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L'eterna America degli anni Cinquanta e Sessanta, così conosciuta, eppure così mostruosa: "La forma dell'acqua" di Daniel Kraus

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La forma dell'acqua
di Daniel Kraus
Tre60, 2018

pp. 433 
€ 18 (cartaceo)

La forma dell'acqua di Daniel Kraus è assieme padre e figlio dell'omonimo film, trionfatore al Festival del Cinema di Venezia, firmato da Guillermo del Toro. Questo romanzo è infatti padre del film perché, per stessa ammissione del regista, la realizzazione di entrambi è stata pressoché parallela, con scrittore e cineasta che hanno lavorato fianco a fianco e, al contempo figlio, perché ne è una versione più irruenta, più fluviale e, in una certa misura, più imperfetta. Non peggiore in termini assoluti ma certamente meno centrata e focalizzata, anche per una mole di pagine forse eccessiva per una storia che, a conti fatti, ha proprio nella sua estrema (e romantica) semplicità la sua stessa raison d'être. Tuttavia, specie nelle prime cento pagine, il romanzo è strutturato in maniera esemplare, quasi supera il film di del Toro per la capacità, tutta virata alla dimensione evocativa, di ridonare un mondo, l'America degli anni Cinquanta-Sessanta vista per com'era, e non come nel semplice, e un po' riduttivo, diorama "lindo&pinto" ben presente nella memoria collettiva: un'America così famigliare eppur così mostruosa, sì un po' Happy Days ma anche un po' Julie Adams nel Mostro della Laguna Nera.
Il romanzo (e il film) affrontano il tema dell'amore, virato però nella sua connotazione più assoluta e mostruosa (perché non ha barriera di religione, sesso e, addirittura, "specie"), ovvero il sentimento che, lentamente, si sviluppa tra un'anonima donna delle pulizie, incapace di parlare dalla nascita ma grande appassionata di musica, scarpe di vernice col tacco e, naturalmente, ballo e un'inquietante creatura anfibia, metà uomo e metà pesce, venerato dagli indigeni del Rio delle Amazzoni come un dio fluviale.

Nel primo quarto del libro si assiste così da un lato al monotono trascorrere dei giorni di Elisa, impiegata notturna in un centro federale di Baltimora e la caccia spietata, ad opera di un ex soldato disposto a tutto, della misteriosa creatura: l'obbiettivo è quella di prelevarla, portarla al Centro di Ricerca Aerospaziale di Occam (guarda caso proprio lo stesso centro dove lavora Elisa) per poterla studiare e, si spera, poter sfruttare le sue incredibili doti in funzione antisovietica.

Questi infatti sono gli anni della Guerra Fredda, la stagione della "caccia alle streghe" comuniste in America e, tra non molto, inizierà la Guerra del Vietnam. Su questo sfondo, e qui sta la bravura di Kraus, la mediocrità della vita di Elisa, con soli due amici molto particolari e con un lavoro squallido, è ancora più stridente se messa a confronto con l'assoluta straordinarietà della misteriosa creatura.

Eppure il mostro marino ed Elisa hanno molto in comune: sono entrambi vivi, presenti e palpitanti su questa terra. Sono molto empatici e, senza bisogno di parole (uno perché non le conosce, l'altra perché non può dirle) in grado di comunicare con gli altri. Inoltre amano l'arte e la bellezza, in particolare quella della musica e, nonostante le sofferenze subite (o che sono costrette ad impartire per la loro intima, e selvaggia, natura) capaci, anzi capacissimi di amare.

Il primo incontro tra Elisa e la creatura è ricreato con grande arte da Kraus, è qualcosa di intimo e poetico, dolce e romantico ma non mieloso o smaccatamente delicato. La conoscenza tra due esseri destinati forse mai ad incontrarsi eppure l'uno davanti all'altra è costruita attraverso un gioco di luci, increspature dell'acqua e il linguaggio dei segni, l'unico a disposizione di entrambi.

Dopo queste prime cento pagine, seppure la qualità rimanga alta, il libro si fa un po' più confuso, con alcune scene (specialmente quelle "action") che male si sposano con la levità di quelle precedenti. Tuttavia il lettore, senza voler essere troppo snob, apprezzerà certamente l'intricato finale, anche se da questo punto di vista la bravura di Guillermo del Toro è sicuramente superiore.

La forma dell'acqua è un bel libro, con alcune parti davvero ben realizzate ed altre leggermente più confuse. Ma, al di là di questo, il romanzo, così come il film, veicola un grande messaggio. L'amore, e la conoscenza dell'altro, può avvenire tra chiunque, anche tra individui molto diversi l'uno dall'altro. Anzi la conoscenza/scoperta dell'altro è, comunque la si pensi, sempre un arricchimento anche se, per poterlo fare, occorre avvicinarsi a piccoli passi a mondi e modi di vivere così diversi dal proprio. In fondo, come ha detto lo stesso del Toro in una recente intervista: "Fin da piccolo ho sempre empatizzato con i mostri, forse perché li ho trovati più interessanti dei cosiddetti eroi normali". Già, proprio come questo libro, un libro mostruosamente d'amore.

Mattia Nesto