#LibriSottoLOmbrellone - luglio 2017

La Liguria di ©DeboraLambruschini
Cari Lettori,
domani inizierà agosto, il mese probabilmente più sospirato dell'anno per tanti lavoratori. Avete già deciso che cosa mettere in valigia? Come sapete, nei mesi estivi i nostri consigli mensili del #RileggiamoConVoi si trasformano in #LibriSottoLOmbrellone, per indicarvi romanzi più agili, adatte a una bella vacanza dalle preoccupazioni ma non dall'impegno piacevolissimo della lettura. 
Fanno capolino più volte i thriller, questo mese, ma non solo: leggete qui sotto e raccontateci cosa fa al caso vostro!

Buon agosto!
La redazione

*** 

Alla scoperta della cultura di Uruk con Mario Liverani

Uruk. La prima città
di Mario Liverani
"Economica" Laterza, 2017

1^ edizione: 1998
pp. 136
€ 10 (cartaceo)


Come raccontare il fenomeno sorprendente e sempre affascinante che è accaduto tra il 3500 e il 3000 a.C.? Sì, oltre cinquemila anni ci separano dalla nascita e dall'affermazione della "cultura di Uruk", che ha dato vita all'esplosione dell'urbanizzazione nella bassa Mesopotamia. Ad aiutare la ricostruzione degli storici e degli archeologi, non solo gli scavi, ma anche la presenza di documenti scritti, ovvero tavolette su cui in scrittura pittografica gli antichi hanno lasciato informazioni decifrate solo di recente. 
La città di Uruk, che ha raggiunto ben 100 ettari di estensione, è decisamente affascinante: grazie, probabilmente, a grandi innovazioni avvenute tra il 4000 e il 3500 a.C., come l'adozione del campo lungo irrigato attraverso solchi, lo sfruttamento della trazione animale per l'aratro, la trebbiatrice, il carro a quattro ruote. L'incremento notevole della produttività agricola ha dato avvio a una importante trasformazione dei rapporti strutturali della società: le eccedenze prelevate ai contadini vengono raccolte in centri amministrativi, edifici templari visti come "magazzini templari", via via più complessi e articolati sia nelle funzioni e nei servizi, sia nella professionalizzazione di chi ci lavora. 

#CriticaNera - Alessio Piras, "Nati in via Madre di Dio"

Nati in via Madre di Dio
di Alessio Piras
Fratelli Frilli Editori, 2017

pp. 180

€ 10,12 formato cartaceo
€ 4,99 formato elettronico





"Bel destino quello dei genovesi. Se resti, devi combattere tutta la vita con la terra che ti scivola da sotto i piedi, con lo spazio che non c'è, chiuso. Se te ne vai, è per mare perché così ci ha insegnato la Grande Madre. E allora Genova ti guarda e ti cerca tra le onde del Mediterraneo e quando ritorni la distingui, da lontano, non puoi sbagliarti. Una macchia bianca di case che casca letteralmente nelle acque marine."
Un delitto, un'indagine, la scoperta di verità nascoste, la soluzione. Questo è il percorso seguito da Alessio Piras nella stesura del suo secondo romanzo, Nati in via Madre di Dio, uscito nelle scorse settimane per i tipi di Fratelli Frilli.
Un noir ben strutturato, interessante e coinvolgente al punto giusto, non c'è dubbio. Una trama insolita, che riprende la collaborazione fra il commissario Pagani e il professor Marino, il docente universitario da poco rientrato a Genova dopo molti anni trascorsi a Barcellona, personaggi già conosciuti nel precedente Omicidio in piazza Sant'Elena.
Ancora una volta, teatro della vicenda è Genova, questo lembo di terra intrappolato fra il mare e la collina alle spalle, in qualche modo costretto alla grandezza storica per non scomparire. Una città, una Repubblica Marinara, un luogo mitico che sembra afflitto da quel paradosso che Eduardo Lourenço, riferendosi al Portogallo e alla sua storia, definisce iperidentità, quella condanna a esser grandi ma solo dall'altra parte del mondo: un popolo - i genovesi, così simili ai lusitani - gravato, proprio per questo motivo, da una saudade ormai acquisita geneticamente. Una città in parte sparita, cancellata negli anni della cementificazione selvaggia e incosciente che a ogni acquazzone presenta il conto.

#CriticaLibera - Perché non Yanez? Lettura retrospettiva e semiseria de "Le tigri di Mompracem"

Quest'estate ho deciso di rileggere uno dei classici della mia giovinezza, il volume che dava l'avvio alla saga dei Pirati della Malesia. Emilio Salgari, mio concittadino, non era un grande viaggiatore (tendeva a spostarsi solo sulla carta geografica e in punta di penna), ma sapeva creare universi in grado di competere con quelli immaginati dai più illustri autori di feuilleton, Alexandre Dumas in primis. Da adolescente lo adoravo, e trascorrevo in sua compagnia intere giornate in spiaggia, sotto l'ombrellone: alla frequentazione dei miei simili, preferivo di gran lunga quella dei "tigrotti" e (c'è bisogno di dirlo?) ero perdutamente innamorata di Sandokan. Sandokan era l'uomo ideale: bello e tenebroso, passionale, ingiustamente perseguitato dalla sorte ma fermo nella reazione, orgoglioso ma in grado di cedere all'amore per la bionda Marianna.

Un romanzo che trasuda dolore: "La notte ha la mia voce"

La notte ha la mia voce
di Alessandra Sarchi
Einaudi, 2017

pp. 176
8,99 € (ebook)
16,50 € (cartaceo)


È di libertà che si dovrebbe parlare, quando si parla di corpi. Ma come si fa, se non ce li scegliamo nemmeno alla nascita? I nostri corpi sono già passato, eredità elargita da chi ci ha generato e preceduto nella tirannia combinatoria dei geni. Passiamo l'intera vita a spiare, cercare di conoscere e curare un involucro che ci rimane in larga parte ignoto e che si deteriora secondo dopo secondo, tradendoci innumerevoli volte, mentre a noi tocca sostenerlo sino alla fine senza mai potercene liberare. 
Trasformare ciò che solitamente è oggetto di cronaca in letterario: è questo uno degli obiettivi che si è posta Alessandra Sarchi scrivendo questo coraggioso La notte ha la mia voce, tra i cinque finalisti al Premio Campiello di quest'anno. Sarebbe riduttivo etichettare il romanzo come "un libro sulla disabilità", perché vi è molto altro: è come l'io-narrante affronta la propria nuova vita dopo l'incidente a essere sotto il microscopio letterario della scrittrice. Non ci sono sconti: la donna soffre, studia il suo corpo nuovo e diventato improvvisamente tanto paralizzato quanto sconosciuto dalle anche in giù. Non ci sono pensieri buonisti, si legge tutta la rabbia con cui la giovane donna, madre e compagna, prova a recuperare sé stessa: le fantasie sulla sua operazione però tornano a rimordere e ad alimentare il profondo dolore per la sua nuova situazione. 

La fine dei vandalismi: istantanee di vita e felicità misurata

La fine dei vandalismi
Di Tom Drury
NN editore, 2017

Traduzione di Gianni Pannofino

pp. 400
€ 19 

Ha richiesto un tempo considerevole scrivere de La fine dei vandalismi, il primo romanzo della trilogia di Grouse County pubblicato in Italia da NN editore; similmente al tempo che ho impiegato per entrare nella storia, avvicinarmi ai personaggi, imparare a muovermi nella contea immaginata da Drury. Spesso la lettura – e la scrittura di un articolo, di una recensione – è per me qualcosa di immediato, una sorta di colpo di fulmine o al contrario, vivendo io molto spesso per assoluti, di odio viscerale.
È andata diversamente con questo romanzo, intorno a cui le aspettative erano piuttosto alte, alla fine forse non pienamente soddisfatte, ma dimostrazione ancora una volta dell’incanto esercitato dal Midwest sui narratori americani. Pubblicato a puntate sulle pagine del New Yorker nel 1994, il romanzo di Drury si compone di tanti racconti, frammenti di vita e poesia, che sembrano arrivare sulla pagina quasi in presa diretta, lo sguardo dell’autore pronto a farsi da parte, a non giudicare. Una modalità narrativa che conquista e respinge insieme, un frammento via l’altro, il caos e la casualità della vita impresse sulla pagina per mezzo di un tono lieve e malinconico pur non privo di ironia, a tratti. Forse è proprio questo tono quasi sommesso a non convincere del tutto, i personaggi che numerosi affollano la storia e si confondono tra loro, sullo sfondo, i protagonisti con cui non nasce un legame immediato, totale. Poi, qui e là, lampi di luce abbagliante: la descrizione di un sentimento che nasce, le parole scelte con cura per racchiudere tutta la poesia di un paesaggio bellissimo e struggente, la descrizione di un dettaglio, di un gesto all’apparenza casuale, che contengono invece tutto il senso di un legame in cui le parole non sono necessarie.

Il Fantasma di Harlot


Il fantasma di Harlot
di Norman Mailer
traduzione di Pier Francesco Paolini
Bompiani, 1992
pp.1033





Di cosa parla quest’opera voluminosa? Prima di rispondere dovreste cominciare una piccola caccia al tesoro perché il libro in questione non è più in stampa da anni, probabilmente mai più lo sarà, vi tocca cercarlo in rete dove non avrete molta difficoltà a trovarne ancora qualche copia. Questo è il vostro primo compito. Se accettate vuol dire che ormai siete nel gioco, vi ho “rigirati”, siete spie e “lavorate” per me adesso... Scherzo, ovviamente... Lo fareste solo per il vostro piacere di lettori... 

Cos’è una spia? Qualcuno che raccoglie informazioni, riconosce se quella ottenuta sia vera o falsa, impedisce che altri la utilizzino, niente di diverso da quello che tutti noi facciamo ogni giorno, ora e minuto con le nostre facoltà. Raccogliamo, selezioniamo, ne scartiamo alcune per utilizzarne altre, siamo “spie” per noi stessi... Cos’è un’informazione? La lista degli ingredienti sulla confezione dei nostri biscotti preferiti o magari il consiglio  su un buon libro fuori catalogo trovato in rete. Cose di questo tipo, anche.

#PagineCritiche - Lo sguardo impudico. Una nuova traduzione per "Sul guardare" di John Berger

Sul guardare
di John Berger
Il Saggiatore, 2017

nuova traduzione a cura di Maria Nadotti

pp. 274
€ 19,00 



A domanda, è lecito rispondere: e a uno sguardo? Un sopracciglio interrogativo pretende soddisfazione. Rispondere, si risponde “per cortesia”. Ammiccamento per ammiccamento, si baratta un’intera conversazione per un gioco di sguardi. I futuri amanti che si scorgono come per caso, tra i corridoi, si gettano un colpo d’occhio pronti timidamente a ritrarsi quando lo sguardo pare esser diventato di troppo, sanno quando hanno “guardato abbastanza” come zittendosi per non annoiarsi a vicenda. Hanno valicato il limite del comunicare: si sono detti tutto, dicendosi niente. Protagonista l’occhio: il bulbo che in una giovanile “Storia” del filosofo Georges Bataille diviene l’idolo inafferrabile di un’esistenza erotica, attraversato da una continua e attraente pulsione di morte. <<– Vedi l'occhio? – E allora? – È un uovo, disse, con semplicità>> (la traduzione è del poeta Dario Bellezza). L’occhio quale esistenza fattiva d’un arto anatomico e interlocutore fastidioso verso la ragione del mondo.

Ciò contro cui lo sguardo deve destreggiarsi è certo la verità degli avvenimenti: di essa si è testimoni, per essa martiri. A una veglia funebre, un uomo osserva un corpo senza vita, lo riscopre adesso in quella discendente parabola verso la decomposizione, avverte, o crede d’avvertire, “nel cuore”, la stessa morte da cui ora è rapito. Un capogiro gli annebbia la vista per qualche minuto. Edipo è a ragione relegato al ruolo di “guerriero del quindi”: figlio quindi cieco, accecato quindi vedente. Abbagliato dalla verità, allo stesso modo degli ammorbati dal mal bianco di Josè Saramago, oppure Saulo che rischia una brutta frattura a causa del lume del misticismo.

Se questo è un western

Quaranta frustate meno una (Forty Lashes Less One)
di Elmore Leonard
Einaudi, 2017 (1972)

traduzione di Stefano Massaron

pp. 240 
€ 17,50 (cartaceo)



Era la prassi giudaica che prevedeva 40 frustate meno una. S’imponeva prudentemente di tralasciare l’ultimo colpo per non correre il rischio che il boia, travolto dall’entusiasmo, infrangesse la legge mosaica fissata nel Deuteronomio. Essa imponeva, per l’appunto, 40 frustate. Anche Paolo di Tarso subisce, immagino suo malgrado, questa usanza. Lo racconta nella sua seconda lettera ai corinzi dove dice di avere ricevuto «cinque volte dai Giudei quaranta colpi meno uno». A dire il vero c’era un ulteriore accorgimento, sempre per non eccedere il 40 imposto da Mosè. Il flagello con cui si batteva il condannato aveva 3 funicelle, ogni frustata valeva quindi altrettanto e i colpi effettivi, in sostanza, erano 13.

"Rinascere alla verità": sulle note di Don Fuego

Dio non abita all'Avana
di Yasmina Khadra
Sellerio, 2017

Traduzione di Marina Di Leo

pp. 234
€ 16 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)

Ogni celebrità è frutto di una congiuntura. Il pubblico è volubile. Oggi acclama lei, domani acclamerà un altro, e non farà neanche lo sforzo di metterla in un cassetto. Così, da un giorno all'altro, eccola abbandonato a se stesso e senza nessuna prospettiva. (p. 40)
Don Fuego vive per la musica e lo sa bene: senza, si sente «solo un'anonima eco in balia del vento. Non ho più vene, e dunque non ho più sangue; non ho più ossa per tenermi in piedi, né un volto da nascondere» (p. 58). Ma non è solo il canto a trasformare la sua vita: sono la fama all'Avana, i turisti che chiedono selfie e un bis, gli incontri con potenti come Fidel e Gabriel Garcia Márquez, il fascino decadente del Buena Vista Café, gli abiti di scena sgargianti e costosi, le avance delle fan... Con i suoi sessant'anni, Don Fuego ha vissuto esperienze molteplici, ma sempre all'Avana, con un microfono in mano e l'orgoglio di essere un grande artista, riconosciuto da tutti. Certo, non aveva lanciato dischi suoi, ma sapeva far vibrare le canzoni altrui in modo unico. Nonostante fosse ben conscio dei cambiamenti che stava attraversando Cuba con l'indebolimento del potere di Raul Castro, mai si sarebbe aspettato  che il Buena Vista venisse privatizzato, con conseguente licenziamento di tutti (compreso lo stesso Don Fuego). 

Nuvole di fango, un viaggio nell'ineluttabilità


Nuvole di fango
di Inge Schilperoord
Fazi editore, 2017

pp. 188
€ 16,00 cartaceo
€ 11,99 ebook


Quando sarà il momento, arriveranno. Io non posso farci niente; non verranno né prima, né dopo. Certo me ne accorgerò.


L’attesa. Il tema che colpisce più di ogni altro, dentro questo viaggio crudo e spietato dentro la mente del protagonista è quello dell’attesa. Un’attesa che si protrae lungo tutto il tempo del romanzo, un’attesa che ti inchioda fin dalla prima pagina. L’attesa consapevole del destino che si compie, immancabile, senza fretta, ineluttabile. 
Jonathan aspetta, e quella sua attesa inchioda il lettore fin dalle prime pagine. Un romanzo (finemente tradotto da Stefano Musilli), che si snoda e si contrae come i pensieri; un romanzo sul rituale della mente, sulle regole e le imposizioni che corrispondono ad esercizi precisi, stabiliti dagli altri, dagli psicologici, dalla società, dall’esterno. 
Nel mito di Sisifo, in epigrafe con la frase “La domanda dell’uomo è il silenzio irragionevole del mondo”, Albert Camus analizza il senso del sentimento dell’assurdo della condizione umana, che è destinata a sopportare se stessa, soprattutto se si tratta di una vita priva di scopo, irrazionale ed estranea al suo stesso esistere. Nel mito greco Sisifo sfida gli dei e la sua punizione è quella di portare un masso sulla cima del monte e vederlo rotolare giù, infinite volte, per sempre. Per Camus, che ne ha fatto il protagonista di un suo saggio, Sisifo è felice, perché è nell’ineluttabilità del suo destino e nel suo prenderne coscienza che la sua condanna diventa consapevolezza entro cui muoversi e vivere.

Rosa sbiadito: "La ragazza italiana" di Lucinda Riley

La ragazza italiana
di Lucinda Riley
Giunti, 2017

Traduzione di Leonardo Taiuti

pp. 560
€ 14,90


Forse avrei potuto immaginarlo, o forse no. Non avendo mai letto un Lucinda Riley, ed essendo abbastanza lontana dallo scaffale "rosa" (ma non digiuna di love story), potevo forse aspettarmi qualcosa di più da un'autrice da milioni di copie. E invece... A parte il ripetersi di qualche canone abbastanza scontato (un mix tra Cenerentola e la Bella e la bestia), c'è molto altro, nel libro, che non convince.

Piedigrotta (Napoli), 1966. Rosanna vive e lavora nella pizzeria di famiglia. Terzogenita bruttina, trascurata dai genitori, ha però un dono: una straordinaria voce da cantante d'opera. A scoprirla è Roberto Rossini, tenore della Scala di Milano e latin lover, che spinge la giovane Rosanna a studiare musica. Ma è Luca, suo fratello e unico alleato, a pagarle le lezioni e ad accompagnarla a Milano. Qui Rosanna ritrova Roberto: nonostante la sua fama di rubacuori e l'iniziale diffidenza della ragazza, la passione tra i due è travolgente. Pur di stare con l'uomo della sua vita, Rosanna trascura amici e parenti, ignara dei segreti che lui le nasconde.

L'amore addosso: di tradimenti, adulti imperfetti, maternità sofferta

L’amore addosso
di Sara Rattaro
Sperling & Kupfer, 2017

Pp. 252
€ 16,90 (cartaceo
€ 9,99 (ebook)




Due donne, due stanze d’ospedale in cui si trovano ricoverati i rispettivi mariti, ore di angoscia e attesa. Due vite, due famiglie, che potrebbero non incrociarsi mai ma che invece, come un crudele scherzo del destino, entrano in rotta di collisione: perché Giulia, di quell’uomo che ha tempestivamente soccorso in spiaggia colpito da un malore, è l’amante, e il fragile equilibrio su cui fino a quel momento si sono basate le vite di tutti loro rischia ora di rompersi per sempre. 

Nel suo nuovo romanzo, Sara Rattaro indaga le zone d’ombra di un matrimonio come tanti, i silenzi, i segreti, le solitudini che ci portiamo dentro: lo fa con la consueta delicatezza che i suoi lettori conoscono bene, raccontando una storia di amore, passione, tradimento, legami famigliari e dolori nascosti, scegliendo la voce e il punto di vista assolutamente soggettivo e parziale della protagonista, Giulia. Una donna complicata, fatta di contrasti: Giulia è luce ed oscurità, è verità e segreti, è moglie ed amante. Ed è, soprattutto, un’anima ferita, che non è mai riuscita a perdonarsi per le scelte di quando era solo una ragazzina, in balia di una madre autoritaria e delle convenzioni da rispettare. Il peso di quel segreto ha scavato una voragine dentro di lei, influenzando la sua vita di adulta, il rapporto con una figura materna tanto ingombrante, i legami sentimentali, perfino la percezione di sé stessa. C’è molto in questo romanzo, in cui la riflessione su matrimonio e tradimento è solo uno degli aspetti più evidenti, ma che cela diverse possibilità di lettura a partire dal racconto di una maternità sofferta, negata, il fil rouge che sembra legare molti testi della Rattaro.

Dallo stato di natura alla società: quando si smette di essere "umani"?

La ragazza selvaggia
di Laura Pugno
Marsilio, 2017

pp. 174
€ 16,50 (cartaceo)


Quando si inizia a leggere La ragazza selvaggia, si crede di aver cominciato un romanzo distopico, ambientato in una riserva naturale singolare, dal nome quasi fatato (Stellaria), dove si prova a riprodurre la ferinità, analizzando l'interazione tra animali selvatici. Sembra impossibile la scelta di una biologa, Tessa, di ritirarsi a Stellaria in una solitudine che ha dell'eremitaggio, per analizzare quanto sta avvenendo, come sembra assurdo che nella foresta sia sopravvissuta una bambina, divenuta donna e regredita allo stato primordiale di "ragazza selvaggia". Invece, quando si supera il primo stupore, si osserva che Stellaria è certamente inventata, ma potrebbe esistere, in un mondo come il nostro che vuole addomesticare la natura, studiarla e modificarla a proprio piacimento. 

Il Salotto: Intervista a Concetto Vecchio


«Bisognava partire dal corpo immobile sull’asfalto e allargarsi a raggiera fino a raggiungere il cuore degli anni settanta, penetrare con tutta la passione possibile nel suo mistero insondabile. Non ero sicuro di riuscirvi». 
Questa frase tratta dal prologo di Giorgiana Masi, Indagine su un mistero italiano, racconta bene le linee guida che Concetto Vecchio ha seguito per scrivere di un caso che ancora oggi non è stato risolto. Nelle prime pagine del libro l’autore rievoca il momento in cui la ragazza fu ferita a morte, il 12 maggio del 1977, trascinando così il lettore dentro la vicenda; la prosa è chiara, il ritmo sostenuto e i fatti si susseguono uno dietro l’altro, raccontati con particolari vividi. 
Il giornalista di Repubblica prende le mosse da un’intuizione avuta durante la lettura del discorso di Marco Pannella a Montecitorio, il quale presagiva che ci sarebbe stata una tragedia, se non si fosse ristabilita la «normalità della circolazione», e avvertiva: «coloro che venissero eventualmente a commemorare quelli che cadono non sarebbero altro che i responsabili e i mandanti degli assassini»; parole pronunciate poche ore prima della morte di Giorgiana. Così Vecchio ricostruisce i fatti, quelli avvenuti nelle ore subito prima della morte della diciottenne romana e quelli necessari a ricomporre il quadro storico di quei sanguinosi anni settanta, fatti di vittorie politiche fondamentali, ma anche di terribili episodi di violenza e di terrorismo; fornisce così al lettore tutti gli strumenti per capirne le dinamiche e arrovellarsi con cognizione di causa su un delitto irrisolto. Vecchio procede dedicando capitoli interi ai protagonisti della vicenda e lo fa aggiungendo all’inchiesta nuovi spunti a 40 anni dalla morte di Giorgiana: le sue interviste a Pannella e Santone e i suoi scambi con l’avvocato della famiglia Masi, Luca Boneschi. Ed è qui che alla ricostruzione giornalistica della vicenda si intreccia la visione personale dell’autore: Concetto Vecchio racconta la sua inchiesta in prima persona, senza cedere ai patetismi, ma riuscendo a coniugare lo sguardo rigoroso del giornalista e quello umano di chi rivive gli avvenimenti in età adulta dopo averli sentiti nell’aria da bambino. Il cuore del libro, a mio parere, consiste nelle interviste e nei dei ritratti sfaccettati che il giornalista consegna al lettore: anzitutto quello di un memorabile leader politico come Pannella e anche quello di una personalità – piena di contraddizioni – come Cossiga; l’altro ritratto fondamentale, quasi un’ultima testimonianza, è quello dell’avvocato Boneschi, che lavorò al caso con abnegazione per più di vent’anni. E infine un altro contributo inedito al caso Masi è l’intervista a Santone, immortalato nella foto di Tano D’Amico che è diventata uno dei simboli di quel 12 maggio 1977, a testimoniare che non c’erano solo forze di polizia in divisa ma anche in borghese e armati. 
Concetto Vecchio non scrive di verità preconfezionate o influenzate da convinzioni ideologiche, ma racconta i fatti collocandoli nel loro contesto storico, sociale e politico.

#ScrittoriInAscolto - Fredrik Sjöberg e le sue storie

Foto di ©Elena Sizana

Abbiamo incontrato Fredrik Sjöberg in occasione dell'uscita del suo ultimo libro, nella redazione della casa editrice Iperborea, a Milano. Svedese, sulla carta d'identità biologo, una grande passione per il collezionismo, diventa conosciuto in Europa e non solo quando pubblica L'arte di collezionare mosche, nel 2015, per il Times "Nature book of the year". Dopo il primo, ha completato la trilogia sul collezionismo con Il re dell'uvetta (2016) e L'arte della fuga (2017).

Sjöberg è eccentrico e stravagante e così sono le sue opere, difficilmente ascrivibili ad un determinato genere, un po' autobiografia, un po' romanzo, un po' saggio. Una cosa però le accomuna: l'interesse la passione per gli outsider, dei quali ripercorre la vita e le esperienze e ne scrive, ma solo dopo essersi documentato a lungo, e così ha fatto per il suo ultimo libro L'arte della fuga, mettendosi sulle tracce del pittore Gunnar Widforss.

#CritiCOMICS - Dopo la fine di un amore: «Un anno senza te»

Un anno senza te
di Luca Vanzella e Giopota
Milano, Bao Publishing, 2017

pp. 224
euro 20,00 (cartaceo)




Cosa succede quando un ragazzo viene lasciato da quello che credeva essere il suo grande amore? Antonio Vanzella e Giopota ci portano per mano dentro un anno di vita di Antonio, studente di storia medievale, innamoratosi di Tancredi, dj. I due dopo una storia durata qualche mese si lasciano e per Antonio, timido, riservato, incline più allo studio che allo sballo da discoteca, è un duro colpo. Durante l'evolversi della graphic novel, divisa in dieci sezioni, ognuna corrispondente ad un mese del calendario, da settembre ad agosto, il protagonista deve fare i conti con i sentimenti che chiunque si sia lasciato alle spalle una relazione deve affrontare: la sofferenza, la nostalgia, il desiderio di tornare indietro, la voglia di rivedere la persona amata, l'iniziale rifiuto di ogni contatto sociale e i primi, goffi, tentativi di iniziare una nuova storia.
La forza della vicenda di Vanzella e Giopota sta proprio nell'aderenza alla realtà, nel tentativo di raccontare fedelmente quella parte della storia che nessuno racconta mai, non avendo paura di indugiare sulle situazioni che prendono la scena quando il sipario è ormai calato: gli esperimenti degli amici fedeli per trovargli un nuovo amore, i nuovi incontri, gli appuntamenti senza seguito e la scoperta che un'iniziale simpatia non si trasforma per forza in un'affinità amorosa.

Sulle tracce di Widforss, il pittore del Grand Canyon


L'arte della fuga
di Fredrik Sjöberg
traduzione di Fulvio Ferrari
Iperborea, 2017
(prima edizione svedese 2006)

190 pp.
16,00 €


Ogni vita umana è un labirinto. Se si trova l’ingresso, ci si può aggirare dentro all’infinito.
Scandagliare la vita di un artista che in patria ha lasciato poche tracce di sé, fino a dargli nuova linfa: è proprio quello che fa Fredrik Sjöberg, biologo svedese, studioso di scienze naturali, giornalista, scrittore, collezionista e appassionato d’arte. A un certo punto della sua vita, Sjöberg, colpito dalla visione di un pino dipinto ad acquerello, decide di approfondire l’opera e l’esistenza del pittore che con tale maestria e delicatezza ha riprodotto su tela quel pino.  Un pittore che sembra svanito nelle brume del passato. Il risultato di questa indagine biografica è L’arte della fuga, un gustoso saggio-romanzo edito da Iperborea.
Un centinaio di quadri vennero semplicemente svenduti. Dove saranno adesso? Suppongo in oscuri ripostigli e vecchie soffitte, o appesi su tappezzerie a fiori in lontane casette delle vacanze. In fondo sono solo acquerelli, un po’ irreali, di un pittore che nessuno ricorda.

Dimenticare, superare e onorare il passato: tre missioni diverse unite dal medesimo ideale

Le donne del castello
di Jessica Shattuck
HarperCollins Italia, 2017 

Traduzione di Elisabetta Lavarello

pp. 476
18,00€



Sulla Seconda Guerra Mondiale si è scritto tanto (e forse troppo), scegliendo prospettive sempre diverse e talvolta anche originali (come si scriveva anche qui). Mancava tra le mie letture il racconto del conflitto con gli occhi delle donne tedesche, le uniche ad avere una prospettiva ravvicinata della recrudescenza a cui è stata soggetta la società civilizzata del Novecento. Jessica Shattuck sceglie proprio Le donne del castello bavarese di Burg Lingenfels in rovina per portare alla luce le ferite del nazismo di chi la Storia ha indicato come il male assoluto, ma che ha avuto un dolore spesso dimenticato e sottovalutato.
Nel corso di una festa organizzata proprio nel castello di Burg Lingenfels nel 1938 Albrecht von Lingenfels e il migliore amico di sua moglie, Connie, decidono che è il momento di prendere una posizione contro Hitler. Nello stesso momento Marianne von Lingenfels giura, a loro insaputa, di prendersi cura delle mogli e dei figli di ogni membro del gruppo di cospiratori, decidendo di fare dell’assistenza alle donne e ai bambini la sua personale battaglia contro il Führer. Finita la guerra, tra le ceneri della sconfitta della Germania nazista, Marianne torna con i figli dopo alcuni anni nell’imponente castello degli antenati di suo marito. Lo fa da vedova di un membro della Resistenza, assassinato il 20 luglio 1944 in seguito al complotto fallito per uccidere Adolf Hitler; sola, stanca, avvilita dalla tristezza, non cede alla tentazione di lasciarsi andare e mantiene fede alla promessa fatta con caparbietà e tenacia. Così, a uno a uno, Marianne riporta al castello i preziosi resti del gruppo di difensori della libertà, salvando prima Benita e Martin, moglie e figlio di Connie, poi Ania, la moglie di un membro della Resistenza polacca, e i suoi due ragazzi, rifugiati in uno dei tanti campi che ospitano i milioni di sfollati a causa della guerra, infine tanti altri bambini e vedove rimasti soli in un mondo di crudeltà. Appena Marianne riunisce queste due donne e le loro famiglie, scampate dalla guerra e provate dai tanti disagi, è convinta che il dolore e il passato condiviso siano il collante che le terrà unite per sempre, novelle guerriere di una nuova vita irta di sfide.

Quattro adolescenti a nuotare da soli, senza il salvagente della famiglia

La regola dei pesci
di Giorgio Scianna
Einaudi, 2017

pp. 200
€ 17 (cartaceo)
€ 8,99 (ebook)


Adesso deve solo seguirci, seguire la nostra traiettoria come fanno i pesci dentro i banchi quando sono in difficoltà. Si chiama schooling, l'abbiamo studiato a scienze, è quella cosa per cui i pesci riescono a muoversi tutti insieme senza scontrarsi e senza perdere nessuno. Basta fidarsi del movimento degli altri. È questa, la regola dei pesci.
A settembre, quattro banchi di 5C del liceo di una piccola cittadina sono rimasti vuoti. La cosa non salta agli occhi di tutti solo perché sono i banchi degli unici maschi della classe (il quinto se n'è andato per un anno all'estero), ma anche perché quei quattro assenti sono sempre stati inseparabili. L'anno precedente, avevano deciso di partire per una vacanza in Grecia, dalla quale però non sono mai rientrati. Cosa è successo davvero? Perché un'aura di mistero aleggiava attorno ai loro discorsi? E perché, per andare in Grecia, tutti e quattro avevano infilato in valigia una giacca pesante?
La sparizione è ormai conclamata, gli Esteri e le ambasciate italiane all'estero si stanno muovendo alla ricerca dei quattro ragazzi, mentre i genitori assistono, impotenti e disperati, alle indagini. A loro non resta che riunirsi, provare a farsi forza, mentre settimana dopo settimana le paure aumentano e le speranze, al contrario, calano drasticamente. Almeno finché un giorno non si presenta a una di questa riunioni Lorenzo, uno dei quattro amici scomparsi. In stato di shock, il ragazzo appare catatonico e non risponde alle domande degli adulti: non vuole o non può parlare? 

È quasi tempo di "Quasi Grazia"...



Nuoro, 13 luglio 2017, ore 19.30
Cortile del Museo del costume

È quasi tempo di Quasi Grazia, a Nuoro. Il 27 settembre, data del debutto della pièce teatrale scritta da Marcello Fois in omaggio alla Deledda pubblicata da Einaudi alla fine del 2016, si avvicina sempre più, e soprattutto nel capoluogo barbaricino cresce la curiosità per l’allestimento di Veronica Cruciani che vedrà la scrittrice Michela Murgia nel ruolo dell’autrice insignita del Premio Nobel per la Letteratura nel 1926. In attesa che il sipario del Teatro Eliseo si apra finalmente sui tre atti del testo foisiano, lo scorso 13 luglio lo scrittore e la studiosa Angela Guiso hanno conversato di fronte a un pubblico attento e numeroso nel cortile del Museo del costume di Nuoro, nel corso di una serata che ha intervallato i loro dialoghi alle belle letture sceniche di due attori del cast ufficiale dello spettacolo (Lia Careddu e Valentino Mannias, con la partecipazione finale della stessa autrice di Cabras, i cui appunti paralleli sulla lavorazione e sulle prove in corso trovano attualmente espressione anche nel bel blog quasigrazia.wordpress.com). Ultimo di una serie di appuntamenti dal titolo Parole di Grazia. Parole su Grazia, dedicati dall’ISRE (Istituto Superiore Regionale Etnografico) alle più recenti pubblicazioni riguardanti l’autrice nuorese, l’affollato incontro ha offerto spunti di riflessione ulteriori rispetto alla mera presentazione del volumetto – tra i quali il senso del limite e del ridimensionamento nella vita come nella letteratura, il valore intrinseco di quest’ultima e l’importanza dell’invidia positiva nel lavoro dello scrittore. Ma è stato, anche e ovviamente, occasione privilegiata per comprendere al meglio alcune soluzioni drammaturgiche adottate da Fois, chiamato a rispondere delle scelte precise operate in un testo pur breve (poco più di un centinaio di pagine) ma talmente sentito da richiedere una gestazione di oltre venticinque anni.

Giorni di mafia - Per non arrendersi al "puzzo del compromesso morale"

Giorni di mafia - Dal 1950 a oggi. quando, chi, come.
di Piero Melati
Editori Laterza

pp. 114

€ 11,90 (cartaceo)
€ 8,99 (e-book)

Sulla criminalità organizzata, e sulla mafia in particolare, si sono versati fiumi di inchiostro: giornalisti, giudici, sociologi, protagonisti delle vicende giudiziarie... Davvero tutti hanno parlato o scritto di quell'aberrante fenomeno sorto nel nostro Paese e tristemente emigrato dovunque.

Dunque, cos'altro potrà mai aggiungere il libro del quale ci occupiamo oggi? Proviamo a trovare insieme la risposta.

Per prima cosa occorre capire in quale genere possa essere incasellato Giorni di mafia (edito da Laterza), che ha per autore Piero Melati, per molti anni vice redattore capo de "Il Venerdì di Repubblica" e giornalista de "L'Ora" di Palermo, che aveva già scritto assieme a Francesco Vitale Vivi da morire (Bompiani, 2015).
L'unica risposta possibile è che si tratta di un pamphlet veloce e ben strutturato (emerge con chiarezza lo stile lineare e chiaro tipico del cronista) nel quale possiamo rintracciare gli eventi collegati alla Mafia sviluppatisi 100 date significative: dal 1950 ad oggi vediamo scorrere davanti ai nostri occhi le stragi, i processi, i crimini più truci, ma anche i film, la letteratura, gli avvenimenti politici e sociali che hanno segnato la Storia del nostro Paese, della "nostra terra bellissima e disgraziata" (come ebbe a dire Paolo Borsellino).

Il riuscito edificio linguistico che ospita un Sud senza Dio

Nella perfida terra di Dio
di Omar Di Monopoli
Adelphi, 2015

pp. 205
€ 18


Torniamo a parlare di scrittura, finalmente. Non di storie. O di un libro. Di scrittura. E nel panorama nazionale non è semplice né scontato. Mi era capitata la stessa sensazione con i cinghiali di Giordano Meacci. Saranno fissazioni le mie ma oramai prediligo lo sforzo dell’autore in vista di un linguaggio che sia di sana e robusta costituzione, aspetto rilevante dell’opera e voce dell’autore stesso.
Nel folgorante romanzo di Omar Di Monopoli, una scoperta dagli esiti straordinari, le costruzioni sintattiche vernacolari, di matrice messapico-campana, si fondono con un italiano elevato per giungere a un dialetto unico che non è il salentino puro anche se siamo nel cuore del triangolo Lecce-Brindisi-Taranto. Gli somiglia. Ciò che importa, tuttavia, è che diventi un suono costante e inconfondibile, fin dalla prima riga.
Questo lessico, da insolito, in un battibaleno diventa familiare, ha il pregio di non stancare, anzi permette di addentrarci nell’ipnotico sviluppo della trama fino a convincerci che è la sola lingua possibile per creare la giusta atmosfera. Stavolta non posso esimermi dal riportare un esempio concreto. Proprio l’incipit:
«L’impronta rancida della malattia non voleva saperne di abbandonare la stanza in cui il vecchio mbà Nuzzo aveva tirato le cuoia tre giorni prima, allignando ostinata anche nel soggiorno ronzante di mosche incattivite dal caldo, quando il pick-up color caffellatte, un Volkswagen sbiadito e smarmittato che sembrava pronto per il ferravecchio, spuntò oltre il limite del cancello e si fece strada lentamente sul vialetto soffiando neri sbuffi di gas di scarico e smuovendo piastre di fango raggrumato».

#PagineCritiche - Le case di Jane Austen

Le case di Jane Austen
di Mara Barbuni
Flower edizioni, 2017

pp. 180
€ 15.00 (cartaceo)
€ 7.99 (ebook)



Nel bicentenario della scomparsa di Jane Austen, non potevamo esimerci dal celebrare l’opera di una scrittrice che, a distanza di due secoli, non smette di appassionare i lettori, ispirare trasposizioni televisive e cinematografiche, riletture, progetti e studi, tra rigore accademico e cultura pop.
Tra le pubblicazioni recenti dedicate alla figura e all’opera letteraria della scrittrice inglese, di particolare interesse risulta il breve saggio Le case di Jane Austen, di Mara Barbuni, traduttrice, docente e studiosa della letteratura inglese di Ottocento e primo Novecento. Dopo il puntuale lavoro di traduzione su alcuni dei testi più importanti di Elizabeth Gaskell (Nord e Sud, Mogli e figlie, Gli innamorati di Sylvia, tutti editi da Jo March) e i saggi dedicati alla vicenda biografica e letteraria della scrittrice di Manchester (Sui passi di Elizabeth Gaskell, sempre per Jo March, ed Elizabeth Gaskell e la casa vittoriana, per Flower edizioni), solo per citare alcune fra le pubblicazioni recenti di Barbuni, è da poco tornata in libreria con questo saggio incentrato sul ruolo della casa nell’opera letteraria di Jane Austen.

Chi si ricorda di Sertorio? A scoprire un eroe quasi dimenticato della storia romana.

Le pergamene di Sertorio. Il romano che sfidò Roma
di Nelson Martinico
Edizioni Spartaco, 2017

pp. 384
€ 14 (cartaceo)

[La Hispania è] «una terra dura, meravigliosa, carica di suggestioni. Popolata da gente rude, irascibile e fedele, abilissima a cavallo. Ti auguro non solo di visitarla, ma di governarla».
Mario non sapeva di avere appena pronunciato una profezia.
(p. 58)
Quando sentiamo parlare di Sertorio, i pensieri si fanno sfocati, perché spesso i programmi scolastici citano solamente questo grande comandante mariano, in grado di combattere contro le forze armate di Pompeo e fondare in Spagna un vero e proprio stato alternativo a Roma. Ma cosa è veramente accaduto prima della sua morte, nel 72 a.C.? 
Le pergamene di Sertorio, romanzo di Nelson Martinico uscito da pochi mesi per le Edizioni Spartaco, ha il merito di ricostruire la vita di Quinto Sertorio fin dalla sua infanzia, fermandosi prima della sua morte (il cui racconto, nelle ultimissime pagine, viene affidato ad alcuni passi di Plutarco). L'immagine che ne emerge, senza dubbio romanzata, è quella di un ragazzo e poi uomo vigoroso, coltissimo, esperto di anagrammi fino allo sfinimento (d'altra parte, i romani erano soliti interpretare così i segni del fato), amante della poesia e delle usanze degli altri popoli. Talvolta spietato, in altri momenti sapientemente votato al perdono, Sertorio si distingue fin da subito per le sue doti belliche contro i Teutoni: memorabile è la battaglia di Aquae Sextiae, al fianco di Mario, che avrà modo di apprezzare la fedeltà di Sertorio anche in seguito, nella guerra civile contro Silla. Sapiente oratore, con la parola pronta anche in processi decisamente delicati, Sertorio ha una fama che si propaga ben oltre i confini di Roma: infatti anche i popoli nemici gli riconosceranno sempre la grandezza di fine parlatore e guerriero indomito, nonostante la menomazione in battaglia che lo porta a restare orbo già in giovane età. 

Una questione di centimetri: Miraggio 1938 di Kjell Westö


Miraggio 1938
di Kjell Westö 
Traduzione di Laura Cangemi
Iperborea, 2017 

Pp. 419
€ 18.50


Chi è che si ricorda del 10 maggio 1981? Forse pochi, forse molti. Beh, sta di fatto che in quel giorno fu giocato lo scontro al vertice di Serie A tra Juventus e Roma: quella partita passò alla storia come quella del "gol ingiustamente annullato" al romanista Maurizio Turone con la conseguente dichiarazione del Presidente giallorosso Dino Viola che disse la famosa frase "questione di centimetri". 
E sempre con una questione di centimetri si apre anche questo, bellissimo, Miraggio 1938 di Kjell Westö uscito per i tipi di Iperborea. Già, perché ancora prima che il romanzo inizi, l'autore pone una foto, uno scatto di spot nel quale si vedono quattro centometristi che arrivano quasi all'unisono: quasi perché uno di loro, in maniera evidente, si stacca da tutti gli altri e taglia il traguardo per primo. Quell'atleta è Abraham Tokazier ed è il vincitore o meglio sarebbe il vincitore se non entrassero in gioco le questioni sopracitate. Già perché Tokazier ha la "primigenia colpa" di essere di ebreo e quindi, nel 1938, con la Finlandia stretta tra la Germania hitleriana e l'Unione Sovietica staliniana, meglio non far arrabbiare troppo i vicini tedeschi: alla fine  nella classifica finale Tokazier arriverà quarto, per una questione di centimetri, per un motivo di ragion di Stato. Ecco Miraggio 1938: un romanzo denso che parla di cose piccole per descrivere la storia Grande.

#CriticaNera - Il genere noir. Una caricatura. Con un crudelissimo commissario donna

Commedia nera n. 1
di Francesco Recami
Sellerio, 2017

pp. 210
€ 14


Francesco Recami, fiorentino, si è occupato della stesura di libri scolastici e ha scritto romanzi per ragazzi. Poi, a un certo punto, ha proposto a Sellerio, siamo nel 1986, un manoscritto per il quale ha dovuto aspettare 20 anni prima di ricevere una risposta. Da Elvira in persona. Siamo nel 2006, Recami ha mezzo secolo di vita e quel manoscritto originario prende il titolo di “L’errore di Platini”.
Non appena l’ho intravisto in uno scaffale, a causa della malattia calcistica che mi accompagna fin dalla nascita, mi sono immaginato un libro sul grande campione juventino. Ma, a parte l’incipit, ho scoperto che Le Roi c’entrava poco o nulla. “L’errore di Platini” tratta del rapporto tra una madre e il figlio cerebroleso ed è sostanzialmente la storia di un infanticidio dopo una vincita al Totocalcio. In ogni caso, abbiamo tra le mani uno scrittore esordiente a 50 anni.
Chissà se è meglio debuttare in età matura piuttosto che in età scolare. Perché succede di questo, oggi. Anche se in Italia nella categoria giovani scrittori sono compresi i quarantenni, il fenomeno di lanciare i giovanissimi esiste. Tuttavia, cos’ha da raccontare un diciottenne? Cos’ha da raccontare uno che deve formarsi sotto il profilo esistenziale prima che letterario? Non a caso, nei libri si parla parecchio di sé, delle proprie inadeguatezze, il che non è un male di suo, se non fosse che è un qualcosa di così inflazionato che ne ho piene le scatole.

Un'invincibile estate: l'esistenzialismo insulare di Filippo Nicosia


Un'invincibile estate
di Filippo Nicosia
Giunti, 2017

224 pp.
€ 15,00



Sentivamo di non essere stanchi come avremmo dovuto, perché quella stanchezza che cercavamo di sentire era come l'esondazione di un fiume che lascia la tacca sopra gli intonaci dei palazzi di una città e non serve che torni domani né mai, ché la tacca rimane per gli anni a venire.
Solitamente il romanzo di formazione si dipana lungo gli anni: partendo dall'adolescenza o dall'infanzia, l'occhio del narratore segue le evoluzioni del protagonista che cresce, cade, si rialza, si fortifica e infine si fa adulto. Il ragazzo o la ragazza incontrati a pagina uno a fine libro sono l'uomo o la donna pronti a inserirsi nella società civile, ad affrontare le vere sfide della vita lontano dal nido familiare.
Un'invincibile estate, romanzo d'esordio del messinese Filippo Nicosia, pur appartenendo senza alcun dubbio a questo genere ne forza uno degli aspetti principali – quello temporale – e fa evolvere i personaggi in una sola estate. L'estate, stagione della leggerezza, delle vacanze e del mare, è invece per tutti il momento dei cambiamenti e dell'incontro/scontro con i sentimenti e le esperienze più importanti di cui un essere umano possa far conoscenza: la morte, l'odio, l'amore, la vita.

Spie, amori e morti tra Olanda, Stati Uniti e Indocina: Il buio nell'acqua di Louise Doughty

Il buio nell'acqua
di Louise Doughty
Traduzione di Manuela Faimali
Bollati Boringhieri, 2017

Pp. 355
18 



Ad un certo punto si ha come la netta sensazione che Louise Doughty, scrittrice già assurta agli onori della cronaca e della celebrità mondiale con il fortunatissimo Fino in fondo del 2014, sia stata toccata dalla grazia. Dalla grazia di essere riuscita a scrivere un romanzo come questo Il buio nell'acqua, edito, ancora una volta, da Bollati Boringhieri, che, per una buona metà, appare come una perfetta costruzione letteraria. Teso, appassionante e misterioso il giusto: la prima parte de Il buio nell'acqua è una specie di trattato pratico su come si debba scrivere un romanzo latamente inteso "di spionaggio". Poi, nel prosieguo del libro, qualcosa si rompe, si rompe anche in maniera sensibile e importante, ma la bella sensazione, "il buon sapore" che si ha nel leggere le prime pagine rimane, come rimane l'idea di poter affermare che questo sia un ottimo volume, che poteva essere forse perfetto per il cinema. 

I quaderni di Archestrato Calcentero e l'archeogastronomia in salsa sicula

I quaderni di Archestrato Calcentero
di Marco Blanco
Bonfirraro Editore, 2016

pp.271
23 €



La monografia storica di Marco Blanco è lungo viaggio attraverso la storia della cucina siciliana aristocratica e conventuale. Pagine dense di deliziose ricette, di divagazioni archeogastronomiche, di accurate ricostruzioni di antiche ricette e di piatti tradizionali di cui ognuno ricorda una variante e un aneddoto, spesso inventato. Con la serietà del ricercatore e la bravura dello scrittore, Blanco riesce a coinvolgerci e a condurci dentro i luoghi della storia, attraverso le provviste, i piatti, le preparazioni dei piatti più rinomati e amati della cucina siciliana.

 Un vero e proprio viaggio che rapisce i sensi, crea l’incanto e la suggestione per i luoghi, per i riti e per le origini, condotto attraverso la consultazione di decine di ricettari antichi, dentro polverosi archivi, sfogliando repertori specialistici che avrebbero fatto desistere il più appassionato degli studiosi. Per Blanco diventano invece materia di ricerca preziosa per dipanare la matassa di questa storia, guidati dall’amore per la cucina. 

#PagineCritiche - "L'evoluzione dell'insegnante di sostegno"

L’evoluzione dell’insegnante di sostegno. Verso una didattica inclusiva
di Dario Ianes
Trento, Erickson, 2015

pp. 160



Questo volume, a cura di Dario Ianes, è ricco di riflessioni utili a qualunque persona si trovi a condividere un percorso scolastico, sia che si trovi nella condizione di docente, sia che a riflettere sul proprio ruolo familiare e di supporto al figlio sia il genitore, sia chi, dopo aver percorso un iter scolastico, a tratti difficile, cerca di trarre alcune conclusioni sulla propria esperienza scolastico-formativa di alunno.
La scuola deve puntare a sviluppare attivamente la propria capacità di comunicare, di coinvolgersi e di collaborare, di negoziare pacificamente e costruttivamente obiettivi e modalità di lavoro, di saper ricevere e dare aiuto e suggerimenti nella piena valorizzazione dell’altro partner e nel rispetto dei ruoli diversi e delle differenti responsabilità. (p. 13)
L’autore presenta un’analisi critica dell’integrazione e inclusione scolastica partendo dai modelli istituzionali che sono stati seguiti in modo anche preciso e organico dagli insegnanti. Non si discute sul problema integrazione, sul valore della persona indipendentemente dalla sua condizione personale e sociale, o come affermazione e realizzazione di diritti e di valori. Si parla di una scuola inclusiva, in cui le modalità di pianificazione, di progettualità didattica ed educativa, all’inizio di un percorso scolastico formativo che riguarda ciascun alunno, rappresentano un’ottima base di partenza. I genitori compiono delle scelte che ritengono essere le migliori per i propri figli.

#CriticaNera - "Il respiro delle anime": un perfetto noir estivo

Il respiro delle anime
di Gigi Paoli
Giunti editore

pp. 416

€ 15 (cartaceo)
€ 9,99 (e-book)





È risaputo che durante i torridi mesi estivi i libri più letti sotto l'ombrellone sono gialli, thriller, noir, in breve tutte quelle storie che tengono il lettore incollato alle pagine fino al colpo di scena finale.
Non costituendo eccezione alla regola, mi sono cimentata con avidità nell'universo creato dal giornalista fiorentino Gigi Paoli, che prosegue col racconto delle avventure di Carlo Alberto Marchi (già incontrato ne Il rumore della pioggia, edito da Giunti nel 2016), padre single di un'adolescente e infaticabile cronista giudiziario.