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Dietro le quinte di un capolavoro: "Casa Lampedusa" di Steven Price

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Casa Lampedusa

di Steven Price

Bompiani, ottobre 2020

Traduzione di Piernicola D'Ortona e Maristella Notaristefano

pp. 304
€ 18,00 (cartaceo)

€ 10,99 (ebook)

Aveva amato quella casa come nient'altro in vita sua. Ricordava le stanze in cui aveva dormito fino a due mesi prima che la bomba degli Alleati cancellasse il palazzo. Lui era nato su un tavolo a pochi metri da quel letto e per tutta la vita aveva creduto che sarebbe morto fissando l'intonaco di quel soffitto. In nessun altro posto si era sentito a casa. Solo lì sentiva che radici, tempo, spazio erano la stessa cosa, che si entrava nel mondo in un posto carico di sofferenza e amore. Aveva percorso le sale di quell'amore per la maggior parte della sua vita (p. 267).

Giuseppe Tomasi di Lampedusa costretto a vivere lontano dalla sua casa, a tornare a visitarla solo poco prima di morire; Giuseppe Tomasi di Lampedusa che mai conobbe l'isola di cui era principe, ma di cui vagheggiava la sabbia e il sole, «al di là della caligine dell'orizzonte». Lontano dal mondo in cui viveva, di cui non ne comprendeva più i segni, quasi esule in una Palermo che non aveva più i fasti della nobiltà a cui lui apparteneva, certo che i ricordi e il mondo che lui deteneva erano destinati a scomparire insieme a lui. Questo è il personaggio di Casa Lampedusa  e se vi state domandando se il Tomasi di Lampedusa personaggio di Steven Price sia simile al principe di Salina, che il Tomasi di Lampedusa scrittore ha creato, la risposta è sì. Scelta che Price ha preso con consapevolezza ma senza ostentazione e che accompagna il lettore in questo romanzo per certi versi strano, che mai si trasforma né in una piena biografia, né in un making of, ma che lega narrazione e lirismo in un connubio ben riuscito. Il personaggio Tomasi di Lampedusa, in realtà, mostra ben poche fattezze accattivanti: riservato, taciturno, sconfitto dalla vita ancora prima di compiere qualsiasi battaglia, sopraffatto dal peso della tradizione familiare, di cui sente di non essere all'altezza. Il romanzo si apre nel momento in cui allo scrittore viene diagnosticato un enfisema polmonare e lui «capì che non era pronto a vivere come un malato, come un uomo con la morte in tasca» (p. 39). 

Il pensiero della fine lo spinge ad andare verso l'inizio, alla ricerca dell'origine dei suoi ricordi; proprio così, mentre cercava riparo nella propria biblioteca, ebbe

la visione di un uomo, calmo e taciturno e potente, un uomo sensibile alla bellezza inattesa, dominato dalla propria sensualità. [...] Aveva sempre immaginato che il suo bisnonno fosse un uomo che trovava intollerabile il pensiero di invecchiare, che nella morte vedeva l'estinzione, ma non aveva compreso che sensualità e rovina erano inscindibili, e che vivere dominati dal passato equivaleva a suo modo a estinguersi. Gli parve ora che per l'uomo della sua visione - un tipo burbero, solenne, dispotico, che era e non era il suo bisnonno - la passione stessa per la vita dovesse essere la causa del declino (p. 41).

 Si intrecciano così le fisionomie di Giuseppe Tomasi di Lampedusa e del principe Fabrizio, sebbene al primo manchi il fuoco dirompente del secondo. Tuttavia, attraverso la scrittura del suo personaggio, impariamo a conoscere i silenzi dello scrittore, i suoi pensieri e la sua attesa della fine. Capiamo che per lui, così come per il suo principe astronomo, «ciò che sembrava accadere in realtà era già accaduto».

L'imminenza della fine porta Tomasi di Lampedusa ad andare nel cuore del feudo di famiglia, a Palma di Montechiaro e a cercare le uniche due forme di immortalità in cui credeva: un figlio a cui lasciare il titolo e il figlio spirituale, quel Gattopardo, che 

forse sarebbe rimasto inedito, un dispiacere così grande che non riusciva a guardarlo in faccia, solo in tralice, come chi guardasse una lettera che non desiderava aprire (p. 275).

Il rifiuto della Mondadori e della Feltrinelli, l'incomprensione da parte della comunità letteraria del tempo, porta Price a riflettere sul valore della letteratura e sulla fama, agognata dal cugino di Lampedusa, Lucio Piccolo, ben descritto nei dialoghi e nel rapporto con Giuseppe. Quando Giuseppe accompagna il cugino ad un incontro di intellettuali - fra i quali Montale - a San Pellegrino Terme, comprende che 

per Lucio la scrittura non era un modo per conoscere, ma per essere conosciuto; e capito questo si rese conto che voleva chiamarsi fuori. Gli scrittori che erano a San Pellegrino aspiravano non all'annullamento di sé della vera letteratura, ma all'ammirazione dei lettori (p.81).

Nel disgusto che lo coglie per una letteratura fatta di cocktail e combriccole che si riuniscono, il suo unico appuntamento rimane quello con la scrittura da solo, nella biblioteca. Scrive, in un furore creativo, causato anche dal sentore della vicinanza della fine, perché «era stato il romanzo a pretendere di esistere, non lui a volerlo creare». Solo il cugino e la moglie gli diranno senza alcun dubbio che il suo romanzo è un capolavoro, solo il figlio adottivo e la sua fidanzata, Mirella che batté a macchina Il Gattopardo,  gli diedero la speranza che le sue parole potessero durare più a lungo di lui. 

Il rapporto con Gioacchino Lanza Tomasi, il figlio che lui scelse, ci restituisce la figura da cui trasse l'ispirazione per il personaggio di Tancredi e per il rapporto intessuto di ironia e non detti, tra il vecchio principe e la nuova generazione.

Casa Lampedusa offre uno straordinario spaccato di una Sicilia scomparsa, ma che pur sa ancora vivere nei fantasmi di Villa Piccolo (magnificamente descritta da Price, così come lo sono i suoi abitanti stravaganti), nelle rovine dei palazzi nobiliari di Palermo, nella provincia in cui il tempo ancora oggi non sembra essere trascorso, in una immobilità crudele e meravigliosa che nessuno come Tomasi  di Lampedusa seppe descrivere. Da siciliana, mi ha destato stupore e ammirazione il fatto che un canadese abbia saputo calarsi con tale lucidità di giudizio e affinità di sentimenti ad un mondo a lui così lontano. Ciò mi è sembrato un segno della potenza espressiva de Il Gattopardo, che è riuscito a plasmare un'immagine universale di una realtà particolare, facendo davvero diventare, usando le parole di Sciascia, la Sicilia una metafora.

Il romanzo offre, inoltre, un ritratto a tutto tondo di Licy, Alessandra Wolf, la moglie del principe, una delle prime donne a praticare psicoanalisi in Italia e del matrimonio silenzioso e a tratti spigoloso fra i due. Eppure un vero amore, nel quale la comprensione e il dialogo vero mai lasciarono posto alla consuetudine vuota delle parole.

 È un romanzo che consiglio solo a chi ha amato Il Gattopardo? No. È un romanzo nonostante tutto autonomo da quello che lo ha ispirato, con un intreccio possente ed una scrittura preziosa.

Tuttavia, per coloro che invece, come la sottoscritta, considerano Il Gattopardo uno dei capolavori del Novecento, Casa Lampedusa è una lettura imperdibile perché ci riporta davvero a casa, non in quella distrutta e perduta del principe, ma in quella indistruttibile che lui scelse come luogo di ristoro: la letteratura.

La letteratura era stata una buona guida e una consolazione fin dalla fanciullezza, e lui le aveva dato ascolto per tutta la vita, nonostante non fosse riuscito, adesso lo sapeva, a comprenderne la sola verità: vivere.

Deborah Donato