritrovo sempre". 
Isabella Ragonese a #SalTo14
Una sorta di paradossale dipendenza, insomma, anche se si tratta sempre di diversi tipi di solitudine: individuale nella Solitudine dei numeri primi, di gruppo nel Corpo umano, e adesso di coppia. Ancora una volta, poi, il tema del corpo torna prepotentemente: dal cancro della signora A. al veicolo dell'innamoramento tra l'io narrante e la moglie Nora. Quindi, proprio il corpo unifica i due temi-chiave della morte e dell'amore, che - a quanto dice l'editor - possono permettere di dare una doppia lettura al romanzo. Se l'autore mette al centro il tema dell'abituarsi all'idea della morte e lasciare quindi una traccia, Paola Gallo ci conforta con la forza del filone sentimentale. Dalla lettura successiva di Isabella Ragonese, non abbiamo dubbi: l'amore c'è, e si intreccia sempre col corpo (anche se Giordano confessa di avere qualche problema a scrivere d'erotismo). E ci resta in testa questa frase, che abbiamo twittato subito (e riproponiamo così, non avendo idea della punteggiatura nel testo):
"Eravamo noi e non eravamo noi. Ma forse è sempre così che accade, quando si bacia qualcuno di nuovo". 
Non lo abbiamo forse pensato tutti, prima o poi? Ma chi ha avuto il coraggio di ammetterlo? E sono i simboli, i dettagli, quelli che fanno presagire un successo con questo "Il nero e l'argento": un libro più maturo, che forse salverà Giordano dalla sensazione di capolavoro mancato che ci ha fatto arrabbiare sugli altri due romanzi: quel quid che mancava appena, quel "quasi perfetto" che - speriamo - possa solo migliorare nel nuovo romanzo.

In attesa della recensione, lo ammetto qui: mi sono commossa alla presentazione. Ennesima dimostrazione che parole, musica e immagini fanno l'Arte ancor più maiuscola.

GMGhioni

#SalTo14 - Due incontri, due commozioni (parte 1)

Un'altra sorpresa inaspettata di questo Salone contro i luoghi comuni è la commozione. Quando si lavora da anni nel settore dei libri, capita di avvicinarsi a uno dei pericoli più temibili: lo spirito critico ammazza letteralmente l'emozione dei contenuti dei libri. Poi, però, ci sono incontri con gli autori, ma anche semplicemente letture, che riconfermano immutata la passione per la letteratura.

Sabato 10 maggio: una giornata torinese molto commovente, e per motivi nettamente diversi.

Si è iniziato con l'incontro con Angela Terzani Staude, alle 14.00 in Auditorium: non si trattava "semplicemente" della presentazione di Un'idea di destino (le virgolette sono doverose vista la ricchezza di vent'anni di diari, una delle letture più intense degli ultimi anni), ma anche di un'occasione per parlare di Tiziano Terzani. A smuovere anche gli animi più cinici, la determinazione e l'affetto con cui Angela ha portato avanti il ricordo del marito. Pur non avendo mai preteso di trovare una chiave di volta al grande mistero dell'esistenza, Tiziano non si è mai fermato: è stata la strada stessa, la protagonista immutata del suo viaggiare e interrogarsi sulle cose. E poi c'è l'indagine sulla qualità della vita e dell'uomo: ecco la sua eredità. Il tutto, rimanendo costantemente appigliato alla realtà. Ricorda Angela:
"Tiziano non credeva nei sogni di per sé: credeva, sperava, ma poi si misurava con la realtà".

"Pantera", l'ultimo lavoro di Benni


Pantera
di Stefano Benni
Feltrinelli, 2014

pp.106, illustrato
cartaceo € 12,00
ebook € 6,99

Benni con Pantera ci trascina nel ventre di una città. Lo scorrere del tempo non appartiene all'Accademia dei tre Principi, lì vite incerte trovano riparo o definitivo logoramento, uomini disincantati fuggono dai propri dolori e vengono consumati da passati rammarichi e future speranze. Un luogo dove "non si aspettava la Ragione ma la Sorte, non il Perché ma il Chissà".
Il narratore quindicenne conclude così la descrizione di questo pianeta parallelo:
Dai rumori della città si scendevano tre rampe di scale istoriate di virilia e vagine, per entrare in un mondo buio e silenzioso, al centro della terra. Quando ci misi piede per la prima volta mi strabiliò. C'erano quarantatré laghi di smeraldo, illuminati da una luce fredda, quarantatré biliardi di marca: elefanti o draghi di legno, ardesia e panno soffice. Quaranta in file da dieci e tre appartati e speciali, i Tre Principi, in fondo alla sala. Su ogni elefante vegliavano lampade al neon impiccate a un soffitto sanguigno. Nel loro alone fluttuava una galassia di polveri e microscopici spettri, e tra una pozza di luce e l'altra si aprivano abissi di penombra, dove gli avventori camminavano, nuotavano, scomparivano. E soprattutto fumavano in continuazione. Nell'oscurità salivano le spirali di sigari e sigarette, mi sembrarono le anime di chi era caduto laggiù.

#SalTo14 - Tempo di miracoli: il Salone contro i luoghi comuni





Mancare dal Salone del libro da un paio d'anni può fare diversi effetti: da un lato stupire, dall'altro provocare una classica agorafobia; nel caso migliore, una sindrome da Stendhal letteraria. Quest'anno sono stata al Salone per tre giorni - da venerdì a domenica -, e mi sono subito chiesta: ma quanti lettori avremo quest'anno? Tanti, tantissimi. E per fortuna!
Una costante? #SalTo14 ha smentito tanti luoghi comuni. Vediamone qualcuno in questa prima "cronaca" a distanza di solo un paio di giorni:
    Giovani lettori in fila indiana (foto di GMGhioni)

  • Il libro anti-crisi _ ci siamo: avevamo tutti paura che il Salone si trasformasse in un calo di visite e soprattutto di acquisti, e invece... Il libro ha vinto! Questo 27^ edizione ha visto un gran bel bilancio economico per gli editori, e sui quotidiani si legge già che siamo in ripresa dalla crisi. O forse, viene da chiedersi, il libro è uno di quei piaceri a basso prezzo che possiamo ancora permetterci per evadere dal quotidiano?  

#vivasheherazade - The story of a modern woman: un esempio di New Woman fiction


THE STORY OF A MODERN WOMAN 
di Ella Hepworth Dixon


Come si accennava a proposito di New Grub Street, l’ultimo ventennio dell’Ottocento è caratterizzato da grandi mutamenti sociali e culturali che investono l’Inghilterra segnando il declino dell’epoca vittoriana e dei suoi valori e da cui scaturisce una mentalità nuova che porterà nei decenni a seguire allo stravolgimento dei rigidi codici comportamentali borghesi. Ma è anche un’epoca contraddittoria, dove ad elementi di democratizzazione ed emancipazione si accompagnano resistenze e forti critiche.

La figura che –insieme al dandy- diventa emblema di questa fin de siècle è la New Woman[1], etichetta usata per indicare una femminilità del tutto nuova che si pone in netto contrasto con il tradizionale simbolo dell’angelo del focolare; sono donne delle classi medie, con un’istruzione superiore, più libere ed emancipate della generazione che le ha precedute e che sono pronte a rivendicare i diritti civili troppo a lungo negati al genere femminile. Esse proseguono infatti le battaglie politiche di Mary Wollstonecraft[2] e di autrici come Frances Trollope, Elizabeth Gaskell, Charlotte Bronte e George Eliot. La New Woman si inserisce quindi nel dibattito sulla questione femminile avendo alle spalle una solida tradizione di intellettuali e scrittrici le quali, ognuna in forme diverse, hanno dato il proprio contributo nel tentativo di cambiare il sistema vittoriano e garantire anche alla donna quei diritti civili che sono la base di una società moderna e liberale; la novità invece sta in una più completa trasformazione di queste nuove donne che inequivocabilmente appaiono moderne, più libere e consapevoli, non soltanto nelle idee e richieste politiche ma anche negli atteggiamenti e nel costume. Diventano quindi icone di questi decenni, oggetto di discussione su giornali e saggi, ma anche protagoniste di romanzi (scritti da donne ma anche da autori maschi) e il dibattito intorno alla nuova femminilità che sembra rifiutare - o quantomeno non accettare allo stesso modo delle loro madri- il tradizionale ruolo della moglie vittoriana si fa spesso molto acceso. I detrattori (non solo uomini ma anche scandalizzate intellettuali donne) accusano la New Woman di non rispettare gi impegni di moglie e madre preferendo la ricerca di una pericolosa indipendenza fuori dalle mura domestiche, di immoralità per la spregiudicatezza con cui si presentano in pubblico e si muovono in città senza un accompagnatore esponendosi al pericolo e al vizio, seguendo la nuova moda che abbandona i rigidi corsetti e si fa più comoda. Alla critica sull’emancipazione di queste donne si lega inevitabilmente il discorso etico e l’accusa contro tali «wilde women» [3] dalla morale discutibile che tentano di liberarsi dai vincoli sessuali. Tuttavia, per la New Woman di fine secolo l’emancipazione sessuale non è tra gli obiettivi contemplati e nonostante si dipingano queste donne come sessualmente spregiudicate, il movimento è a quest’altezza storica ancora tendenzialmente puritano; ciò che chiedono a gran voce sono il diritto all’istruzione e all’indipendenza economica , cardini del movimento e base imprescindibile per ogni possibilità di emancipazione, a cui si legano il riconoscimento della proprietà personale anche per le donne sposate e il suffragio femminile.