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Un classico dimenticato, con due protagonisti indimenticabili: l'Azerbaigian di "Ali e Nino" di Kurban Said

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Ali e Nino
di Kurban Said
Mondadori, 2024

Traduzione di Stella Sacchini e Ilaria Mazzaferro

pp. 264
€14 (cartaceo)
€ 7,99 (ebook)

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Ali e Nino ci mette di fronte a uno di quei rari ma avvincentissimi casi in cui la storia di un libro e del suo autore è tanto affascinante e romanzesca quanto la narrazione stessa. Il caso in questione viene spiegato magistralmente da Enrica Fei nella prefazione al volume, e non vorrei mai rovinarvi la sorpresa di queste pagine introduttive; basti elencare gli ingredienti di questa storia prima della storia: la fotografia in bianco e nero di un affascinante ragazzo dai grandi orecchini e dagli occhi bistrati di nero; una fama da orientalista nei più raffinati salotti europei; la stratificazione di due pseudonimi e innumerevoli lingue a nascondere l’identità di un ebreo ashkenazita nato a Baku, perseguitato dall’Armata Rossa prima e da Hitler poi; un libro pubblicato a Berlino, un altro a Vienna; e la morte, assai prematura, a Positano. Una traiettoria curva, da Est verso Ovest, che, nei primi, travagliatissimi quattro decenni del Novecento, attraversa e fa suoi innumerevoli territori, sebbene la verità sia difficile da ricostruire nei dettagli.

Ma è davvero possibile ricostruire la verità dell’identità di Kurban Said? Nomi, lingue, nazioni: ormai, quasi un secolo dopo la composizione di questo romanzo, sappiamo bene che l'identità non è qualcosa facilmente descrivibile con un nome né con l'appartenenza a un luogo. Più facile immaginare che l'identità dell'autore sia comprensibile attraverso la sua scrittura, e che sia possibile rintracciarla in quella capacità di comprendere e amare l'alterità che caratterizza i due protagonisti della magnifica storia d'amore di Ali e Nino. Ali, musulmano, rampollo di una nobile famiglia islamica, innamorato del deserto, dei tetti piatti della città vecchia di Baku, con lo stesso talento per le lingue del suo creatore; e poi Nino, cristiana georgiana, innamorata della frescura dei boschi, del tè coi biscotti inglesi, e sempre con la mente alla Tbilisi dove vive il resto della sua famiglia. Due ragazzi innamorati dei propri territori e della propria gente, senza che questo precluda loro la capacità di innamorarsi di altre prospettive, di altri paesaggi, e soprattutto l'uno dell'altra: per gli Ali e Nino ancora adolescenti tutto sembra possibile, nelle strade di Baku, una città quasi irreale nella sua capacità di creare l’unione pacifica tra innumerevoli popoli, religioni, culture.

Ali e Nino, Oriente e Occidente; due mondi che si toccano lì sulle montagne del Caucaso, un territorio tanto affascinante quanto poco rappresentato nella letteratura che viene tradotta qui in Italia. Ma l’idillio di questo incontro viene disturbato dal Novecento che, implacabile, bussa alla porta. Con lo scoppio della Prima guerra mondiale Ali e Nino, giovani promessi sposi, iniziano la loro travagliata storia di fughe per innumerevoli territori di frontiera, liminali come la loro esistenza, dove le loro vite si intrecceranno alle vicende di popoli interi; il genocidio degli armeni, l’invasione turca, il breve tentativo repubblicano dell’Azerbaigian. Pagine che sono appena accennate dei nostri libri di storia che prendono vita e vengono messe al centro di un mondo vivissimo. 

Eppure sarebbe ingiusto raccontarvi il romanzo di Kurban Said se parlassimo soltanto di come ci racconta la storia di popoli e nazioni. A dare vita e corpo alla storia, grazie all’elegantissima prosa di Said, tradotta eccellentemente, sono soprattutto le scene che ci presentano i due protagonisti, personaggi fusi coi territori in cui si trovano fino a diventare indistinguibili da essi: il piccolo Ali nascosto sotto il banco di Nino per suggerirle le risposte di un compito in classe, nel liceo di una Baku sì governata dallo zar, ma ancora apparentemente in pace; il corteggiamento nel romantico paradiso del Karabakh – un nome così presente nei telegiornali di oggi, sebbene, tristemente, in tutt’altri toni; e poi la faida di sangue in cui Ali si trova invischiato, e la fuga sulle montagne, ad annegare nell’hashish il dolore della lontananza dalla sua amata Baku e dalla sua amata Nino; una Persia che, tra mille ritrosie, cerca di diventare Iran; e ovviamente Nino, un personaggio a dir poco unico, che salta come una bambina sul suo letto all’occidentale, si ubriaca ballando coi russi, e lotta come una leonessa per l’amore del suo Ali, senza però mai venir meno al suo orgoglio e alla sua personale idea di cosa sia giusto e sbagliato.

Sappiamo l’esperimento della repubblica dell’Azerbaigian con cui si conclude la parabola storica del romanzo, così come il racconto delle vicende dei due protagonisti, sarà di breve durata, e serviranno molti altri decenni prima che questo, come tanti altri territori, rinascano con la caduta dell’URSS; eppure personaggi come Ali e Nino durano per sempre, e per questo motivo questo romanzo merita a pieni voti di essere un classico e di figurare in una collana così prestigiosa come quella degli Oscar Mondadori. Per ricordarci ancora una volta che i classici non appartengono solo a quella storia che sentiamo nostra, al nostro canone occidentale, ma che sono invece tutti quei libri che ci raccontano storie universali: un afflato molto, ma molto più ampio.

Marta Olivi