#PagineCritiche - Un ragazzo col «vento nelle vene»: ricordando Pier Paolo Pasolini.

Pasolini oggi. Fortuna internazionale e ricezione critica.
A cura di Angela Felice, Arturo Larcati e Antonio Tricomi
Venezia, Marsilio, 2016

pp. 334
€ 30


Pier Paolo Pasolini è più vivo che mai.
La sua lezione soffia tra le pagine dei suoi scritti, sempre attuali, il suo volto – le guance scavate, gli occhi profondi, uno sguardo che inchioda e ferisce – resta vivo non solo nel ricordo di chi nel 1975, aprendo il giornale, accendendo la televisione, ha potuto sentire la notizia della sua morte, ma anche di coloro che successivamente ne hanno apprezzato la vivacità intellettuale e l'impressionante lucidità delle sue analisi.
Nel 2015, quarantennale della morte di Pasolini, in tutta Italia si sono rinnovati i saluti ad una delle più importanti figure del panorama culturale novecentesco, mediante una serie di rassegne mirate a celebrarne la memoria e ricordare lo spirito «corsaro» di quest'uomo che, grazie alle sue opere –  letterarie, teatrali, cinematografiche – ha segnato una svolta nella cultura italiana. Proprio per celebrare degnamente l'anniversario pasoliniano, tra il 2015 e il 2016 si sono svolti due convegni, utili a focalizzare meglio l'operato di Pasolini e che fanno il punto sullo stato dell'arte riguardo gli studi a lui dedicati: «Pasolini. Le ragioni di una fortuna critica», tenutosi a Casarsa Della Delizia il 30-31 ottobre 2015, e «Pasolini straniero» del 21 aprile 2016 a Verona.

#RileggiamoConVoi - gennaio 2017

Foto di ©DeboraLambruschini
Cari lettori,
il primo mese del nuovo anno sta finendo! E come sempre, ecco il nostro appuntamento con le letture che ci hanno coinvolti, sconvolti o che, semplicemente, desideriamo riconsigliarvi. Se volete saperne di più, cliccate sul link e scoprirete le nostre recensioni.

Buona lettura! 
La redazione

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«Prova a sostituire la nostalgia della partenza con l'impazienza dell'arrivo»: ripartire per non fermarsi all'apparenza.

I colori dopo il bianco
di Nicola Lecca
Mondadori, 2017

pp. 189
€ 18 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)

In questa città, Silke era rimasta liberamente prigioniera per ventiquattro anni. Fino al giorno in cui suo padre le aveva imposto di lasciarla: esiliandola. (p. 65)

Cos'ha mai fatto di tanto grave Silke per dover lasciare la sua città, Innsbruck, la famiglia, il lavoro in banca e la sua vita? Quando iniziamo I colori dopo il bianco non lo sappiamo, seguiamo solo una spaesatissima ventiquattrenne per le strade affollate, vivaci e continuamente imprevedibili di Marsiglia e sappiamo che è lì per un motivo. Piano piano, ci viene il dubbio che la fuga sia, in realtà, una grande occasione per scoprire davvero sé stessa, mettere in dubbio i tanti pregiudizi familiari che antepongono forma e apparenza anche ai sentimenti più atavici. 
Dentro le lenzuola con le farfalle, guardando il mare e l'orizzonte, rispondendo a chi bussa alla sua porta, rompendo tutte le abitudini, Silke si meraviglia: non sempre è un bene avere il controllo della situazione. Lasciarsi sconvolgere da sentimenti forti, che non si era mai concessa prima, richiede coraggio; persino lasciar entrare a casa sua e nella sua vita la vicina di appartamento, che un tempo si prostituiva, va contro l'educazione rigida e austera di Silke. Eppure la semplicità e la sincerità con cui Murielle le ha raccontato il suo passato è qualcosa di nuovo, squarcia le difese della giovane tirolese e la porta ad aprirsi a nuove possibilità: dunque, è possibile accettare i propri difetti, il proprio vissuto e, un giorno, perdonarsi?

#paginedigrazia - Le colpe altrui, ovvero di come l'amore è la prigione dell'animo umano



Le colpe altrui
di Grazia Deledda
Ilisso, Nuoro, 2008

Prefazione di Giuseppe Rando

pp. 258
cartaceo: 11 euro
ebook: 4,99 euro

«Quali colpe scontiamo? Le nostre o quelle altrui? E quali sono le nostre e quelle altrui? È tutta una catena, Mikali Zanche, e dobbiamo tirarla tutti insieme, ecco cosa ti dico». (p. 250)

Le colpe altrui, romanzo deleddiano del 1914 (pubblicato a un anno di distanza dal capolavoro Canne al vento), è correttamente definito da Giuseppe Rando, nella prefazione, un «bosco narrativo».
E invero pare di addentrarsi in una fitta foresta di intrighi, rimpianti, remore, vuota autocommiserazione, desiderio apparente di espiazione, peccato e, sopra a tutto, morte, leggendo questo romanzo «minore ma non marginale» del premio Nobel sardo.
Leggerlo, come è successo nel mio caso, a pochi mesi di distanza da Elias Portolu è una rivelazione. Perché questa azione narrativa si può collocare appunto di seguito a quella, sviluppando un continuum riflessivo che è generatore di affascinanti suggestioni.
Ma Le colpe altrui, con questo suo titolo che attinge a piene mani alla morale, alla visione cattolica (o meglio bigotta) del mondo, in maniera così sottilmente ironica, è capace di aprire mille strade interpretative, tutte egualmente valide e obbligate per comprendere appieno il dramma delle vite di Mikali, Vittoria, Marianna, Andrea, Bakis.

La forza e la resa: "Ora che è novembre" di Josephine Johnson

Ora che è novembre
di Josephine Johnson
Bompiani, 2016

pp. 183 
€ 17,00

Titolo originale: Now in November
Traduzione di Beatrice Masini


Gli Haldmarne tornano, dopo anni trascorsi in città, alle proprietà di famiglia in campagna: si tratta di un ritorno alle origini nel senso più viscerale del termine; è un ritorno alla vita rurale, alle sue abitudini, ai suoi ritmi lenti dettati da una natura che sa essere madre e matrigna al tempo stesso. Nella nudità di un paesaggio che pare a tratti epico, a tratti drammatico, sempre comunque intenso e bellissimo, i sentimenti si radicalizzano, le tensioni si estenuano, l'ansia e la paura covano sotto la superficie come una brace pronta a divampare in incendio. Per il Padre, il tormento sotterraneo è legato a un'ipoteca che grava sulla casa come una falce sospesa: nei dieci anni che separano l'arrivo al vecchio casale dal presente narrativo, lo vediamo inasprirsi, farsi sempre più cupo di fronte all'inutilità vanità di sforzi eccessivi; vanamente la Madre media, ascolta, consola: solo lei pare immune al dolore, in grado di sostenere il peso della famiglia e della sua fragilità.

"Mille e un libro": un'altra puntata con le nostre redattrici

Nella notte tra martedì e mercoledì le nostre redattrici Claudia Consoli e Serena Alessi sono state di nuovo in onda su RaiUno per un’altra puntata di Mille e un libro Scrittori in TV, insieme a Gigi Marzullo e ai suoi ospiti (leggi qui per saperne di più sulla collaborazione di CriticaLetteraria col programma televisivo). 

In questa puntata puntata le nostre redattrici hanno parlato di:
Soliloqui di Betlemme di Giovanni Papini. Nota di lettura di Franco Ferrarotti (Centro editoriale dehoniano, 2016); 
Socrate 2896 di Margherita D’Amico (Bompiani, 2016); 
Candore di Mario Desiati (Einaudi, 2016). 

Qui il link per rivedere la puntata, ma ecco fin da ora un assaggio di cosa hanno detto Claudia e Serena a proposito dei libri che hanno letto.

Il fascino dell'imperfezione, ovvero "L'allieva", il romanzo best-seller di Alessia Gazzola.

L'allieva
di Alessia Gazzola
collana La Gaja Scienza
Milano, Longanesi, 2011

pp. 378
cartaceo € 18,60
ebook € 8,99

Alice Allevi è una giovane specializzanda in medicina legale che vive e lavora a Roma. La sua vita procede in maniera piuttosto tranquilla, e, tra un'autopsia e l'altra, la sua tesi di specializzazione procede, seppur tra diverse distrazioni. La prima di queste è il suo capo, Claudio Conforti, alias CC, «l'ecce homo del nostro Istituto»: bello «come James Franco nella pubblicità del profumo Gucci by Gucci», affascinante, di successo, brillante, e, inevitabilmente, stronzo: «probabilmente, il più stronzo di tutto l'universo». Ciononostante, tra i due nasce un rapporto particolare, che rende Conforti capace di inaspettati momenti di tenerezza, con frasi in grado di rinfrancare Alice nei momenti di disperazione:
Lui mi strizza un occhio con un sorriso gentile, così raro sul suo volto intenso e consapevole della propria bellezza. «Non c'è di che. Allevi, non farti mettere in crisi. Sei una piccola strega impicciona, ma hai passione. E la verità è che se c'è qualcosa che serve davvero per essere un bravo medico legale, è proprio questo.» (p. 53)
Il secondo felice diversivo che la nostra eroina incontra sul suo cammino si chiama Arthur, giornalista di viaggio, anima vagabonda e inquieta, sempre a bordo di un aereo diretto in qualche paese sperduto. La nostra protagonista non sa però, che Arthur, per uno strano gioco del destino, ha lo stesso cognome del suo capo.

«Arthur Malcomess» risponde, porgendo la sua.
«Malcomess?» Chiedo corrugando la fronte. «Ma dai! Come quello stronzo del mio capo.» Non è stato elegante dirlo, lo so, ma ho esagerato con i mojito e ora mi sento lievemente disinibita.
[…]
«Paul Malcomess, il medico legale?»
«Sì» mormoro flebilmente. Sul volto di Arthur Malcomess si dipinge un sorriso malizioso.
«E' mio padre» risponde amabilmente, con tono nient'affatto offeso.
Merda. Merda. Merda.
(p. 59)

Prossimamente su Critica Letteraria… la serie "L'Allieva", di Alessia Gazzola.



L'annuale party di beneficenza organizzato da quegli iperattivi di Pediatria mi ricorda puntualmente che, in qualità di specializzanda in Medicina legale, mi trovo – senza alcuna chance di progressione verticale – all'ultimo grado della catena alimentare della Medicina. (L'Allieva, p. 9)

Comincia così L'Allieva, primo romanzo della fortunata e appassionante serie ideata da Alessia Gazzola, scrittrice e medico legale. La storia racconta le vicende di Alice Allevi, specializzanda in medicina legale, una ragazza come tante, buona, allegra, romantica, un po' pasticciona – tratto che le conferisce una spiccata simpatia – e certamente incapace di stare fuori dai guai: insomma, Alice pare il personaggio perfetto per una serie destinata a durare – e ce lo auguriamo – molto a lungo. La perspicacia che la contraddistingue, e che fa sì che il suo aiuto risulti determinante nei casi con cui si trova a che fare nel suo ruolo di medico legale, tuttavia non basta a tenerla lontana dai pasticci. La nostra eroina, infatti, proprio non riesce a non farsi coinvolgere dai casi che segue, anche in virtù della forte passione che Alice ha per questo lavoro e per il suo desiderio di rendere giustizia alle vittime.
Ad oggi la serie comprende sei volumi: a seguito del successo avuto dal primo libro, L'Allieva, pubblicato nel 2011 – 60.000 copie vendute, uno straordinario successo editoriale – la Gazzola ha scritto e dato alle stampe i due successivi, Un segreto non è per sempre, e il prequel Sindrome da cuore in sospeso, usciti entrambi nel 2012, per proseguire poi con Le ossa della principessa (2014) e Una lunga estate crudele (2015), fino ad arrivare all'ultimo, edito sempre da Longanesi nel settembre 2016, Un po' di follia in primavera.

#CriticaNera - Di cosa parliamo quando parliamo di noir (1^ parte)

Alessio Piras e Nicola Campostori, pronti per il dialogo sul noir...

(NICOLA CAMPOSTORI)

Qualche tempo fa Alessio Piras, col quale condivido il ruolo di redattore per Critica Letteraria, mi scrisse a proposito di un commento che avevo pubblicato riguardo a La città dell'oblio di René Frégni: le mie considerazioni sul noir avevano stimolato in lui curiosità e voglia di confrontarsi sul tema. Piras ha conseguito il titolo di Dottore di Ricerca in Discipline Umanistiche presso l'Università di Pisa. Attualmente è membro di un gruppo di ricerca dell'Universitat Autònoma di Barcellona, traduttore free-lance e scrittore. Dopo aver letto il suo romanzo d'esordio, Omicidio in Piazza Sant'Elena (F.lli Frilli Editori, 2016), gli ho posto alcune domande ed è cominciato uno scambio di mail nel quale abbiamo riflettuto assieme sul noir.

La voce inaspettata di Primo Levi

Il veleno di Auschwitz. Il volto e la voce: testimonianze in TV (1963-1986)
di Primo Levi

a cura di Frediano Sessi e Stas’ Gawronski

Marsilio, 2016
pp. 54 (libro più dvd) 
€ 15,00

È una scelta curiosa, ma forse l’unica realmente sensata, quella compiuta dai curatori di questo esilissimo volume edito da Marsilio: la scelta di tirarsi indietro, di rinunciare a qualsivoglia protagonismo, o ad imporre una istanza interpretativa dominante. Attraverso tre brevi saggi, viene passata sinteticamente in rassegna la storia delle apparizioni televisive di Primo Levi, ne vengono commentati i gesti e la fisicità, viene proposta una rilettura concisa e completa della sua bibliografia. Il contributo critico è dunque orientato non alla novità, ma alla revisione del già detto, in particolare del già detto da Levi stesso. È lui il vero e unico protagonista dell’opera, non soltanto nelle interviste televisive riportate nel dvd allegato, ma anche nei testi che vorrebbero introdurle e commentarle: le inferenze personali di Sessi e Gawronski sono minime, perché ciò che si vuole far emergere è la voce forte, incisiva, dell’uomo e dello scrittore Levi. Le citazioni sono ampie, diffuse, poco note e quindi tutte da scoprire o riscoprire.

Una questione aperta: "Auschwitz e la filosofia", di Giuseppe Pulina

Auschwitz e la filosofia. Un questione aperta
di Giuseppe Pulina
Diogene Multimedia, 2015


Con colpevole ritardo arrivo a recensire questo libro di Giuseppe Pulina. Il mio ritardo è colpevole perché cosciente e deliberato e me ne scuso anzitutto con l’autore. A mia discolpa dirò che questo continuo procrastinare le linee che seguono si deve al fatto che Auschwitz e la filosofia è uno di quei libri che costringe il lettore a una profonda (auto)lettura: non si tratta di parlare solo di Auschwitz e del suo orrore, si tratta di pensare l’uomo prima e dopo il lager, il suo procedere nella Storia, che più che un progredire lineare, pare essere un girotondo senza vie d’uscita. 
Si tratta, inoltre, di pensare l’orrore assoluto di cui Auschwitz è senza dubbio una esemplificazione quasi prototipo, ma non è l’unica, prima e dopo il 1945. Si tratta, infine, di sondare quel lato oscuro dell’essere umano che tanto ci spaventa forse perché insito e naturale. Siamo buoni e siamo cattivi. Bene e male convivono e si intrecciano. 
Ismaele, personaggio protagonista e narratore in prima persona di Moby Dick, dice a un certo punto, mentre si imbarca sul Pequod, che un uomo per quanto malvagio, barbaro o pagano rimane, pur sempre, un uomo. È vero anche per una guardia SS di stanza ad Auschwitz, o per Adolf Eichmann? Cosa è stato il lager? E perché, soprattutto, in pieno Novecento, è stato? O ancora, perché Auschwitz ci ossessiona ancora a settantadue anni dalla sua fine e i gulag o i genocidi di Pol Pot e Milosevic, no? Cos'ha di speciale Auschwitz?

#paginedigrazia - "Naufraghi in porto": una riscrittura deleddiana in bilico tra crimine e peccato



Naufraghi in porto
di Grazia Deledda
Ilisso, 2007

a cura di Andrea Cannas 

pp. 208 
€ 11,00 (ebook 4.90)

L’aspetto che più sorprende nella narrativa di Grazia Deledda è che riesce a essere sempre nuova, mai uguale a se stessa. L’impressione disarmante di chi legge Naufraghi in porto (1920), rielaborazione complessa e ponderata del suo antico Dopo il divorzio (1902), è che l’autrice sia riuscita ancora una volta a creare un intreccio non banale, seppur parzialmente prevedibile nella sua evoluzione, in cui echeggiano tonalità, che vanno dal cinismo all’ironia, inavvertite in opere precedenti.

Scoprire l'orrore sotto (e dentro) casa: "La figlia femmina" di Anna Giurickovic Dato

La figlia femmina 
di Anna Giurickovic Dato

Fazi, 2017

pp. 192
€ 16



Per un dramma borghese servono pochi ma ben calibrati elementi, i quali debbono essere sapientemente miscelati senza l'ansia di voler strafare ma senza neppure avere timore di scavare nel profondo della psiche umana. Grosso modo gli elementi sono la famiglia, colta nel suo lato più oscuro, misterioso ed inquietante, le pulsioni naturali/biologiche, ora represse con rabbia, ora esplosive con forza bestiali e le conseguenze che questo coacervo di scenari e sentimenti recano con sé. Un agone tragico che muove dal dramma antico e che trova il suo habitat naturale nelle grandi metropoli dell'Occidente, almeno dal XVIII secolo in avanti. A questa, ormai consolidata tradizione, appartiene anche La figlia femmina di Anna Giurickovic Dato, giovane scrittrice all'esordio per Fazi Editore. La figlia femmina è un dramma borghese da interno, un dramma della gelosia, un dramma della famiglia: insomma è un dramma nella sua accezione più antica e moderna, realizzato con una penna acuminata, urticante e che non ha mai paura di presentare anche la più inquietante delle situazioni. Per tali ragioni il romanzo in questione, seppur ogni tanto tributi pesanti omaggi alle opere a cui si ispira, è un libro che si regge perfettamente sulle proprie gambe: gambe nervose da adolescente, gambe spietate, gambe che, lo sappiamo già, non faranno che, inesorabilmente, portarci a fondo. 

Il falsario di Recanati: l'Inno a Nettuno e le Odae adespotae di Giacomo Leopardi

Inno a Nettuno 
Odae adespotae 
di Giacomo Leopardi

a cura di Margherita Centenari
Marsilio, 2016

€ 26,00 [cartaceo]



Stampati a Milano nel maggio del 1817 sulla rivista "Lo Spettatore Italiano, l'Inno a Nettuno e le Odae adespotae di Giacomo Leopardi attestano la conversione di interessi del giovane conte recanatese avvenuta intorno al biennio 1815-1816. Fino a quel momento, come è noto, il futuro poeta degli Idilli aveva circoscritto le sue attenzioni esclusivamente "allo studio delle lingue, e della filologia antica" (Zib., p. 1741 - 19.9.1821), esprimendo contestualmente un giudizio assai negativo sull'attività letteraria: "io disprezzava quindi la poesia" (Ib.). Nel corso di questo biennio maturano dunque le premesse che consentiranno quel passaggio decisivo nella formazione culturale leopardiana per cui, secondo una celebre e iconica immagine di De Sanctis relativa al Saggio sopra gli errori popolari degli antichi, la biblioteca paterna "a poco a poco gli esce tutta di sotto la penna".

Un'armata di bambini di cui gli adulti si dimenticano: l'occasione sprecata di Roberto Saviano

La paranza dei bambini
di Roberto Saviano
Feltrinelli, 2016

pp. 352
Brossura 18,50€

Fottuto o fottitore: è in queste due categorie che si divide il mondo secondo Nicolas Fiorillo, detto o’ Maraja, protagonista (non unico) del nuovo libro di Roberto Saviano. I mini-boss de La paranza dei bambini sono i nuovi adepti della camorra 2.0 raccolti in una banda di adolescenti che si ispirano a Il camorrista di Giuseppe Tornatore, seguono i precetti de Il Principe di Machiavelli (che insegna a cumannà) e «tengono armi e palle» come i terroristi dell’ISIS con i quali condividono ambizioni e barbe lunghe. Persino i casalesi appaiono dei miserabili da rottamare in confronto al loro immaginario governato dagli X-Men, da Quentin Tarantino e Dan Bilzerian, essendo cresciuti a kebab e Call of Duty, spesso nerd incalliti con le braccia come estensione dei pc. Imitano la cresta e l’atteggiamento strafottente di Genny Savastano (in una sorta di meta-letterarietà forse eccessivamente autoreferenziale da parte di Saviano) e sognano l’ascesa criminale di Walter White - Heisenberg in Breaking Bad.

Han Kang e la forza dirompente del rifiuto

La vegetariana
di Han Kang 
Adelphi, 2016

Traduzione di Milena Zemira Ciccimarra

pp. 177
18 

«Ho fatto un sogno…». Yeong-hye è una donna ordinaria, allineata, moglie fedele e dimessa. Non ha particolari interessi né passioni, il che è perfettamente logico (accettabile) nella società sudcoreana del ventunesimo secolo. Un giorno il marito rientra a casa tardi dopo il lavoro e trova Yeong-hye in cucina, mezza nuda, lo sguardo lievemente allucinato. Tutta la carne presente nel frigorifero gettata a terra.

«Ho fatto un sogno…», risponde con un velo di voce e lo sguardo assente Yeong-hye a chi le chieda perché abbia deciso in modo così incontrovertibile di non ingerire più carne. Lo dice al marito, lo dice ai familiari, lo dirà al cognato. Il sogno è terribile, alla maniera di un certo filone horror del cinema asiatico.
"Una foresta buia. Non un’anima viva. Le foglie aguzze sugli alberi, i miei piedi tutti graffiati […] Una lunga canna di bambù da cui pendono enormi quarti di carne rosso sangue, ancora gocciolanti di sangue […] Ho del sangue in bocca, i vestiti intrisi di sangue appiccicati alla pelle".

#PagineCritiche - Giulia Bocchio scende nell'Olimpo nero del sentire, dove "il bello è brutto e il brutto è bello"

L’Olimpo nero del sentire.
L’esaltazione estetica del brutto
di Giulia Bocchio

Marsilio, 2016

pp. 90
Euro 14,00

L’Olimpo nero del sentire di Giulia Bocchio – già autrice di Harmattan poetico (Editrice Lorenzo, 2013) e Il vento del vanto (Genesi Editrice, 2014) – può essere definito una sorta di corso accelerato che, come da sottotitolo, si propone di affrontare L’esaltazione estetica del brutto. Il volumetto edito da Marsilio condensa difatti in poco meno di cento pagine una questione impegnativa quale il brutto/la bruttezza vista non tanto attraverso il prevedibile e avvilente paragone con il suo (supposto) contrario (ovvero il bello/la bellezza), ma in quanto categoria parimenti apprezzabile e godibile attraverso un uso peculiare - vale a dire, appunto, "esaltante" e "estetizzante" - del linguaggio.

#paginedigrazia - “Chi sa spiegare gli enigmi del cuore umano?”



Stella d’Oriente,
di Grazia Deledda
Prefazione di Duilio Caocci
Ilisso ,2007
pp. 192

cartaceo: 11,00€
e-book: 4,90€


In una lettera del 9 agosto 1892 una giovanissima Grazia Deledda dichiarava con decisione al suo innamorato che «insieme all’immensa passione della mia fanciullezza, ho il sogno continuo, tormentoso, febbrile della celebrità». È una ragazza di soli ventun anni, ma è in grado di guardare con chiarezza alla sua interiorità ricca di ambizioni. Inutile specificare che Grazia aveva già chiaro in mente il progetto di una gloria letteraria e Stella d’Oriente rappresenta il vero, azzeccato e profondo punto di partenza di questo percorso di ascesa. Il romanzo non rappresenta il suo esordio (che era, invece, stato il racconto Sangue sardo pubblicato nel 1888 sull’Ultima moda), ma da un punto di vista letterario è la prima vera opera completa e organicamente concepita. La ferma volontà di raggiungere la gloria passa, in quegli anni, per la pubblicazione di testi vicini alla sensibilità dei lettori più voraci e partecipi, le «gentili lettrici (p. 113)» a cui nel testo tante volte si rivolge, e a cui destina la pubblicazione a puntate del suo romanzo su L’Avvenire di Sardegna tra il 3 novembre e l’8 dicembre del 1890, nel filone dei romanzi d’appendice che molti autori portanti del panorama letterario italiano avevamo usato come trampolino di lancio per la loro carriera artistica.

#CriticaNera - «Non si ammazza la gente, cazzo!» «Perché?»

Torto marcio
di Alessandro Robecchi
Sellerio, 2017

pp. 432
€ 15 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)

 «Le vite sono questo, sono intrecci incomprensibili, inestricabili, sporchi... la giustizia, la verità, che cose insulse, e vi piacciono tanto, vero? Sa perché? Perché vi danno l'impressione di contare qualcosa, di decidere qualcosa... Stupidaggini, Carlo, cazzate. Ci pensi, ogni tanto. Le cose fanno il loro corso indipendentemente da noi, anzi, spesso contro di noi». (p. 407)

Un nuovo mistero avvolge Milano nel terrore: i corpi di due imprenditori vengono ritrovati a poca distanza di tempo. Su di loro, la firma dell'assassino: un sasso, appoggiato in bella vista sui cadaveri. Per Ghezzi e Carella c'è un caso complesso da risolvere, ma presto le indagini si fanno segrete, perché il caso viene affidato ad agenti moderni e all'avanguardia, o che perlomeno rispondono benissimo alle esigenze mediatiche. Sì, perché Milano non è più la stessa da quando si parla del killer dei sassi: la cronaca nera interessa ormai più del sesso; da quando ci sono stati i ritrovamenti, tutti ne parlano, dal centro opulento ai quartieri popolari. E anche l'azione del romanzo si sposta proprio tra questi due poli, a sirene spiegate, ché tanto - ormai - Ghezzi e Carella hanno già infranto il loro dovere, occupandosi di un caso passato ad altri... Certo, quando viene trovato un terzo cadavere, con la stessa firma del sasso, la questione si complica e il filo sottilissimo che i due stavano tessendo si rompe. Che fare, dunque? "Fortunatamente", diremmo noi lettori, ma "sfortunatamente", commenterebbe Ghezzi, anche Carlo Monterossi, vecchia conoscenza, resta invischiato nel caso. Ghezzi continua a pensare che il creatore dell'appuntamento televisivo più amato, Crazy Love, sia una grana in più da risolvere: pare complicare le indagini, mettendosi più e più volte in pericolo, con quel suo amico e agente, Oscar... Eppure ogni volta - vorremmo ricordarlo, a Ghezzi - Monterossi finisce per dare il giusto "la" alle indagini. Certo, è un incontentabile e un inappagato cronico, a cominciare dal fatto che detesta il programma che gli ha dato la notorietà e una buona agiatezza economica, ma Carlo Monterossi ci sa fare con la gente, e spesso è proprio la sua capacità di intrufolarsi tra le insicurezze dell'altro a far scaturire confessioni intere o, perlomeno, indizi.

#CritiArte - La Collezione come forma d’arte



La collezione come forma d'arte

a cura di Elio Grazioli
Johan&Levi Editore, 2012


pp. 128
18,00 € (cartaceo)

“La collezione come opera d’arte” è l’argomento a cui si ispira non solo il libro di Elio Grazioli (Johan & Levi Editore), ma anche la Conferenza promossa nell’ambito della mostra  "La finestra sul cortile. Scorci di collezioni private", presso la Galleria d’Arte Moderna di Milano, in collaborazione con UBS.

La figura del collezionista moderno viene approfondita attraverso un approccio inedito, intimistico e fisolofico, che sposta l'occhio di indagine dalla mera opera d'arte acquistata e collezionata, per ampliare la visuale fino ad abbracciare il concetto estetico di collezione in quanto forma d'arte stessa.

Non più un "semplice" accumulo seriale di oggetti, bensì la condivisione di una ricerca artistica in atto, che si sgancia dalla chiusura del passato, per aprirsi in modo sinergico allo scambio, all'ispirazione ed alla modernità dei linguaggi.

#Criticomics - La saga dei Bojeffries: la famiglia borghese secondo Alan Moore

La saga dei Bojeffries
di Alan Moore e Steve Parkhouse
Traduzione di Michele Foschini
Bao Publishing, 2016
95 pag.


Immaginate una sit-com ambientata nell'Inghilterra degli anni Ottanta. Immaginate che tutto ruoti attorno a una famiglia della classe media e ai problemi quotidiani che si trova ad affrontare. Fate conto di metterci dentro tutte quelle linee narrative trite e ritrite che coccolano la nostra pigrizia e ci fanno sentire come a casa: lo speciale natalizio, la puntata con la cena aziendale del capo famiglia, quella delle vacanze, l'episodio in stile musical e quello fatta alla maniera dei reality show. Insomma, immaginate una serie televisiva come tante e al posto dei protagonisti piazzateci dei mostri. Un licantropo, un vampiro, un Grande Antico, un neonato atomico e un paio di freak che non guastano mai (il ragazzino che non invecchia, la donna più forte del mondo). Ed eccovi servita La saga dei Bojeffries, scritta Alan Moore e disegnata da Steve Parkhouse in un lasso di tempo che va dal 1986 sino al 2013. 

A partire dalla struttura composta da brevi episodi autoconclusivi, Moore sembra davvero poggiare le basi di questo suo fumetto sul modello della serialità televisiva. Lo sceneggiatore copia le sit-com non tanto per sfruttarne i meccanismi e sovvertirli (cosa che avviene in maniera piuttosto blanda) quanto per renderli evidenti modelli narrativi delle nostre vite, sottolineando come la televisione possa influenzare i nostri comportamenti. I Bojeffries sembrano vivere una realtà filtrata attraverso i modi e le strutture televisive, tra ruoli da rispettare ed eventi a cui partecipare. Tutto questo per omologarsi con tutte le altre famiglie della middle-class thatcheriana che riflettono il ritratto della loro banalità sullo schermo di un televisore.

#PagineCritiche - «Un poeta muore, non la sua poesia» - “Ungaretti, poeta”, di Carlo Ossola.

Ungaretti, poeta
di Carlo Ossola
Marsilio, 2016

pp. 285
€ 17,00



Critico letterario italiano, docente di letteratura italiana nelle università di Ginevra, Padova e Torino, e, dal 2000, professore al Collége de France, con la cattedra Letterature moderne dell'Europa Neolatina, Carlo Ossola è senza dubbio alcuno uno dei massimi studiosi viventi e una delle menti più brillanti dell'attuale panorama accademico italiano.
Con questo libro, il professore torinese torna sulle tracce di uno dei poeti che occupa un posto di rilievo all'interno della sua bibliografia, ovvero Giuseppe Ungaretti. A cento anni esatti dall'uscita de Il Porto Sepolto, e a quaranta dalla monografia scritta dallo stesso Ossola nel 1975, l'autore ha deciso di raccogliere e riproporre, con aggiunte, integrazioni e riscritture, alcuni dei contributi presentati in passato, come aggiornamento della monografia sopra citata.

Luis Sepulveda, "La fine della storia"


La fine della storia
di Luis Sepúlveda
Guanda, 2016

Traduzione di Ilide Carmignani
pp. 199
€ 17,00 (cartaceo)


Stavo andando a un appuntamento che non avevo cercato né voluto, e ci stavo andando perché non si sfugge alla propria ombra. Non importa dove stiamo andando, l'ombra di ciò che abbiamo fatto e siamo stati ci perseguita con la tenacia di una maledizione.
Il nuovo romanzo di Sepúlveda racconta uno spaccato di storia del Novecento. La fine della storia è dedicato alla moglie Carmen Yanez Sonia, la prigioniera 824, catturata degli uomini del dittatore Pinochet e rinchiusa a Villa Grimaldi di Santiago del Cile, dove fu torturata e martoriata insieme a tantissimi altri oppositori politici.
Il protagonista Juan Belmonte, ex soldato che ha combattuto contro il regime di Pinochet, vive con la compagna Veronica, donna rapita e sevizia durante la dittatura, in riva al mare nel sud del Cile, quando il passato torna a fargli visita. Agenti segreti russi hanno bisogno delle sue conoscenze e competenze militari per risolvere un intrigo internazionale.
Nelle pagine dense di avvenimenti e annotazioni, la storia e l’autobiografia si intrecciano: Veronica, come  Carmen, ha vissuto l’orrore del regime e si salva solo perché creduta morta.

#paginedigrazia - Storia di una ragazza divenuta una donna: "Sino al confine"



Sino al confine
di Grazia Deledda
prefazione di Dante Maffìa
Ilisso, 2008

pp. 247

cartaceo: € 11
e-book: € 4,90

Il 1910 fu un anno assai prolifico per Grazia Deledda che in quell'anno, oltre a Il nostro padrone, pubblicò anche Sino al confine

Protagonista di questo romanzo è Gavina Sulis che, all'inizio della storia (nel 1890), non ha ancora 14 anni.

L'episodio dal quale prende avvio l'intera vicenda è un bacio che il giovane seminarista Priamo Efix dà a Gavina: quest'ultima, profondamente turbata, confessa quello che ai suoi occhi è un terribile peccato al canonico Bellìa, il quale non solo non assolve la ragazza, ma la accusa di aver fuorviato un uomo di Dio:
"(...) Il vostro peccato è più grave d'un delitto. Avete voluto rubare un'anima a Dio! Quando voi capirete tutta la bassezza della vostra colpa non avrete abbastanza lacrime per piangere. Il peccato carnale è già per sé stesso il più grave e schifoso dei peccati, e, all'infuori del santo matrimonio, il Signore condanna tutti gli atti amorosi che insozzano le anime caste e pure! Voi avete già contaminata l'anima vostra, senza pensare che la vostra colpa è doppiamente grave perché commessa con un uomo destinato al servizio di Dio. Voi piangete, figlia  mia? Sì, piangete pure; pentitevi, pensate che la vostra vita è breve e che il Signore può anche castigarci su questa terra... (...)".

Il fu Bret Easton Ellis: "Acqua dal sole"

Acqua dal sole
di Bret Easton Ellis
Traduzione di Francesco Saba Sardi
Einaudi, 2006

pp. 228
€ 10,50


Con Bret Easton Ellis ho sempre avuto dei problemi.

Come persona, si sa, Ellis è uno dei figuri più tristi del pianeta. Soprattutto negli ultimi anni, da quando il buon vecchio Bret, non riuscendo più partorire narrativa degna, si è messo impietosamente a trollare su Twitter più o meno chiunque: scrittori defunti, come Salinger ("Grazie a Dio finalmente è morto, stasera festa!") o David Foster Wallace (insulti vari a più riprese, ma il cui succo è "sopravvalutato") o vivi e premiati con il Nobel, come Alice Munro ("sopravvalutata"); serie tv, come Breaking Bad ("sopravvalutata"); e persino oggetti inanimati, come i pop corn ("bandiamoli dai cinema" – ok, su questo possiamo essere d'accordo). Insomma, sembra quasi che da quel carcere di massima sicurezza chiamato "Anni Ottanta" in cui si è autorecluso e dal quale non riesce più a evadere, Ellis passi il tempo affacciato alla finestra a sputare in testa al mondo il proprio livore di romanziere esausto, nel tentativo di farlo passare per il grido di un Giovane Arrabbiato. Ma l'anagrafe non perdona e tutto ciò che gli esce dalla bocca è ormai soltanto lo starnazzante borbottìo del Vecchio Brontolone.

"Cambogia. Diario di un viaggio in solitaria", di Federica Puccioni

Cambogia. Diario di un viaggio in solitaria
di Federica Puccioni
goWare, 2016

pp. 114
cartaceo €18.99 
ebook 4.99


A metà tra guida turistica e diario di viaggio, il libro di Federica Puccioni introduce il lettore a un mondo sconosciuto. La Cambogia, dite? Non esattamente: la terra di cui parlo è del tutto immateriale. E' la giungla di sensazioni dell'uomo occidentale al suo primo contatto con la cultura dell'estremo Oriente. 

Federica (mi scuserà se la chiamo per nome, ma, dopo aver letto il suo diario, sento un po' di conoscerla) ha 34 anni quando decide di partire per la Cambogia. Insegnante d'inglese, Federica è  "una di noi": divisa tra le necessità del lavoro e la voglia di tornare a casa, tra le confortanti abitudini quotidiane e la voglia di lasciare gli ormeggi, tra il desiderio di partire alla volta di un'avventura e le paure e i dubbi che la bloccano. La sua isola che non c'è è la Cambogia: la sente nominare un giorno, per caso, e decide di innamorarsene. 
Passano anni prima che Federica trovi il coraggio di partire e, come spesso accade con le scelte decisive della vita, un giorno qualunque acquista il biglietto per un viaggio di tre settimane in solitaria.

"Nel tunnel": dove si cela la parte oscura della nostra anima.

Nel tunnel
di Carl-Johan Vallgren (tradotto da Laura Cangemi)
Marsilio Editori, 2016

pp. 371

cartaceo: € 18,50
e-book: € 9,99

Forse qualcuno ha già sentito nominare Carl-Johan Vallgren, scrittore svedese che alcuni anni fa vinse il prestigioso August Prize per il romanzo Storia di un amore straordinario, l'avventura di un legame forte e dolcissimo tra due creature speciali ambientata nella Russia del 1800.

All'epoca questo divenne il mio libro preferito ma, se pensate che Nel tunnel ricalchi le atmosfere romantiche dell'opera prima di Vallgren, siete fuori strada.

Il giallo di cui ci occupiamo oggi prosegue la serie inaugurata nel 2015 da Il bambino ombra ed ambientata  a Stoccolma: siamo nel 2013 e Jorma Hedlund, che possiede un passato costellato dai più svariati crimini, viene contattato dall'amico di vecchia data Zoran per preparare il colpo della vita prima di lasciare definitivamente il mondo della delinquenza e cambiare finalmente esistenza. Il colpo, però, fallisce, e a Jorma non resta che indagarne la ragione.

Una storia da maneggiare con cura e da accarezzare

Farfalle sullo stomaco
di Rossella Calabrò
Emma Books, 2015

pp. 82
€ 2,99 (ebook)
€ 6,75 (cartaceo)


Ciao, io sono Irene... Iniziate a leggere o a sentire in audiolibro Farfalle sullo stomaco di Rossella Calabrò e presto aspetterete con ansia di arrivare al capitolo successivo, con un nuovo saluto di Irene. In men che non si dica, vorrete stringere al cuore la bambina-adolescente-donna che si racconta con il cuore in mano e lo stomaco ora chiuso, ora troppo aperto. Sì, perché Irene ha avuto fin da subito un rapporto squilibrato con il cibo: prima ci vuole quel bicchiere di latte per deglutire, poi invece scatole di biscotti provano a colmare il suo senso di inadeguatezza. Ed è tutto inutile. Non basta l'etichetta di "personalità bulimica" a porre un rimedio al vuoto che Irene percepisce sempre, al suo desiderio di essere padrona di ogni decisione e, al tempo stesso, di passare sempre inosservata, senza fare rumore.

In viaggio a Puntazza, dove la morte è l'unico modo per scoprirsi umani


Puntazza
di Simone Innocenti
Roma, L'Erudita, 2016

pp. 102
13 euro


Puntazza è un libriccino che sfiora le cento pagine: una raccolta di racconti che somigliano ad affreschi immobili, dipinti e lasciati di fronte all’ignaro spettatore, come un monito o un consiglio. Puntazza è un paesino di provincia, di quelli che in Italia trovi appena volti l’angolo di un cartellone stradale: un quartiere di palloni lasciati a sgonfiarsi sui marciapiedi, un giardino parco giochi per bambini che alla luce dei lampioni si riempie di delinquentelli, vagabondi e nullafacenti. Puntazza è amore per la cronaca, quella asciutta dei comunicati che arrivano in redazione dalla questura, quella ricca di pieghe oscure e rimpianti esacerbanti della quotidianità.

#paginedigrazia - "Il tesoro" di Grazia Deledda: tutto cominciò con una lettera firmata Victor Honoré...



Il tesoro
di Grazia Deledda
Prefazione di Gonaria Floris
Ilisso, 2007

pp. 251

Cartaceo 11,00 euro
E-book 4,99 euro


Chi non vorrebbe avere la fortuna di imbattersi in un tesoro? Niente di metaforico, si badi, ma un vero e proprio forziere colmo di denaro da rintracciare e dissotterrare, ammantato di avventuroso mistero; insomma una di quelle fortune di cui si legge sempre nei libri, capaci di cambiare la vita a chi ne entri in possesso e di risolvere per sempre ogni problema di natura materiale. Annunciato da un’intrigante missiva firmata Victor Honoré – vera? fasulla? lo si scoprirà solo verso la fine della storia, articolata in quindici capitoli – è proprio lui, Il tesoro, o meglio il desiderio della sua esistenza e del suo rinvenimento, che unisce i destini delle famiglie Brindis e Bancu, protagoniste di questo romanzo deleddiano pubblicato una prima volta nel 1897 da Speirani e riedito poi da Treves nel 1928, sulla scia della popolarità della scrittrice da poco divenuta gloria nazionale in seguito alla vittoria del Premio Nobel per la Letteratura nel 1926. E tuttavia, in questa storia articolata e complessa, animata da una moltitudine di personaggi, la «solida cassetta d’acciaio, con serratura invisibile» e contenente «40.000 Luigi in oro (lire italiane 800.000)» appare nel contempo quasi un espediente narrativo, o meglio ancora una sorta di “mezzo di contrasto” utile a illustrare «uno spaccato della società nuorese di fine ‘800 nei suoi principali ambienti e mentalità», come ben evidenzia Gonaria Floris nella sua Prefazione all’edizione Ilisso.

E se il diario più intimo fosse quello che parla "solo" del corpo?

Storia di un corpo
di Daniel Pennac
Feltrinelli, 2012

Traduzione di Yasimina Melaouah

pp. 341
€ 18 (cartaceo)

Parlando - abbastanza spesso - dell'ansia in questo diario, non parlo dell'anima, né tantomeno faccio psicologia, resto più che mai nel registro del corpo, questo stramaledetto groviglio di nervi! (p. 229)
Il narratore è un mentitore, potremmo affermare con una certa piacevole certezza, leggendo Storia di un corpo di Daniel Pennac. Se la traduzione italiana del titolo non rivela direttamente il genere dell'opera che andremo a leggere, l'originale Journal d'un corps rimanda direttamente alla vastissima tradizione del journal intime. Ma con tutto l'affronto al genere, la revisione che ne può fare Pennac negli anni del Duemila. E allora lo scrittore finge di essere venuto in possesso del diario del padre defunto di Lison, di aver iniziato a leggere il testo e di averlo proposto al suo editore. Un escamotage per niente nuovo, se vogliamo, ma che propone poi un libro decisamente inusuale: non si tratta di un diario emotivo, intimo, appunto, come vorrebbe la tradizione francese; al contrario, di un "diario del corpo", votato ad annotare solo mutamenti, reazioni, scoperte, malanni, sensazioni del nostro corpo. Una visione materialistica, se vogliamo; a tratti ipocondriaca, egocentrata all'ennesima potenza su ogni minima variazione della routine fisica. Quasi un volo di rondine sulle scoperte e sulle frustrazioni che vive un corpo maschile, dall'infanzia alla vecchiaia, cercando continuamente di "metteresi a fuoco" («In fondo, questo diario è stato un perenne esercizio di messa a fuoco», p. 258).

Criticaletteraria va in televisione! Le nostre redattrici a "Mille e un libro" su Rai1

Criticaletteraria va in televisione! Le nostre redattrici Claudia Consoli e Serena Alessi hanno registrato alcune puntate della trasmissione Mille e un libro, condotta da Gigi Marzullo e in onda il sabato notte su Raiuno. Il format è semplice: ci sono tre o quattro autori che parlano dei loro ultimi libri con Marzullo e per ognuno di loro alcuni/e critici e critiche in collegamento da tutta Italia, tra cui le nostre Claudia e Serena, danno la loro opinione sui libri. Nella puntata della scorsa notte le nostre redattrici hanno parlato di Smeraldi a colazione. Le mie sette vite di Marta Marzotto e Laura Laurenzi (Cairo Editore, 2016), di Dialogo con mia madre di Giovanni Caccamo (Rizzoli, 2016) e di La cultura è come la marmellata di Marina Valensise (Marsilio Editori, 2016). Se il nottambulismo non fa per voi, potete comodamente rivedere la puntata qui. Ecco cosa Claudia e Serena pensano dei libri che hanno letto per Mille e un libro:


Smeraldi a colazione. Le mie sette vite 
di Marta Marzotto e Laura Laurenzi 



L'opinione di Claudia“Raccontare Marta è quasi un’impresa assoluta”, si dice all'interno di questo libro. E il lettore entra subito in contatto con la difficoltà di contenere e circoscrivere in forma di memoir una vita che in realtà contiene tante vite diverse. Le vite di una donna priva di età e di regole, che ha vissuto con coraggio e ottimismo, anche quando il mondo sembrava crollarle addosso. Indipendentemente dalla condivisione delle sue scelte personali, chi legge questo volume scopre il profilo di una salottiera unica, non convenzionale, mondana di una mondanità intellettuale e non legata al possesso. Lo dichiara lei stessa che il vero privilegio della sua esistenza sono stati gli incontri e mai la ricchezza in sé. Un limite (di natura probabilmente editoriale): nel complesso emerge con forza la già accennata difficoltà di contenere una vita elevata a potenza. In certi passi il rischio è che l’intero libro possa essere letto come uno sforzo accumulatorio di materiali e nomi che potevano essere mediati e filtrati da un diverso racconto.

#paginedigrazia: Grazia Maria Cosima Damiana, che voleva stare al mondo non solo perché "c'era posto"...

Quasi Grazia
di Marcello Fois
Einaudi, 2016

pp. 127
13,00 euro



GRAZIA (al nulla) Fatemi andare! Lasciatemi stare, maledetti!

Febbraio 1900: Nuoro, casa Deledda. Dicembre 1926: Stoccolma, Grand Hôtel in Södra Blasieholmshamnen 8. Novembre 1935: Roma, studio medico di via Gregoriana 12. Sono queste le ambientazioni spaziotemporali attraverso le quali, nel suo Quasi Grazia, Marcello Fois sceglie di scandire sulla scena il percorso biografico e artistico dell’illustre concittadina Grazia Maria Cosima Damiana Deledda, prima e unica scrittrice italiana alla quale sia stato assegnato il Premio Nobel per la Letteratura. Atto Primo: l’abbandono della dimora paterna alla volta della Capitale insieme con lo sposo Palmiro Madesani. Atto Secondo: la vigilia della cerimonia di premiazione al cospetto dell’Accademia di Svezia. Atto Terzo: la conferma della recidiva di quel male che le sarà fatale, e che la condannerà a una morte ancora giovane.

La felicità a portata di mano. Racconti dal carcere

Così vicino alla felicità. Racconti dal carcere
a cura di Antonella Bolelli Ferrera
Rai Eri, 2016

pp. 326
€ 17,00



Si è da poco conclusa la sesta edizione del Premio Goliarda Sapienza, di cui CriticaLetteraria si è occupata anche l’anno scorso (leggi qui). Per evitare condizionamenti, ho guardato il comunicato stampa con i nomi dei vincitori soltanto dopo aver terminato la lettura del libro: certa per la mia esperienza precedente della qualità letteraria dei racconti, preferivo farmi un'idea personale, stilare una mia ideale lista dei migliori. Devo riconoscere di essermi trovata solo parzialmente concorde con la giuria. Il concorso del 2016 prendeva spunto dalle parole di papa Francesco che, in occasione dell’Anno Santo della Misericordia, aveva avuto un’attenzione particolare per i detenuti, invitandoli a trasformare l’esperienza del carcere in occasione di libertà. I venticinque racconti selezionati per la finale tra i molti proposti (sedici per la sezione adulti, nove per quella destinata ai minori) ruotavano quindi intorno al tema del perdono. L’argomento era delicato, e non soltanto per i suoi evidenti agganci con la religione cattolica: chi scriveva doveva muoversi su un terreno insidioso; doveva tenere sempre presente la separazione che sussiste tra reato e peccato, manipolare una tematica di cui spesso si tende ad abusare, evitare il pericolo delle cadute nel sentimentalismo smaccato e nel buonismo. Non tutti, a mio avviso, ce l’hanno fatta.

#CriticaNera - Burma indaga: Nebbia sul ponte di Tolbiac di Malet

Nebbia sul ponte di Tolbiac
di Léo Malet
Fazi, 2016
titolo originale: Brouillard au pont de Tolbiac
traduzione di Federica Angelini

pp. 170 [cartaceo]
Euro 15,00 



La nascita del romanzo poliziesco - variamente battezzato come giallo, noir, polar, thriller, ecc. a seconda del paese di provenienza - è strettamente legata all'incremento demografico e urbanistico che ha interessato le grandi metropoli europee, su tutte Londra e Parigi, in seguito alle dinamiche economico-sociali scaturite dalla seconda rivoluzione industriale nella seconda metà dell'Ottocento. Questa premessa per dire come la geografia urbana è da considerare a pieno diritto come uno degli elementi portanti della narrativa del crimine. Per intenderci, non potremmo mai immaginarci Sherlock Holmes fuori dal contesto londinese (che sia quello vittoriano dell'originale di sir Conan Doyle o quello della riuscita trasposizione contemporanea della nota serie tv poco importa), come sarebbe altrettanto improponibile scindere le indagini di Nestor Burma dal loro habitat naturale parigino.

#paginedigrazia - Il segreto dell'uomo solitario nel confine tra eros e thanatos



Il segreto dell'uomo solitario 
di Grazia Deledda
Ilisso, 2011

Prefazione di Aldo Maria Morace

pp. 168
€ 11 (cartaceo)
€ 4,90 (ebook) 



Il segreto dell’uomo solitario è un romanzo del 1921, pochi anni prima della consacrazione del Nobel per la scrittrice sarda, e subito dopo il successo del romanzo La Madre, che per molti critici è romanzo di chiusura di un ciclo deleddiano fecondo, in cui tutti i temi più cari alla scrittrice erano stati ampiamente svolti e canonizzati, rendendo necessaria una nuova fase, seppur senza cesure nette o cambi di rotta sconvolgenti, come fa notare in apertura di prefazione Aldo Maria Morace.  
Arriva dunque una nuova fase per la Deledda, un desiderio di rinnovamento che possa tener fede al suo tacito patto coi lettori ma nel contempo aprirle prospettive nuove, più personali, più ardue. In questo romanzo i cambiamenti più evidenti sono nella struttura, nell’ambientazione e nella dialettica con il lettore. 

#PagineCritiche - Alla (ri)scoperta dell'inutile necessità della letteratura

Giorgio Manganelli, o l'inutile necessità della letteratura
di Anna Longoni
Carocci, 2016

pp. 264
€ 25 (cartaceo)


Complesso e ambizioso, scrivere una monografia dedicata a Giorgio Manganelli, autore controverso, dalle molteplici sfumature, difficili da cogliere, perché spesso intellettualistiche e attorcinate attorno alla sperimentazione lessicale, a discapito di una trama unitaria. Leggere Manganelli a volte lascia frustrati, più spesso ammirati, ma soprattutto frastornati dalla sua geniale ricerca stilistica, intrisa d'ironia e satira.
In questo ambiente potenzialmente pericoloso, costellato di numerosissima (ma non sempre valida) bibliografia critica, si muove invece con grande agio Anna Longoni, nel nuovo Giorgio Manganelli, o l'inutile necessità della letteratura, certamente tra i saggi più piacevoli, esaustivi e, al tempo stesso, "aperti" del 2016. Può sembrare strano attribuire tale attributo a un saggio, ma così è, e nell'accezione migliore: nel corso della lettura dell'opera, viene voglia di colmare le proprie lacune su Manganelli, procurarsi tutti i libri mancanti e andare ad ampliare le citazioni che, generosamente, intervallano, innescano o comprovano la riflessione critica. Un tratto comune ai vari capitoli della monografia è l'attenzione di Anna Longoni al testo autoriale, base da cui partire e approdo a cui tornare. Altro elemento imprescindibile, presente fin dal titolo, è la forte impostazione ossimorica delle riflessioni, peraltro coerentissima allo «scrittore che, ossessionato dalla menzogna, ha sostanziato i suoi scritti di autenticità» (p. 15).