La cattiva strada
di Sébastien Japrisot
Adelphi, giugno 2025
Traduzione di Simona Mambrini
pp. 220
€ 12 (cartaceo)
€ 10,99 (e-book)
Poi si insaponò le mani per potersi sfilare meglio la fede. Portava quell'anello al dito da tanto tempo, ma non ebbe nessuna difficoltà a toglierselo. Ecco fatto. E andata. Buona o cattiva che sia, ormai ho preso questa strada. L'abbiamo presa entrambi. Senza un rimpianto, nemmeno quello di non averlo fatto prima. Doveva succedere tutto questo perché finalmente io me ne rendessi conto. Adesso ci siamo, è fatta.
Non è un granché come inizio, lo so. Ma se l'avessi lasciato sarebbe stato un inizio anche peggiore. Trai due, scelgo quello che fa meno male. Fosse anche la cattiva strada, l'abbiamo presa insieme. E da questo punto di vista siamo sulla buona strada.
Custodiremo il nostro amore. Lasceremo che passi il tempo - cinque, sei anni? - e saremo di nuovo in piedi. Con il nostro amore rimetteremo in piedi tutto questo sfacelo. Nient'altro conta. Avrebbe voluto essere già da lui, e il cuore prese a martellarle di nuovo nel petto. Quando uscì dalla cucina, la superiora era nell'ingresso, con la valigia in mano. (p. 203)
Nuova edizione del romanzo già pubblicato da Adelphi nel 2018, scritto originariamente nel 1950 da un Sébastien Japrisot appena diciannovenne. E la dolcezza della sua giovane età si percepisce tutta nei due protagonisti, Suor Clotilde e Denis.
Il romanzo parla di un amore con la A maiuscola, uno di quelli che - tempo fa - mi chiedevo se esistessero ancora nella letteratura contemporanea (al di fuori del genere romance): un amore alla Shakespeare, per intenderci, alla Tolstoj, devastante, totalizzante, che si porta a bruciare anche fino alla morte. Ho scomodato Shakespeare perché La cattiva strada mi ricorda molto la drammaticità e la sontuosità dei sentimenti di Romeo e Giulietta, come pure il magnetismo che i due protagonisti esercitano sul lettore.
Nelle pagine esistono solo suor Clotilde e Denis. Non c'è spazio per nessun altro.
Siamo in Francia, nel pieno della seconda guerra mondiale, che fa da sfondo quasi timido, silente. Denis è un ragazzino di quattordici anni, un discolo ribelle, costantemente in punizione, sempre nei guai. La sua vita è molto semplice e lineare: la scuola, il convitto, gli amici di sempre con cui combinare guai, gli sfottò ai tutori, i genitori assenti, la completa ignoranza di tutto ciò che riguarda le ragazze. Ogni tanto, come per sbaglio, una notizia o due da parte dell'andamento della guerra.
Per un caso fortuito, durante una visita a degli ammalati in ospedale, Denis incontra lei, suor Clotilde, una ragazza di ventisei anni che ha preso i voti a soli otto anni per volere della famiglia. Denis se ne innamora perdutamente al primo sguardo.
Non sorprende in effetti: suor Clotilde è bellissima, dolce, un angelo, e Denis è un adolescente nel pieno delle sue indagini intime e fisiche. Quello che non ci aspettiamo, e che davvero quasi sembra impossibile, è che lei cominci a ricambiarlo, e con quale intensità.
D'altra parte lei ha ventisei anni e lui la metà. Perché mai una donna, e per di più una suora, dovrebbe interessarsi a un ragazzino? Eppure, contro ogni logica, suor Clotilde se ne innamora a sua volta.
Quando dovevano separarsi, non c'era nessuna interruzione. Non c'era pausa. Lei continuava a pensare incessantemente a lui. La sera la tormentavano i rimorsi, pregava senza trovare alcun sollievo prima di scivolare in un sonno agitato. Ma non pensò più neanche lontanamente di smettere di vederlo. La sua primavera era troppo forte, troppo calda, troppo improvvisa, troppo divorante. La sua primavera era per lei più necessaria della vita stessa. Lei pregava e Denis era in tutte le sue preghiere. Invadeva tutto. « Lo amo come un figlio» si diceva. «Lo amo come una madre ama il proprio figlio». Ma non ne era convinta, non si sentiva affatto rinfrancata.
Lo stesso valeva per Denis: ininterrottamente, senza desiderio, o forse senza capire il suo desiderio, aspettava che finisse la notte e poi che finisse il giorno. Ma l'attesa non interrompeva niente, non alterava niente. La vita durante il giorno non esisteva. Non esisteva durante la notte. La vita era solo quel momento della sera in cui, in un'aula deserta, due mani gli accarezzavano il viso con un gesto materno. Era soltanto quella tonaca bianca, il fruscio di quella veste quando suor Clotilde camminava, il tepore di una spalla, un profumo di donna. (p. 77)
Clotilde prova a resistere, ingaggiando una battaglia tra spirito e corpo, tra dovere e desiderio, con una ovvia e straziante pena sia per lei che per i lettori. Sentiamo il suo dolore, i suoi dubbi, e capiamo perfettamente come si sente. E però non c'è nulla che riesce a fare per restare lontana da Denis.
I due cominciano ad architettare mille piani per vedersi, per stare vicini senza destare sospetti: immaginiamo lo scandalo. Sarebbe oggi qualcosa di incredibile, una suora di quasi trent'anni insieme a un ragazzino minorenne di quattordici. Immaginiamo all'epoca. Un disastro di portata immane. Nonostante questo, Denis e Clotilde diventano amanti.
Il loro è un amore puro, tenero, erotico, sia spirituale che carnale. Talmente perfetto che ci si dimentica della differenza d'età, dei voti, dell'impossibilità della condizione in cui vivono. Sarà la guerra a favorire il proseguimento dell'idillio, perché dopo un attacco alla città da parte di alcuni bombardieri, Denis e Clotilde lasceranno le loro case per rifugiarsi in periferia, facendo credere a tutti che sia una questione di sicurezza, di carità cristiana. Nella realtà, i due consumano il loro amore peccaminoso e proibito.
Ci si chiede, a un certo, punto - perché è inevitabile: dov'è la fregatura? quando arriverà la batosta? E l'ovvia batosta arriva, perché in un mondo di guerra e di giudizio un rapporto peculiare come quello non ha futuro. O forse sì? O forse il loro amore è talmente vero, talmente intenso da poter superare ogni pregiudizio?
L'autore ci lascia con un finale aperto, chiudendo un cerchio iniziato con l'incipit.
I due protagonisti, oltre che crescere insieme come coppia, crescono anche come singoli: suor Clotilde mette in dubbio la sua fede, prende coscienza di non aver mai deciso nulla, di aver sempre seguito le indicazioni di qualcun altro, a partire dalla famiglia. Nella sua voglia di autodeterminazione riverberano le lotte femministe anche contemporanee, lo svincolarsi da un ruolo imposto che le sta stretto. Si potrebbe dire, a voler essere audaci, che Clotilde sia una femminista inconsapevole.
Denis, d'altra parte, da alunno un po' indisciplinato per cui la scuola e Dio erano tutto, diventa piano piano uomo: rinnega la religione, rinnega la famiglia, sputa sulla guerra. L'unica cosa che importa per lui è Clotilde. Tutto il resto può andare al diavolo.
Si tratta di uno di quei romanzi d'impianto classico che sembrano quasi precedenti alla loro data di pubblicazione: se non avessi saputo che era degli anni '50 e avessi potuto ignorare i riferimenti alla guerra, avrei potuto benissimo prenderlo per un romanzo ottocentesco.
La prosa, la delicatezza, la giovane età dell'autore. Tutto fa pensare a uno di quei testi scritti a lume di candela. Ci si chiede anche se, in qualche modo, non ci sia dell'autobiografia nel personaggio di Denis e se lui abbia mai veramente amato una donna come Clotilde.
Lo consiglio spassionatamente a chi ama le storie d'amore romantiche, tormentate, ma mai patetiche. Se avete letto Olivia di Dorothy Strachey, ad esempio, oppure Il diavolo in corpo di Radiguet, o ancora Suite francese di Irène Némirovsky, allora vi piacerà anche questo romanzo.
Deborah D'Addetta