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"I tatuaggi devono parlare da soli": Yori Moriarty racconta significati, forme e motivi di quelli giapponesi

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Il tatuaggio giapponese.
Significati, forme e motivi

di Yori Moriarty
testi e disegni di Yori Moriarty
traduzione di Paolo Bassotti
L’ippocampo, 2020

pp. 240
€ 19,90 (cartaceo)

Sarà certamente capitato anche a voi, se amate i tatuaggi, di rimanere incantati nell’ammirarne qualcuno di ascendenza o ispirazione orientale, magari immaginandolo direttamente sulla vostra pelle: forse un drago, una geisha, una carpa o un ramo di ciliegio in fiore (ovvero i soggetti più popolari di un repertorio in verità estremamente assortito), per non parlare dei sempre richiestissimi ideogrammi (quasi che l’espressione grafica di un concetto in una lingua straniera e non immediatamente decifrabile avesse il potere, “esotizzandolo”, di renderlo comunque migliore). Tuttavia, a meno che non siate appassionati di storia e cultura del Sol Levante, con la stessa frequenza vi sarà capitato di ignorare vostro malgrado il valore più profondo di quelle immagini, soffermandovi invece sulla loro irresistibile malia estetica. Il che, va detto, equivale a una resa pura e semplice ai valori della superficialità, quasi un contrappasso beffardo per una cultura che dalla seconda metà dell’Ottocento in poi seppe conquistare l’Europa in virtù della bidimensionalità e del decorativismo. La realtà dei fatti – ovvero, in questo caso, delle linee e dei colori – è però ben più complessa di così: lo sa bene un professionista della tattoo art come Yori Moriarty, autore di un volume appena pubblicato da L’ippocampo nella sua versione italiana che aiuta a comprendere meglio un oggetto del desiderio la cui anima è antica tanto quanto la cultura di cui è espressione.

Il tatuaggio giapponese. Significati, forme e motivi è un lavoro ambizioso. Non solo per il tentativo di rendere conto di un patrimonio di immagini a cui corrispondono il passato, lo stile di vita e il folklore di un grande popolo, quanto per la sua intenzione non banalizzante, che rifugge gli schematismi ad uso e consumo del lettore occidentale. Dopo una Breve storia del tatuaggio giapponese – una ventina di pagine in cui, dagli esordi ai nostri giorni, ne viene riepilogata l’evoluzione, vale a dire origine, sviluppo, diffusione, popolarità, aspetti tecnici, tangenze con la tradizione incisoria locale, influenze del teatro kabuki e legami con la famigerata yakuza – Moriarty ha suddiviso la trattazione in nove categorie tematiche e iconografiche per rendere conto dei soggetti più frequenti e dei rispettivi significati. Ecco dunque Acqua, Animali mitologici, Animali reali, Personaggi della mitologia e del folklore, Personaggi storici e letterari, Fiori, Shunga (alla lettera “immagini della primavera”, in realtà scene di natura squisitamente erotica molto popolari nell’ambito delle stampe ukiyo-e), Yōkai (ovvero animali a cui sono attribuiti poteri sovrannaturali) e infine Amuleti protettivi e talismani. Un’impostazione, questa, che non corrisponde – non può corrispondere – a una griglia rigida e inflessibile di classificazione: se ogni capitolo è necessariamente strutturato in modo elastico e permeabile rispetto a tutti gli altri è perché in primis sono le forme e i colori dei tatuaggi a esserlo tra loro, ed è proprio in questo senso che la combinazione delle immagini non è mai casuale o meramente estetica, anzi si carica sempre di significati profondi, echi reciproci, corrispondenze consapevoli. A tal fine risulta molto efficace l’accostamento puntuale dei testi alle riproduzioni delle stampe e delle illustrazioni a colori, a testimonianza di come ogni elemento citato corrisponda sempre una tradizione di immagini e di firme divenute illustri anche in Occidente (Katsushika Hokusai e Utugawa Kunyoshi sono solo i nomi di punta di una numerosa schiera di artisti). Il senso di rispetto per una componente così importante della cultura materiale e immateriale nipponica viene ribadito dall’autore anche nell’Epilogo dal titolo Gimme da loot! Gimme da loot!, in cui racconta in prima persona della volta in cui il suo maestro, Horitoshi Toshiyuki Izumi, lo portò a conoscere Horitake, colui a cui doveva a sua volta ogni insegnamento. Appartenente a una famiglia yakuza di Osaka che da 35 anni tatuava esclusivamente i membri del clan, Horitake non solo prenderà l’iniziativa di tatuare una peonia sulla coscia sinistra di Moriarty – peraltro con «una macchinetta che si è costruito da solo, un aggeggio da galera che ricorda più una penna per la micro-pigmentazione che una macchina da tatuaggi funzionante» (p. 188) – ma lo promuoverà anche a livello di maestro: una sorta di investitura, questa, che mette in evidenza come la rigidità di certi aspetti gerarchici e rituali di un elemento identitario così forte come il tatuaggio giapponese possano essere suscettibili di aperture insospettabili qualora si verifichino le condizioni ideali a livello di empatia e rispetto:
«non ho mai usato il mio nome, Horiyori (“maestro che dà qualcosa”), per promuovermi o per ottenere più visibilità» dice Moriarty. «È un onore che apprezzo e del quale colgo l’importanza, ma che non ritengo necessario. I tatuaggi devono parlare da soli. Penso che tutte queste sovrastrutture separino le persone dal loro vero obiettivo: migliorare giorno dopo giorno, studiare e vivere quest’arte con devozione, fino all’ultimo istante» (p. 190).
Senza dubbio il libro di Yori Moriarty ha tutte le caratteristiche per piacere agli appassionati del Sol Levante e ai cultori dell’arte del tatuaggio in generale. Ad ogni modo, proprio la sua impostazione non specialistica ne fa una pubblicazione adatta anche a chiunque abbia desiderio di saperne di più su una tradizione antichissima (uno scopo divulgativo, questo, reso ancora più esplicito dall’aggiunta in coda di una Galleria di disegni originali e di un Glossario utile per orientarsi in una terminologia resa poco intuitiva dall’idioma orientale) e purtroppo sempre a rischio di semplificazioni commerciali. Difatti, al netto dell’evidente valore estetico delle tavole a colori e delle fotografie d’epoca, il vero pregio del volume non sta tanto nella soddisfazione squisitamente visiva da parte di chi legge quanto nella capacità del suo autore di rendere conto di una “pratica” che non è scindibile né dalla sua “teoria” né dal patrimonio filosofico e narrativo del suo popolo e della sua nazione di appartenenza. Non tragga dunque in inganno l’impostazione transitiva e divulgativa del tutto, che poco o nulla ha in comune le strategie di certi fenomeni alla moda: più che correre dal primo tatuatore utile a farsi iniettare inchiostro sottopelle “alla maniera nipponica” sarà più facile che il lettore voglia continuare ad approfondire l’argomento, con l’umiltà e il rispetto che si devono a un patrimonio identitario che non è il proprio e che richiede tutta la pazienza dell’apprendimento consapevole.

Cecilia Mariani




No, non ci sono i frutti del ciliegio tra le immagini piu ricorrenti nella tradizione del tatuaggio giapponese. Sono invece i suoi fiori a detenere il primato in quanto tema botanico più popolare, insieme con le peonie, i crisantemi, le foglie d'acero e il loto. Non è che uno dei molti esempi possibili tra quelli esplicati da Yori Moriarty nel suo ambizioso volume appena pubblicato da L'ippocampo @ippocampoedizioni nell'edizione italiana: il noto tatuatore di professione, nonché cultore della tattoo art nipponica e della storia dell'estremo oriente, ha difatti voluto raccontare significati, forme e motivi di una cultura tanto spesso vittima di banalizzazioni e declinazioni meramente commerciali, dando corpo a un libro in cui estetica, etnografia e letteratura delineano insieme il ritratto di una nazione. La recensione di Cecilia Mariani tra pochi giorni sul sito! 🍒🍶🍤🍣🍱🍙🍥 #libro #book #instalibro #instabook #leggere #reading #igreads #bookstagram #bookworm #booklover #bookaddict #bookaholic #libridaleggere #librichepassione #libricheamo #criticaletteraria #recensione #review #recensire #recensireèmegliochecurare #iltatuaggiogiapponese #yorimoriarty #tatuaggio #tattoo #giappone #japan #ciliegie #cherries #ippocampoedizioni
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