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L'abuso di un potere d'oltretomba: "Il tarlo" di Layla Martínez, stupendo romanzo breve edito da La Nuova Frontiera

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Il tarlo
di Layla Martínez
La Nuova Frontiera, aprile 2023

Traduzione di Gina Maneri

pp. 144
€ 16,50 (cartaceo)
€ 10,99 (ebook)


In questa casa non si ereditano soldi o anelli d'oro o lenzuola ricamate con le iniziali, qui i morti ci lasciano solo i letti e il risentimento. Il cattivo sangue e un posto dove stenderti la notte, solo quello puoi ereditare in questa casa. (p. 9)
Comincio questa recensione mettendo subito le carte in tavola: era da tempo che non leggevo un romanzo così bello. Layla Martínez, giovane autrice madrilena, traduttrice professionista e già direttrice della casa editrice indipendente "Antipersona", con il suo "Il tarlo" mi ha conquistata senza sforzi.
Da amante del realismo magico e delle storie che hanno per protagoniste abitazioni "peculiari" e inquietanti (si veda già la mia recensione per Breve cronaca di una lenta scomparsa di Juliana Kálnay) leggendo la sinossi di questo romanzo non ho potuto che esserne attratta. Le mie aspettative non sono state deluse, anzi, sono state superate largamente.

Il romanzo di Martínez ci porta in Spagna, precisamente nella zona brulla e spoglia nei dintorni di Cuenca, proprio nel mezzo tra Madrid e Valencia: è una terra povera, miserabile, e tali sono anche i suoi abitanti, diavoli che vivono nella polvere e nel veleno dei pettegolezzi. La narrazione è portata avanti in modo alternato e in prima persona da una ragazza giovane e sua nonna, dunque ascoltiamo entrambe rivolgersi a noi come se ci stessero raccontando una storia.
E lo fanno davvero: il romanzo si apre attraverso il punto di vista della giovane che inizia a descrivere una casa viva e una nonna strana che pare essere in trance. Dico "casa viva" perché il luogo dove le due abitano è per l'appunto un vero e proprio organo che respira, scricchiola, che si gonfia e si contrae, un essere dotato di una sua anima, pieno di ombre che si nascondono ovunque. Sono le ombre dei morti, di chi non c'è più e però non sa dove andare, in bilico, senza un posto preciso in cui collocarsi, non all'inferno, non in paradiso, ma dentro armadi, cassetti, pentole e tra i rami degli alberi.
Datemi retta, io lo so cos'ha dentro, ve l'ho già detto. So cos'hanno dentro le persone. Lo vedo, e quello che non vedo me lo raccontano i santi quando mi portano via [...] Vedo le ombre che hanno dentro. (p. 29)
Queste ombre sono consistenti, dense, appiccicose, si nascondono sotto il letto aspettando il momento giusto per agguantare una caviglia o una ciocca di capelli. Allo stesso modo, sia la nonna che sua nipote (la giovane di cui parlavo) hanno la capacità di guardare nell'anima delle persone, di scavare con gli occhi affinché tutti i loro più abietti desideri, le gelosie, le invidie, il marcio, si manifestino.
Una maledizione, tanto che sono divorate dal livore e dall'odio, per gli altri ma soprattutto per se stesse, e dalla consapevolezza che da quella casa non potranno mai andare via.
Il nodo centrale del romanzo è un crimine: è la stessa giovane protagonista che ci racconta, senza retorica o richieste di assoluzione, di aver fatto qualcosa di tremendo, qualcosa che sua nonna sa, perché lei sa tutto, lei parla con i morti, parla con le ombre e con i santi. Si potrebbe dire sia una strega, ma l'autrice non la mette su questo piano: la descrizione della storia della famiglia, di cui noi veniamo a conoscenza proprio grazie ai suoi ricordi, ci fa capire che l'odio è il miglior antidoto alla morte, al disprezzo altrui, un antidoto che però si fa veleno perché preso goccia a goccia, per anni, a partire dalla prima donna della famiglia fino alla nostra giovane narratrice.
Mia nonna mi ha mostrato le foto centinaia di volte, le tira fuori dalla scatola dei biscotti ogni volta che le si annodano in gola il dispiacere o il rancore che in questa casa sono la stessa cosa. (p. 22)
Insieme all'odio, il leitmotiv che più salta all'occhio è condensato in questa frase: "sono la stessa cosa". Nel romanzo torna spesso a indicare quanto le protagoniste siano consapevoli del proprio destino e della propria inesorabile disfatta, tanto che amore e paura, dispiacere e rancore, affetto e odio, vita e morte non hanno differenze, non hanno cambiato, non cambiano e non cambieranno mai il percorso stabilito dalla casa e dalle sue ombre per questa famiglia. 
Una famiglia di sole donne, perché gli uomini ne vengono consumati.
Dunque piano piano, ascoltano l'una e l'altra - si contraddicono a vicenda o confermano i fatti - scopriamo di più sul crimine presente, sui crimini passati, su come la casa sia diventata quel che è, sulla malvagità del paese e la pericolosità delle maldicenze che, spesso, portano la gente disperata a difendersi attraverso i metodi più spaventosi.
Si tratta di un romanzo inquietante, denso, raccapricciante per certi versi, reso magnificamente dalla scrittura concitata e "strisciante" dell'autrice, che sa descrivere benissimo le ombre, i loro sospiri, quel vuoto che hanno dentro le persone quando non hanno che terra e polvere e preghiere a cui affidarsi. Nella parte narrata dalla giovane nipote il discorso è un flusso rabbioso: non ci sono virgole, interruzioni o discorsi diretti, lei vomita tutto su di noi per liberarsi la coscienza. La parte della nonna è più ponderata e anche più oscura. 
I protagonisti del romanzo sono il risentimento più nero e la voglia di vendicarsi, due sentimenti potenti che, in questo caso, si manifestano fisicamente attraverso gli scricchiolii e gli orrori della casa.
Dicevo all'inizio che è un romanzo molto bello: mi sono sentita parte di quel luogo, ho avuto paura, mi sono voltata a osservare le ombre della mia stanza e ho empatizzato con due donne logorate da una vita tremenda.
Mi ha molto ricordato le atmosfere patibolari di Corteo di ombre - Il romanzo di Tamoga di Julián Ríos, raccolta di racconti ambientata nella stessa Spagna miserabile e piena di gente ancor più miserabile. 
Allo stesso modo, per la tematica fortemente legata alla magia e all'oscurità rituale, ho pensato a un altro romanzo che ho amato moltissimo e a cui torno spesso anche a distanza di mesi, ovvero La nostra parte di notte di Mariana Enriquez: lì, la storia era a carico di un padre e di un figlio, straordinari ognuno a modo proprio, logorati dal peso di un dono corrosivo; qui questo dono di morte è tutto femminile, ma la sensualità, la tinta gotica, l'abuso di un potere d'oltretomba sono i medesimi.
Gli ho trovato solo un difetto: avrei voluto durasse per altre cinquecento pagine.

Deborah D'Addetta