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Invito alla lettura: "Il processo" di Kafka

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Il processo
di Franz Kafka

Feltrinelli, 1995 (1925)

Traduzione di Anita Raja
con introduzione di Bruno Schulz




Fiumi d’inchiostro sono stati versati sulle pagine del capolavoro kafkiano e tanto si è detto sui frammenti ed i capitoli incompiuti, sul surrealismo e sulle deformazioni espressioniste delle sue descrizioni. 
L’angoscia (che alcuni filosofi hanno distinto dalla paura: la paura è timore di qualcosa, mentre l’angoscia è un timore che non si materializza in concreto, è timore potenziale di tutto ma di nulla in particolare) pervade ogni fibra del romanzo discostandosi dalla definizione che ne ha dato la filosofia tradizionale  e dallo spleen letterario e bohémien dei poeti maledetti. L’angoscia kafkiana è onirica ma reale al tempo stesso e si manifesta in una vicenda ben precisa che sembra preconizzare i grandi processi-farsa staliniani degli anni Trenta. Il tipo di inquietudine in questione è rappresentato in modo sostanzialmente diverso rispetto a La Metamorfosi, racconto o romanzo breve in cui, invece, la situazione chiaramente metaforica in cui si trova il protagonista permette al lettore di mantenere un minimo di distacco dalla vicenda narrata grazie ai simboli che fanno da “filtro” tra la vita reale e la letteratura. 

 Ne Il processo, più che la carica immaginifica della narrazione è la valenza e i riscontri che avranno nella storia processi non dissimili dalla vicenda di K. Lo stesso anonimato del protagonista, K., rende forse più naturale l’immedesimazione del lettore oltre che quella probabile dell’autore, il quale dà al personaggio la sua stessa iniziale. Oggi che la garanzia a un “equo processo” è annoverata tra i diritti umani fondamentali, che i requisiti di indipendenza e imparzialità del potere giudiziario ed il diritto d’appello in secondo grado per i processi penali ci appaiono quali diritti inalienabili dell’individuo, il processo kafkiano, al contrario, appare connotato dalla totale mancanza di garanzie a tutela dell’imputato. K. viene arrestato senza conoscere le accuse gravanti sul suo buon nome di dirigente di un’importante banca e ciononostante la sua amicizia con uomini potenti, tra i quali figura persino un procuratore. Nessun mandato d’arresto dà ai suoi carcerieri, (non si tratta di agenti regolari ma di uomini inconsapevoli della portata e delle conseguenze degli ordini provenienti dai superiori), l’autorizzazione giudiziaria necessaria a scongiurare l’arbitrarietà della detenzione. 
Se ciò non bastasse, ulteriore spia del malfunzionamento del tribunale sarebbe la trasformazione degli stessi aguzzini di K. da carnefici a vittime a causa da una lamentela dello stesso imputato a loro carico. Il tribunale, infatti, non si preoccupa minimamente di verificare la veridicità di quanto denunciato da K. ma procede direttamente (anche qui senza un processo!) a sottoporre gli accusati a punizioni corporali e, per di più, in un luogo che non ha nulla di istituzionale, uno sgabuzzino nascosto in un sottoscala! Kafka, del resto, fa largo uso di cronotopi del genere: luoghi bui, claustrofobici, in cui la sensazione di asfissia ben rappresenta lo stato d’animo oppresso del protagonista. La cancelleria del tribunale, ad esempio, si trova nel soffocante sottotetto all’interno di un condominio il cui cortile è attraversato da una selva intricata di scale che salgono e scendono in ogni direzione, un labirinto dal quale, se è già difficile entrarvi, diventa impossibile fuggire! L’istruzione del processo e lo svolgimento viziato del procedimento non lasciano dubbi sul fatto che una sentenza “preconfezionata” sia in attesa di essere eseguita già dall’inizio dell’iter giudiziario del protagonista. Né la presunzione di innocenza fino a prova contraria né i principi di legalità e proporzionalità possono trovare applicazione in un tribunale dove buona parte della burocrazia è corrotta e il registro del giudice istruttore a tutto serve fuorché all’istruzione del processo. Ciononostante, il protagonista non mostra di arrendersi e si assume in prima persona l’onere della propria difesa, rinunciando alla mediazione di un anziano (e per di più malato) avvocato. 
Il lettore non sa se K. sia realmente colpevole o di quale crimine si sia macchiato le mani ma, davanti al dolo del giudice, alla lascivia di alcuni funzionari dell’amministrazione, alla violenza e al grigiore che traspaiono dall’intero apparato, non si può fare a meno di lasciarsi coinvolgere e trasportare dalla vicenda di un uomo solo contro la corruzione di un intero sistema.

Eva Maria Esposto