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#LectorInFabula - Il richiamo della foresta e la riscoperta degli istinti primordiali

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Il richiamo della foresta
Titolo originale: The call of the wild
di Jack London
Oscar Mondadori

pp. 115 

Chiacchierando con un amico, qualche sera fa di fronte ad un aperitivo, è venuta fuori l’annosa questione della differenza tra maschi e femmine. Invece di concentrarci sugli stereotipi del “voi maschi curate più la macchina che la fidanzata” e “non capisco come voi donne possiate avere delle borse così grandi”, siamo andati a scavare nelle nostre memorie infantili e ci siamo resi conto che le nostre differenze di sesso cominciano già dalla favola della buona notte.
A me leggevano “Piccole donne” (e anche l’Inferno di Dante, in realtà) a lui “Ventimila leghe sotto i mari”; Per me è inconcepibile non conoscere la storia de “Il giardino segreto”, lui rideva pensando che di Salgari ho letto solo l’improbabile, e poco riuscita, “Figlia del Faraone”. Fin qui tutto bene: dove mi sono sentita veramente in fallo è stato quando ha nominato Jack London e a come mi ha guardato quando gli ho rivelato che, benché lettrice accanita, io non abbia mai aperto “Zanna Bianca” o “Il richiamo della foresta”. Come prevedibile reazione, anche per orgoglio femminile, sono andata subito a ripescare dalla biblioteca “Il richiamo della foresta”. E mi sono resa conto che le mamme dovrebbero rivedere la scelta delle favole della buona notte.


Buck è un maestoso cane domestico, figlio di cani domestici da innumerevoli generazioni. È un dignitoso e grave San Bernardo, un incrocio con un pastore scozzese,  che vive nell’assolata California nella casa di un probissimo giudice con il quale ha un rapporto di fedele e paritaria amicizia. Sono gli anni della corsa all’oro nel Klondike, proprio quello di cui parla sempre zio Paperone, e nel lontano nord sono sempre alla ricerca di vigorosi cani da slitta. L’avido giardiniere del giudice vede in Buck una facile fonte di guadagno e lo vende senza remore per pagarsi i debiti di gioco.
Buck che fino ad allora aveva solo conosciuto gentilezza e rispetto nelle miti terre meridionali, si trova catapultato nel freddo nord dove vige solo la legge del bastone e della zanna e solo dove chi è forte ed astuto può cavarsela. È un mondo dove molti cani vengono spezzati, ma Buck, prima come cane da tiro per le slitte poi come compagno di un cercatore d’oro riscopre i suoi istinti più primordiali e ferini e scopre che le terre selvagge sono il luogo a cui realmente appartiene.

Il ritorno alla natura è un tema da sempre caro alle arti narrative: “Il libro della giungla”, “Il signore delle mosche”, “Robinson Crusoe” sono solo alcuni degli esempi possibili. Un uomo, un bambino o un piccolo nucleo umano si trova improvvisamente separato dalla civiltà e deve fare i conti con un mondo dove la legge naturale del più forte è ancora presente e deve capire come questo può andare a contrapporsi con tutto quello in cui gli hanno sempre insegnato a credere. C’è chi cerca di adattare la natura alla propria civiltà interiore, chi invece soccombe e ritorna agli stadi più crudeli e primordiali dell’essere. Per l’uomo è comunque sempre un pesante conflitto da affrontare.
Buck è un cane, viene chiaramente detto all’inizio del romanzo. Eppure è dotato di una personalità e coerenza di pensieri pari a quella di un essere umano, ma ha capacità di adattamento che superano sicuramente la nostra specie. Quando vive nella casa del giudice Miller sa qual è il suo ruolo nell’organigramma della casa e accetta tutto quello che ne comporta. Quando la sua sorte cambia così bruscamente, dopo i primi momenti di sconcerto e disorientamento, Buck riesce ad analizzare perfettamente la situazione, ne fa quasi una definizione socio- politica inconscia quando “elabora” la legge della zanna e del bastone ed agisce di conseguenza. Si inserisce in questa struttura, ancora voluta dagli uomini, ma risvegliando tutti i suoi sensi più primitivi che gli consentiranno di sopravvivere in quel mondo. Questo percorso porterà inevitabilmente ad un ritorno alla vita di branco, libera che risiede nei geni di ogni animale  
Rapide, gli nascevano dentro antiche memorie, al cui richiamo fremeva, come fremeva nei tempi antichi alle realtà di cui le memorie erano l’ombra. Aveva già fatto quel che ora faceva, in quell’altro mondo che ricordava confusamente (…)
Quella che noi definiremmo, ingiustamente, “involuzione” è in realtà una coerente maturazione di pensiero, per quanto animale, che non si è mai letta o vista in uomini costretti nella stessa situazione di Buck.
Quando vogliamo fare un complimento ad un cane diciamo che “gli manca la parola” o che “è quasi umano”: forse dovremmo rivalutare questa presa di posizione e capire se non sarebbe meglio, per noi, assomigliare di più a Buck.