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Appunti su "Se una notte d'inverno un viaggiatore" (prima parte)

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Italo Calvino,
Se una notte d'inverno un viaggiatore
Mondadori, 1979

Per la recensione di Gloria M. Ghioni, clicca qui.

Italo Calvino scrive Se una notte d’inverno un viaggiatore nel 1979. Sono passati sei anni dalla pubblicazione del suo ultimo romanzo (Il castello dei destini incrociati, 1973), e in questo intervallo di tempo lo scrittore ha avuto l’occasione di confrontarsi, sul suolo francese, con lo strutturalismo, la semiologia, e soprattutto con gli esponenti di punta dell’Oulipo, l’Ouvroir de littérature potentielle.
L’idea che la libertà narrativa potesse realizzarsi solo a patto di plasmare il “romanzesco” secondo vincoli stabiliti in partenza (conferendo, in sostanza, alla letteratura l’inoppugnabilità della matematica, unica scienza esatta), non poteva che trovare un terreno fertile in una sensibilità artistica interessata sin dai suoi esordi al meccanismo della finzione. In particolare: alla possibilità di dominare la finzione; attraverso questo, la possibilità di dominare il reale. Resta da dimostrare se Se una notte d’inverno un viaggiatore confermi che queste possibilità sono realizzabili o se, al contrario, la scienza esatta non è altro che geometria al servizio del caos.

Ciò che per prima cosa colpisce, nel Viaggiatore, è che questo sia il romanzo del “tu”. Se nel romanzo classico il narratore si rivolge a una schiera infinita di lettori potenziali, Calvino rivoluziona tutto identificando con inequivocabile chiarezza un singolo Lettore, “tu” che verrà investito del ruolo di protagonista. Non si tratta, però, di un riconoscimento alla libertà del Lettore, che da passivo voyeur della finzione narrativa si fa attore “dentro” quella finzione: a ben vedere, la nuova condizione del Lettore è ben più vincolata dalla precedente. Egli si ritrova, innanzitutto, stretto in un’identità inequivocabile: egli incarna il lettore medio, “occasionale ed eclettico” (sono parole dell’autore). Come tutti i personaggi del romanzo, è definito dal suo rapporto col libro. Il Lettore ricerca nella lettura una rassicurazione sull’ordine del mondo; il libro contiene dentro di sé un universo comprensibile, dominabile, e per il semplice fatto che le storie che contiene hanno un inizio e una fine, sono conchiuse nell’oggetto-libro come uno scrigno che ne assicura l’esistenza.
Calvino, con la leggerezza ironica e straniante che gli è propria, tende sistematicamente a sfaldare questa sicurezza. L’espediente è ricavato dalla fusione magistrale dei suoi Libri, le Mille e una notte e l’Orlando Furioso.

Il Lettore – e insieme a lui la Lettrice (“entrata fin dal Secondo Capitolo come Terza Persona necessaria perché il romanzo sia un ro­manzo, perché tra quella Seconda Persona maschile e la Terza femminile qualcosa avvenga, prenda forma, s’af­fermi o si guasti seguendo le fasi delle vicende umane”) – sono coinvolti in una misteriosa serie di sfortunati eventi che non permettono loro di concludere i dieci romanzi che iniziano a leggere. Si innesca così il meccanismo, tutto ariostesco, della quête che spinge i personaggi alla ricerca di oggetti carichi di valore simbolico, e che obbliga il Lettore e la Lettrice ad esplorare tutti i luoghi della cultura. A cominciare dalla libreria, per continuare con lo studio di un professore universitario, passando poi per un gruppo di lettura “impegnato”, l’ufficio di un redattore presso una casa editrice; virando poi verso la casa della Lettrice, e ancora nel rifugio di un prolifico scrittore entrato in crisi; terminando negli antri del complotto della mistificazione letteraria, infine in una biblioteca.
Queste ricerche sono avventurose come quelle dei paladini di Ludovico Ariosto; sono altrettanto multiformi e centrifughe. L’oggetto della ricerca cambia, è sempre un libro diverso: così come Ferraù si distrae dalla ricerca del suo elmo dopo aver visto Angelica, il Lettore vorrebbe leggere il seguito di romanzi sempre differenti l’uno dall’altro. È molto importante sottolineare il fatto che questa ricerca è vana e infruttuosa, come tanto spesso avviene nell’Orlando Furioso: l’Oggetto non viene recuperato, e il personaggio-lettore è frustrato nella ricerca dell’unico strumento capace di assicurargli la possibilità di ordine nel mondo.
Non per questo, però, il romanzo ha una struttura aperta, un finale indefinito nella sconfitta. Con ammiccamento ironico (ma non troppo), il settimo lettore incontrato nella biblioteca dice al nostro Lettore: “Lei crede che ogni storia debba avere un principio e una fine? Anticamente un racconto aveva solo due modi per finire: passate tutte le prove, l’eroe e l’eroina si sposavano oppure morivano. Il senso ultimo a cui rimandano tutti i racconti ha due facce: la continuità della vita, l’inevitabilità della morte”. E i due protagonisti, Lettore e Lettrice, quel “voi” che si è venuto a creare pagina dopo pagina, effettivamente nell’ultimo capitolo appaiono sposati: una virata fondamentale verso la “continuità della vita” nonostante i due abbiano attraversato le torbide acque della mistificazione, della storia che non conclude e della vana ricerca.

L’ironia del finale stempera la consapevolezza che tutto è caos incontrollabile, così come la geometria studiata del racconto “a cornice”, tratta stavolta dalle Mille e una notte. Il libro è chiamato in causa piuttosto scopertamente, con la citazione di un racconto che sembra racchiudere il senso del Viaggiatore:
“Il Califfo Harùn ar-Rashìd – così comincia la storia che, vista la tua curiosità, egli acconsente a raccontare, - una notte, in preda all’insonnia, si traveste da mercante ed esce per le strade di Bagdad. Una barca lo trasporta per la corrente del Tigri fino al cancello d’un giardino. Sull’orlo d’una vasca una donna bella come la luna canta accompagnandosi con un liuto. Una schiava fa entrare Harùn nel palazzo e gli fa indossare un mantello color zafferano. La donna che cantava nel giardino è seduta su una poltrona d’argento. Sui cuscini intorno a lei stanno sette uomini avvolti in mantelli color zafferano. ‘Mancavi tu solo, - dice la donna, - sei in ritardo’, e l’invita a sedersi su un cuscino al suo fianco. ‘Nobili signori, avete giurato d’obbedirmi ciecamente, e ora è giunto il momento di mettervi alla prova’, e la donna si toglie dal collo un vezzo di perle. ‘Questa collana ha sette perle bianche e una nera. Ora ne spezzerò il filo e lascerò cadere le perle in una coppa d’onice. Chi tirerà a sorte la perla nera dovrà uccidere il Califfo Harùn ar-Rashìd e portarmi la sua testa. Per ricompensa gli offrirò me stessa. Ma se rifiuterà d’uccidere il califfo, sarà ucciso dagli altri sette, che ripeteranno il sorteggio della perla nera’. Con un brivido Harùn ar-Rashìd apre la mano, vede la perla nera e, rivolgendosi alla donna: ‘Obbedirò agli ordini della sorte e tuoi, a patto che tu mi racconti quale offesa del Califfo ha scatenato il tuo odio’, chiede, ansioso di ascoltare il racconto.”
Si tratta di un racconto incompleto: come quelli di Se una notte d’inverno un viaggiatore, ma anche come quelli delle Mille e una notte, dove Sheherazade per aver salva la vita interrompe le sue storie al sorgere dell’alba. Gli elementi strutturali (il termine non è casuale) ci sono tutti. Per cominciare, l’uomo (il Lettore) che intraprende un percorso guidato dal fascino di un personaggio femminile; questo personaggio femminile assume diverse identità: ma è sempre sfuggente, da rincorrere, come una chiave con cui aprire il mondo. Non a caso, l’atto sessuale, trattato da Calvino con giocosa disinvoltura, è chiaramente identificato con un ennesimo e più completo atto di lettura: il Lettore e la Lettrice si leggono a vicenda, ognuno “è letto” dall’altro: “Lettrice, ora sei letta. Il tuo corpo viene sottoposto a una lettura sistematica, attraverso canali d’informazione tattili, visivi, dell’olfatto, e non senza interventi delle papille gustative. Anche l’udito ha la sua parte, attento ai suoi ansiti e ai tuoi trilli. (…) E anche tu intanto sei oggetto di lettura, o Lettore: la Lettrice ora passa in rassegna il tuo corpo come scorrendo l’indice dei capitoli.”
Tornando al racconto delle Mille e una notte: “le parole con cui la narrazione s’interrompe ti sembra esprimano bene lo spirito delle Mille e una notte. Ma “chiede, ansioso di ascoltare il racconto” esprime altrettanto bene lo spirito del Viaggiatore: cos’altro incarnano il Lettore e la Lettrice, se non l’ansia del lettore medio, la voglia innocente di “vedere come va a finire”? “L’oggetto della lettura che è al centro del mio romanzo non è tanto ‘il letterario’ quanto ‘il romanzesco’, cioè una procedura letteraria determinata – propria della narrativa popolare e di consumo ma variamente adottata dalla letteratura colta – che si basa in primo luogo sulla capacità di costringere l’attenzione su un intreccio nella continua attesa di ciò che sta per avvenire. (…) L’aver fatto dell’interruzione dell’intreccio un motivo strutturale del mio libro ha questo senso preciso e circoscritto.” (Calvino, Se una notte d’inverno un narratore, 1979).
L’ansia del Califfo e il desiderio insoddisfatto del Lettore coincidono: si tratta dell’urgenza, più che umana, di ricevere risposte alle loro domande sul mondo.

Presto la seconda e ultima parte!