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Chi è il mio prossimo

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Adriano Sofri
Chi è il mio prossimo
Sellerio editore, pg. 352

“Un uomo scendeva da Gerusalemme verso Gerico e incappò nei briganti che lo spogliarono, lo percossero e poi se ne andarono, lasciandolo mezzo morto”.

Così Gesù inizia a raccontare la parabola del buon samaritano. Il protagonista è “un uomo”, non meglio identificato. Tutti gli altri personaggi della storia sono ben contrassegnati da un ruolo: il fariseo, il sacerdote. Le persone, si sa, tengono ai loro ruoli, se ne riempiono la bocca. Nessuno di questi ferma il suo tragitto per soccorrere quell'uomo. Il protagonista non è meglio identificato perché è un uomo nudo, gettato via, un uomo rifiutato dalla società (a pensarci bene, anche in Non al denaro, non all'amore, né al cielo di Fabrizio De Andrè, i personaggi non erano designati dal loro nome, ma da un ruolo, un medico, un ottico, tranne l' unico personaggio libero: Jones, il suonatore). Chi è il mio prossimo?

“Prossimo” in greco si dice to plesion, e con questa parola il greco non intendeva abbracciare tutta l' umanità, ma prossimo stava ad indicare colui che mi è vicino: la moglie, la famiglia, i vicini di casa, i miei connazionali. Eppure Gesù ribalta la situazione, e ci slancia verso aperture di senso amplissime: prossimo sta ad indicare l' intera umanità, prossimo è il buon samaritano, lo straniero, ma prossimo è anche l' uomo nudo, che deve essere soccorso, è chi viaggia in direzione ostinata e contraria.

Mio fratello è figlio unico, represso, calpestato, odiato... sfruttato, sconfitto, derubato

Chi è il mio prossimo?
Il libro di Adriano Sofri inizia con una luminosa esegesi della parabola del buon samaritano, raduna una serie di scritti, che tentano di compiere una discussione circa le implicazioni della vicinanza/lontananza per la moralità. Le questioni analizzate dall' autore sono davvero molte, ne riporto solo due, che effettivamente sono i macrotemi attorno ai quali l' intero libro si articola: Diderot e il contadino cinese, le responsabilità verso le generazioni future.

Diderot e il contadino cinese
La Cina è sempre stata l' immagine della lontananza più remota per antonomasia. Fino agli anni '60, e il cinema ha fatto la sua parte. I filosofi illuministi per formulare esempi concernenti la distanza usavano spesso la Cina come termine di paragone. Negli anni '60 la Cina è vicina, recitavano in coro i maoisti. La Cina si avvicina, e i film ce lo dicono: basti ricordare La chinoise di Godard (questo film è utile per l'analisi del marxismo delle nuove sinistre), e c' è un film di Bergman in cui il protagonista sogna che il suo paese sia invaso da orde di Cinesi. Se la Cina è vicina, non c'è più nulla di lontano, il mondo ha perso la distanza, si è fatto piccolo. E il cinema ne sa qualcosa.

Ma torniamo agli illuministi francesi.
Prendendo spunto da un famoso esempio di Diderot, possiamo domandarci: “se schiacciando un bottone a Parigi si uccidesse un uomo in Cina, questo avrebbe delle implicazioni per la nostra facoltà morale?” Che implicazioni ha la distanza per la moralità? Questa storiella sembra avere qualche somiglianza con l'ormai arcinoto anello di Gige di Platone.
Voltaire scrisse un poema in cui parlava del famoso terremoto di Lisbona, avvenuto il primo di novembre del 1755, il giorno di Ognissanti, perchè Dio ha ironia, e perchè il mondo non ha molto senso. Voltaire dice: “Lisbona è sprofondata e a Parigi si danza”. Non dovevano essersi molto interessati i parigini alle sventure dei portoghesi. E poi c'è l'autodafè, e poi c'è il Candido, ma la storia si farebbe troppo lunga.

La guerra e la caccia.
E la televisione ci fa vedere le morti in guerra. Ma ci fa vedere la guerra o ci porta oltre ad essa? Quali sono le nostre reazioni? Perchè consideriamo la guerra qualcosa come un osceno e abituale sottofondo e non come un motivo di indignazione? Potremmo parlare di guerra e sorseggiare un drink, come un'anestesia, come un'abitudine.
Le odierne armi di guerra fanno della distanza e della precisione la loro forza: una bomba sganciata dall'alto non vede l'obiettivo che colpisce, come l'uomo a Parigi non vede il cinese che uccide, e se ne scalza la responsabilità.

Moralità e distanza nel tempo.
Abbiamo qualche dovere verso le generazioni future?
I filosofi italiani più bravi, chissà perchè, non sono in Italia: Giuliano Pontara è in Svezia. Ha scritto un libro: Etica e generazioni future. É un gran bel libro.

La terra è a metà della sua vita “biologica”, ma l' uomo, in un tempo infinitamente piccolo, gli ultimi due secoli, le ha inflitto cambiamenti forse irreversibili. Questo può essere l' ultimo secolo?
Quante piante non ci sono più, quante specie di uccelli, quanti insetti, quanti fiori non ci saranno mai più sulla terra? Sono le solite Cassandre? È bene ricordare che la maledizione di Cassandra non è tanto che dica la verità, quanto che non è creduta. La maledizione di Cassandra in realtà è la maledizione di chi non le dà ascolto. Abbiamo giocato alla seconda creazione, ci siamo messi al pari di Dio, ma forse ci attende una creazione al contrario. E se le api scompaiono, quanto tempo rimarrà all'uomo? Per Einstein solo quattro anni. Ma ci sarà sempre chi dirà che quelli degli ambientalisti sono solo allarmismi di chi non sa prendere sorridendo la vita, che è bene continuare a gioire, ridere e scherzare. D' altronde, Micheal Crichton aveva scritto un libro in cui rivelava che quella ambientalista è una congiura di pochi che vogliono tenere in scacco il mondo, nella congiura e nell'ignoranza. Del protocollo dei Sette Savii di Sion gli ebrei sanno qualcosa. Una volta Ceronetti ha detto che il mondo è paragonabile ad un treno in cui, mentre la locomotiva sfreccia inarrestabile verso un burrone, nell'ultima carrozza si ride e spettegola. Non siamo molto lontani dall'hotel sull'abisso.
Saremmo disposti a lasciare ai posteri un mondo senza balene?

Peter