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La potenza di un racconto lungo: "Voi non la conoscete" di Cristina Comencini

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Voi non la conoscete
di Cristina Comencini
Feltrinelli, 2014

pp. 67
€ 9


Quante pagine servono per tirare un pugno? "Un pugno dove?", potreste chiedere. Sotto la cinta o in faccia? Nello stomaco? Lasciamolo generico: un pugno. Dove è impossibile determinarlo, perché il colpo che ti danno le 67 pagine di Voi non la conoscete è tanto forte da non riuscire a localizzarlo, né a pararlo.
La pluripremiata regista e scrittrice italiana Cristina Comencini è tornata: ricordiamo tutti La bestia nel cuore, che nel 2004 aveva sgominato le autodifese di tanti lettori e spettatori. Poi la Comencini non è rimasta inattiva - anzi!, ma è questo il racconto che più si avvicina alla forza dirompente della Bestia nel cuore. Una forza che nessuna quarta di copertina potrebbe mai spiegare, perché la narrazione è frantumata come lo spirito della protagonista Nadia, in carcere per un crimine che il lettore scopre via via (perché rivelarvelo già?). Non conta tanto il crimine in sé, ma che Nadia sia rimasta imbambolata fino all'arresto, presente sulla scena ma poco partecipe: e così sempre, nella sua vita di ogni giorno, una trappola gigantesca, senza vie d'uscita.

Nadia ha vissuto nell'ombra di una madre egoista, profondamente femmina ma avversa a ogni uomo, poco attenta al dolore che la piccola viveva per la morte del padre e del fratello in un incidente drammatico. Un trauma poco sedimentato, certo, che uno psicoanalista potrebbe chiamare in tanti modi diversi. Invece, lo psicoanalista del carcere sceglie di non chiamare in alcun modo lo stato quasi patologico di Nadia, ma di accompagnarla in un percorso verso la scoperta di sé, sperando che la donna arrivi ad accettarsi per quella che è:
"Mi sta ascoltando, Nadia?"
"Non so se esiste".
"Cosa?"
"Un posto dove non ti succede niente se dici la verità". (p. 29)

Un cammino difficilissimo, forse irrealizzabile, che costa molto a Nadia, tentata più volte a regredire e a fuggire davanti al suo passato:
"Devo abituarmi a stare qui. Fa troppo male ricordare, e a che serve poi? Non voglio compatirmi, non voglio parlare di me, voglio essere lasciata in pace." (p. 34)
E se la posta in gioco non fosse solo l'autoanalisi ma addirittura la propria identità? Se perdersi fosse l'unica via per rinunciare anche alla rabbia repressa, gigantesca e non imbrigliabile? Perché il problema sotteso a ogni gesto di Nadia è la mancanza di libertà ("Non so rispondere come penso", p. 42).
Il lettore più empatico si lascerà coinvolgere nel turbine di sentimenti irrisolti e turbamenti di Nadia, per un impatto che è a volte aumentato dalla presenza di dettagli che, filmicamente, rivelano più di tante parole.

GMGhioni