in

Il senso dell'umana precarietà: "Di chi è questo cuore" di Mauro Covacich

- -
Di chi è questo cuore
di Mauro Covacich
La nave di Teseo, 2019

pp. 246 
€ 17,00 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)



Che cos’è la profondità in cui si annida il cuore umano? Un nero abisso, forse un fondale oceanico, forse invece un punto inesplorato dell’universo. Oppure semplicemente la concretezza di una gabbia toracica indagata da una sonda. All’interno di queste polarità, solo apparentemente contraddittorie, in realtà complementari, si muove il romanzo (ma anche questa definizione risulta imprecisa alla lettura) di Mauro Covacich. Prosegue infatti il tentativo dell’autore di eliminare ogni barriera tra vita e letteratura, e la scrittura si fa così cronaca discontinua di un’esistenza che ne lambisce molte altre, in una Roma pullulante e animata come un formicaio, in cui i contatti tra gli individui sono il più delle volte casuali e stordenti come interferenze o scosse elettriche.

Una piccola anomalia cardiaca, una impercettibile variazione in un tracciato che si credeva destinato a scorrere sempre uguale, rivela bruscamente – con l’impatto di una deflagrazione atomica – il senso della umana precarietà, che coinvolge non solo lo scrittore in quanto individuo, ma l’intera specie dei suoi consimili. Per chi sublima il proprio malessere attraverso il dominio sul corpo, un corpo che sfugge al controllo si fa maledizione e obbliga a una continua rivalutazione del vissuto, non tanto in senso retrospettivo, quanto nel suo scorrere minuto per minuto, nella quotidianità che procede immutata mentre per il soggetto tutto è in realtà cambiato.
All’inizio del volume si ventila l’ipotesi di una serie di articoli sul concetto di “identità pubblica”, che poi di fatto viene esplorato nel libro, attraverso i pezzi scritti per il giornale, ma soprattutto attraverso l’esposizione della propria stessa intimità. È un contrasto feroce con se stesso quello che prende piede sulla pagina. Un contrasto con una parte di sé rinnegata, rifiutata, eppure presente: una proiezione – che ricalca ed estremizza le molte proiezioni autoriali che abbiamo imparato a conoscere negli scritti di Covacich – più cinica, disincantata. Più grassa, scurrile, forse più onesta, che obbliga il protagonista a interrogarsi sulle forme del proprio essere e del proprio apparire.
Nel momento della scoperta della propria limitatezza, della propria fallacia, infatti, l’uomo non dà il meglio di sé. È un cinismo a tratti disperato quello esibito tra le pagine, nell’osservazione del reale dei giorni che seguono alla notizia. 
Come sempre al centro della narrazione c’è il corpo, questa volta però non più il corpo performante e al tempo sofferente dell’atleta, il meccanismo perfetto che si esaurisce per autocombustione, ma un corpo fallibile, disgregato, in cui ogni elemento diventa occasione di diversione, quando tutto dovrebbe ricondurre al suo punto nevralgico, alla sua essenza di vita. Il cuore, che spesso nel testo appare isolato, diventa emblema, come le apparizioni dell’altro Mauro, di questa frammentazione. È importante tuttavia porlo al centro, più dei denti, inno all’apparenza, più dell’intestino, che ci richiama alla nostra dimensione più ferina, più anche della mente che funziona troppo e porta lontano da ciò che è fondante – e fondamentale – sembra dirci l’autore nel suo percorso, così come nelle discussioni spesso animate con l’altro sé. 
Il cuore ha a che vedere con la verità, con l’esporre al mondo le proprie nude viscere: “si è sinceri solo quando la verità comporta un costo, non quando ci guadagni qualcosa” (p. 99), ricorda l’alterità, ostile e al contempo complice, e la virtù che si persegue deve sempre avere a che fare con il sangue, con un’intimità sofferta, “crudele”, per trovare un senso. E questo ha un prezzo, anche in termini di ricezione pubblica della propria immagine.
Il Mauro Covacich che emerge dall’opera (e non solo da questa) non si vuole bene e chiede al lettore di non volergliene. Di contro, lo affeziona ai comprimari, ritratti sempre con pochi tocchi vibranti, resi vivi sulla pagina, come Susanna, in qualche modo sminuita in Prima di sparire e ora invece totalmente riscattata dalla prosa, o come la madre, che a quasi ottant’anni riscopre una nuova giovinezza grazie a Facebook.
Nel suo narrare, Covacich semina indizi, tasselli di un identikit autoriale, che sta al pubblico fedele riconoscere. Molti sono gli argomenti ritornanti, a lui cari: la genitorialità mancata, la capacità e la voglia di continuare a essere figli; il branco che snatura o forse rivela una vera natura, più scomoda e feroce; il mondo contemporaneo, che rovescia i valori e differisce la vita a un altro tempo, a un altro spazio, spesso virtuale. Il soggetto, al centro di tutto, che fa i conti con la propria debolezza congenita e lancia nello spazio il proprio monito: “Eravamo corpi fragili pieni di voglie, peccato non esserci incontrati” (p. 210).
Prende piede poco alla volta un percorso di faticosa accettazione da parte dell’io narrante del proprio cambiamento, prima celato (“Non capisco”, gli dice un amico, “che bisogno hai di far credere alla gente che corri ancora. Quanto tempo sarà che non lo fai più”, p. 230), poi ammesso a se stesso, oltre che ai destinatari del suo scritto.
Nel desiderio di esposizione totale delle proprie miserie, nel senso di sgradevolezza e disagio che il lettore prova di fronte ad alcune affermazioni, si rivela una dimensione di profonda umanità. È il lettore che si guarda allo specchio e non si vuole riconoscere. Non saranno, le sue, le stesse miserie, gli stessi pensieri sottili e negati, lo stesso politicamente scorretto messo nero su bianco. Saranno però in qualche modo equivalenti, e lui (o lei) sarà spinto con forza, nel procedere delle pagine, a farsene carico, così come il protagonista nei serrati confronti con se stesso. Di chi è questo cuore, si chiede l’autore osservandone un simulacro in un tombino, all’interno di una composizione artistica. La risposta è che è il suo, ma anche un po’ il nostro, che ci piaccia o no.

Carolina Pernigo





Visualizza questo post su Instagram

L’estate può essere il momento per le novità, ma anche quello per i grandi recuperi: la nostra @quinquilia ha infatti estratto dalla pila dei libri sul comodino questo volume di #maurocovacich, lasciato imperdonabilmente indietro. Nella lettura, ciò che l’ha colpita particolarmente è l’insieme di consapevolezze e conseguenze che scaturisce da un inciampo iniziale, l’inaspettata presa di coscienza della propria fragilità da parte di un uomo - il personaggio che coincide con l’autore, che può essere specchio però di ogni altro uomo. Come può l’annuncio di una lieve anomalia cardiaca cambiare a un tempo tutto e niente nell’esistenza individuale e collettiva? Con la consueta acribia critica e la sua penna pungente, Covacich esplora tutte le variabili di questo tema. Avete già letto il libro? Cosa ne pensate? Se invece siete curiosi, trovate oggi l’invito alla lettura sul sito. #instabook #instalibro #bookstagram #bookoftheday #bookish #igreads #igbooks #readingnow #newbook #bookaddict #booklover #cover #bookcover #inlettura #cosebelle #criticaletteraria #maurocovacichdichièquestocuore #lanavediteseo @lanavediteseo
Un post condiviso da CriticaLetteraria.org (@criticaletteraria) in data: