#Rileggiamoconvoi - luglio 2016

Foto di ©DeboraLambruschini


Buongiorno lettori e buona estate! 
State cercando un po' di consigli nuovi da portare in vacanza o da leggere comodamente in ferie? Abbiamo proposte varie, come sempre, che vi richiederanno anche un diverso grado di impegno... Come sempre, se cliccate sui link potete leggere le nostre recensioni e vedere se questi titoli fanno per voi! 

Vi auguriamo un ottimo agosto di letture! 
La Redazione



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Pillole d’autore: Marcello Marchesi, il battutista imbattibile



Tra accademismo, formalismo, impegno e militanze ideologiche varie viene da chiedersi se la letteratura debba essere per forza seriosa. Opere di grandi scrittori comici dimostrano il contrario, eppure, come riconosce Marcello Marchesi (1912-1978) ne Il malloppo – la sua opera più apprezzata – : «in Italia “umoristico” è un aggettivo squalificativo». O almeno così è stato per lungo tempo. Marchesi anziché desistere e abbandonare la scrittura per la risata, svilupperà la sua verve anche attraverso nuovi linguaggi: giornalismo, teatro, radio, cinema, televisione e pubblicità, tutto per parlare ad una società in mutamento come quella dell’ultimo  fascismo e del dopoguerra.
Marchesi inizierà la sua carriera nei giornali umoristici, come il Bertoldo e il Marc’Aurelio, e nel teatro di rivista per poi approdare alla radio e al cinema. Dagli anni Cinquanta lavorerà come autore nella neonata televisione e lancerà i Vianello, Gino Bramieri e Cocchi&Renato, per fare solo alcuni nomi. Sarà il primo vero copywriter italiano: sua sarà la paternità di centinaia di spot del Carosello. Nei suoi libri, non romanzi ma zibaldoni in chiave umoristica, mostrerà una marcata amarezza per lo sviluppo della società dei consumi: posizione contraddittoria, forse, ma ricca di spunti. Lo dimostrano le sue opere riedite da Bompiani e il numero 32 di Panta a lui totalmente dedicato, con interventi di figure di spicco dello spettacolo, inediti e riflessioni sulla sua opera.
Un autore – grazie ad alcune sue freddure, adattissimo all’estate – da riscoprire lentamente e con leggerezza.
Per concludere, una curiosità: Marchesi è l’inventore del conosciuto mottetto goliardico “Eschilo Eschilo che qui si Sofocle, ma le scale erano Euripide e se cadi Tucidide”.
E con questo buona lettura.

Andrea Vitali e l’elogio del mondo piccolo. 'Le mele di Kakfa' a Le pagine di Clio #5

Le mele di Kakfa
di Andrea Vitali
Garzanti Editore, 2016
pp. 240
Euro 16.40


Andrea Vitali non si dà arie da scrittore (e che scrittore!), se lo incroci sul lungolago di Bellano o tra i vicoli del centro storico, sono certa avrà tempo per qualche battuta e, tra una chiacchiera e l’altra, chissà che non ne venga fuori un romanzo.
Dal lago al Naviglio, Andrea Vitali è stato ospite lo scorso 9 luglio del quinto incontro di Le Pagine di Clio a Cernusco, l’ultimo prima dello stop estivo, in cui ha presentato il nuovo romanzo Le mele di Kafka pubblicato da Garzanti.
Gli appuntamenti riprenderanno in autunno come di consueto alla Bottega del libro, condotti da Loredana Limone con il prezioso patrocinio dell’associazione culturale CLIO.

L’Abramo Ferrascini si è fatto i calcoli per bene. Da Bellano lui e la Rosalba si precipitano a Lucerna, il tempo di partecipare alla veglia del cognato, l'Eraldo, un accenno di dispiacere per la disgrazia (gli si è rotto qualcosa in testa, pare), poi il funerale, due parole di conforto alla vedova Fioralba e via verso casa per la semifinale provinciale di bocce di domenica.
Il piano dell’Abramo è perfetto, peccato che non abbia pensato alla moglie che forse è fin troppo disperata per la dipartita dell’Eraldo e alla reazione del Mario Stimolo, il suo allenatore, la leggenda laghée che il braccio per bocciare l’ha lasciato sotto una pressa. E tocca anche spiegare al Rollini che la gara rischia di saltare e al Rodigatti che ha già organizzato il pullman per la trasferta dei bellanesi.
Come nascono i romanzi di Andrea Vitali?«La chiacchiera è sempre stata uno spunto interessante per la mia scrittura, ne ho collezionate moltissime quando facevo il medico di base. Ricordo ancora di un mio paziente che per un ginocchio dolorante mi raccontò che si era alzato di notte, a luce spenta, per fare pipì altrimenti la moglie si arrabbiava e mentre cercava del ghiaccio sentì una fortissima frenata in strada. Insomma, ginocchio a parte regalò molto materiale!».

"Ottavio il timido" di Aldo Gianolio: Un bizzarro antieroe sempre a disagio

Ottavio il timido
di Aldo Gianolio
Robin Edizioni, 2016

pp. 286
€ 15



Il protagonista di Ottavio il timido, tragicomico romanzo di Aldo Gianolio, è uno stretto parente dei personaggi goffi, alienati e stralunati rappresentati in certi racconti e romanzi di Luigi Malerba, Gianni Celati, Ermanno Cavazzoni e Maurizio Salabelle: bizzarri antieroi che, per la loro diversità, estraneità e incapacità di adattarsi al mondo in cui vivono, sono inesorabilmente condannati alla sconfitta.

Ottavio Fontanesi è un impiegato buffo, goffo e molto timido che nell'azienda in cui lavora, la "Grande Azienda Pubblica dei Servizi Generali", è considerato meno di zero. Nelle ore libere dal grigio lavoro a cui è costretto cerca di portare avanti le sue passioni, ma i suoi tentativi sono destinati al totale fallimento: scrive romanzi e racconti che vengono puntualmente rifiutati da tutti gli editori a cui li manda; e suona la batteria in un gruppo musicale, "I Fagiani", ma se durante le prove dà il meglio di sé, al momento di esibirsi in pubblico si emoziona e non riesce a esprimere il suo talento, andando incontro a pessime figuracce.

Un antidoto per arrivare fino alle sospirate vacanze

Quando in vacanza la tua faccia comincia a somigliare alla foto sul passaporto, è ora di tornare a casa
di Erma Bombeck
Sonzogno, 1994

pp. 190


In questo periodo assomigliamo tutti a dei carcerati in procinto di uscire di galera. Facciamo segni sul calendario, guardiamo più a lungo fuori dalla finestra e siamo insofferenti al solito tran tran che ci porta dal lavoro, improvvisamente più pesante, a casa, sorprendentemente più piccola e soffocante che durante il resto dell'anno. Scorriamo freneticamente le bacheche dei social degli amici e rimiriamo con masochistico piacere le foto di spiagge assolate, città d'arte e laghetti di montagna e mettiamo "mi piace" per buona creanza, quando invece vorremmo solo essere al loro posto. L'attesa delle vacanze può essere davvero stressante e, come rimedio, non c'è niente di meglio di un volume che smitizzi le meraviglie del viaggio e ci consenta di restare sani di mente e incollati alle nostre scrivanie ancora per un po'

Padri di tutti, padri di nessuno: Il senso dell'elefante di Marco Missiroli

Il senso dell’elefante
di Marco Missiroli
Guanda, 2012

€ 8,99 (eBook)




Un prete giovane e una strega, un gatto e una finestra; una Rimini avvolta da una nebbia umida che sale dal mare, pochi elementi riconoscibili che contribuiscono alla determinazione di una topografia della fiaba e della memoria. Così comincia la storia, ma non il romanzo. Quello si apre trentacinque anni dopo, quando Pietro si trasferisce dalla Romagna a Milano, per fare il portinaio in una palazzina elegante e decadente al tempo stesso, per vigilare sulle sorti di chi la abita.
Un po’ alla volta fanno la loro apparizione i condomini: l’avvocato Poppi, omosessuale infelice, che cerca di scampare all’oblio e al dolore della propria solitudine custodendo i segreti altrui; Fernando, il “ragazzo strambo”, con sua madre Paola; soprattutto la famiglia Martini, alle cui sorti Pietro pare essere particolarmente legato: Viola, “candore e sensualità”, una fragilità nascosta dietro a un’ostentata frivolezza, la piccola Sara, col suo frullare di dita, e Luca, oncologo pediatrico, tormentato da pensieri inespressi, prigioniero della propria integrità e delle cose non dette.

La libertà viaggia in treno: quando viaggiare è qualcosa di più

La libertà viaggia in treno
di Federico Pace
Laterza, 2016

pp. 196
€ 15

Li odiamo quando ci portano tutti i giorni a fare la spola tra dove viviamo e dove lavoriamo. Sono spesso in ritardo, sovraffollati, troppo caldi o troppo freddi. Ma quando ci portano altrove, e possiamo abbandonarci al solo pensiero del viaggio, senza fretta e frenesia, allora rivelano tutto il loro fascino di mezzo di trasporto antico. I treni: macinano chilometri, avanti e indietro tra le stazioni di tutto il mondo. Anche i fratelli Lumière, alla fine dell’Ottocento, quando facevano le prove con quel potente strumento che era il Cinema, non furono immuni alla magia del treno, e lo ripresero in tutta la sua potenza all’arrivo in una stazione francese. Veloce e turbolento, ha da sempre ispirato, impaurito, attirato persone comuni e artisti.

#CriticARTe - Caravaggio? Andiamolo a vedere: in Italia, innanzitutto

Caravaggio.
L’artista in Italia
di Raoul Melotto
Odoya, 2016

pp. 279
euro 20,00

Pochi artisti, magari con un'esistenza altrettanto "maledetta", possono vantare un seguito di critica e di pubblico imperituro come Caravaggio (al secolo Michelangelo Merisi). Sono davvero happy few quelli abilitati a competere quanto a studi, mostre, trasposizioni documentarie, cinematografiche e televisive. Per non parlare, poi, degli effetti più importanti a livello strettamente artistico (quale, per esempio, l’influenza di uno stile reputato da imitare pur essendo inimitabile) o agiografico-mitologico (nel momento in cui l’esistenza stessa dell’uomo-pittore diventa leggenda e le opere in sé assumono il valore dell’icona, consegnate parimenti all’immaginario collettivo e… al merchandising). Dunque, a che pro un ennesimo libro su Caravaggio? A che scopo un’ulteriore pubblicazione su un personaggio tra i più familiari ben oltre la cerchia degli addetti ai lavori, conosciutissimo anche agli “ignoti dell’arte” grazie a un sex appeal trasversale pari forse a quello di Ernesto Guevara sulle t-shirt di un’infinità di adolescenti alle prese con l’idea di rivoluzione? Il perché è presto detto: al di là di ogni discorso ulteriore e parallelo (e finanche, appunto, parodistico), Caravaggio, gloria del Cinquecento-Seicento italiano osannata in tutto il mondo, non aspetta altro che di parlare direttamente attraverso i suoi lavori. Questo lombardo così notorius, dalla biografia troppo ingombrante perché non se ne possa fare menzione, non chiede altro che di essere visitato e ammirato nelle sedi della sua esposizione permanente, molte delle quali si trovano già sul territorio nazionale del Bel Paese. Caravaggio. L’artista in Italia, la guida di viaggio redatta da Raoul Melotto, vuole aiutarci proprio a fare questo: ci invita, in modo esplicito e inequivocabile, a ritrovarci al cospetto di tele capitali per la storia dell’arte occidentale, quelle che musei, chiese, gallerie e collezioni custodiscono, per i residenti più fortunati e non solo, a poche fermate di treno, di tram o addirittura a pochi passi da casa.

L'eleganza dell'alligatore




In viaggio con Albert – Storia semiseria di un uomo, una donna e il loro alligatore

di Homer Hickam
Harper Collins, 2016


pp. 331
€ 16




Se stai per leggere un romanzo che ha per protagonista un alligatore, se stai per immergerti in una storia che ruota attorno a questo animale, non puoi non pensare Il più felice dei miliardari, film Disney del 1967.
E sì, ad un’attenta lettura quelli erano coccodrilli, la trama è differente e così anche tante altre divergenze che forse rendono incomparabili le storie. Eppure quanta familiarità nel vedere disegnato un animale a sangue freddo come un amico, un compagno con cui condividere la quotidianità.
Poi ricordi qualche cartone animato, Swamplandia (se hai avuto la fortuna di leggerlo), e questa specie di dinosauro arrivato sino a noi acquisisce le forme di un’inconscia icona contemporanea.

Maestra: il disturbante thriller erotico di Lisa Hilton

Maestra
di Lisa Hilton
Longanesi, 2016

Traduzione di Giorgio Testa

pp. 398
euro 16,90 (cartaceo)


È proprio vero: le brave ragazze vanno in paradiso, ma le cattive ragazze dappertutto … E la protagonista di Maestra, il thriller più hot dell’estate pubblicato in Italia da Longanesi, è senza dubbio una cattiva ragazza, che si muove disinvolta da un luogo all’altro, tra Londra, Costa Azzurra ed Italia, lussuosissimi yacht, griffe e locali alla moda. Primo libro di una trilogia già annunciata – perché, quanto pare, praticamente ogni romanzo oggi deve essere almeno una trilogia – Maestra racconta una storia disturbante, priva di eroi dalla morale rassicurante, con una trama piuttosto ricca retta da una prosa sorprendentemente raffinata, piena di rimandi e citazioni. E di sesso, sì. Forse un giorno la smetteremo di paragonare ogni libro in cui l’eros ha un ruolo di primo piano con la serie delle Cinquanta sfumature, perché nel caso del romanzo della Hilton l’accostamento è decisamente poco pertinente: in Maestra le perversioni – sessuali e non – sono tutte della protagonista femminile, Judith Rashleigh, che piega il mondo e gli uomini a suo piacimento, non ha nulla dell’eroina fragile ed ingenua della trilogia di E. L. James né alcuna indole da crocerossina; non è una Cenerentola armata di frustino pronta a redimere un principe azzurro dagli appetiti stravaganti, ma una dark lady, spietata, bellissima, intelligente e determinata, che sa esattamente quello che vuole ed è disposta a tutto pur di ottenerlo. E il sesso, pur presente in abbondanza e decisamente sopra le righe, non è l’elemento principale - e, forse, nemmeno il più riuscito, in fondo - del romanzo che, anzi, stordisce per il turbinio di temi e spunti presenti. È questa, probabilmente, la principale debolezza di Maestra: c’è troppo, di tutto, come se l’autrice non fosse riuscita ad arginare parole e storia e le abbia rigettate sulla pagina così immediate come le sono apparse. Bastava meno per fare un buon libro, ma forse è proprio con questa sovrabbondanza – e sì, il sesso, naturalmente – che si costruisce invece un bestseller annunciato. Una storia comunque intrigante, che ha il pregio tra l’altro di essere perfettamente godibile come libro compiuto indipendentemente dai sequel annunciati, non privo di difetti ma allo stesso tempo capace di insinuarsi sotto pelle, mettere in dubbio le proprie certezze, destabilizzare. Ed è proprio questo, personalmente, che più ho apprezzato di Maestra e di storie simili: gli aspetti disturbanti, la capacità di uscire da schemi e preconcetti per rivelare le profondità – anche quelle più oscure – di personaggi che non hanno nulla dell’eroe, ma sono uomini e donne di carne e sangue, imperfetti, ai limiti – delle regole, della morale generalmente accettata – , feriti e spezzati. 

La ragazza nel parco: i sentimenti offuscano completamente la nostra capacità di giudizio?

La ragazza nel parco
di Alafair Burke
Piemme, 2016

Traduzione di Sara Marcolini
pp. 316
18,50 euro


Alafair Burke è una scrittrice americana di crime novel che costituiscono un ottimo esempio del genere letterario. È anche una professoressa di Legge alla Hofstra University di New York, un commentatore legale, nonché la figlia del celebre giallista americano James Lee Burke e di sua moglie, Pearl.
È stato proprio pensando ad Alafair Robicheaux, la sua omonima eroina in tanti libri del padre, che mi sono avvicinata al suo ultimo, grande successo La ragazza nel parco (titolo originale: The ex).
Alafair Robicheaux è una giovane donna, figlia adottiva del detective Dave Robicheaux; ha studiato Legge (proprio come la Burke); è una scrittrice di talento (altro parallelismo) e ha un carattere risoluto e indipendente. È sagace, saggia, amante della verità e della giustizia.
Un personaggio femminile, insomma, affascinante.

#CritiComics - Perché i porci non hanno dismesso (ancora) le ali

Porci con le ali - Diario sessuo-politico di due adolescenti
di ROCCO E ANTONIA
(Marco Lombardo Radice e Lidia Ravera)

Sceneggiatura: Manfredi Giffone
Disegni: Fabrizio Longo e Alessandro Parodi

Bompiani, 2016
Pp. 160,
16,90€

Rocco e Antonia. Gli anni Settanta. Due ragazzi della sinistra studentesca. La scoperta della vita, il sapore della ribellione, il racconto delle loro emozioni in presa diretta. L’iniziazione al sesso, la ricerca dell’amore, il dolore, la solitudine, la fantasia, la lotta politica: tutto si intreccia nelle loro riflessioni, tessute con naturalezza e la forza della sincerità. Porci con le ali è tutto questo.

#LectorInFabula - La scrittura salvifica di Silvana De Mari

L'ultima stella a destra della luna
di Silvana De Mari Salani, 2000

pp. 104 
€ 7,80






L'individuo 4/6**5 non ha un nome, solo un codice identificativo. L'individuo 4/6**5 vive nelle paludi con la mamma, i fratellini e il nonno, mentre il papà lavora nelle miniere e torna a casa solo una volta l’anno, nella giornata del TuttoVaBene. L'individuo 4/6**5 è un bambino Yukon in una società in cui la classe dominante è quella dei pallidi Amir, che hanno steso un dettagliato statuto, la Legge dell’Ordine, in cui sanciscono i diritti (propri) e i doveri (altrui). Tutto questo giunge a conoscenza del lettore grazie a una serie di sconclusionati e sgrammaticati temini che il piccolo protagonista scrive per la scuola, corretto implacabilmente dalla maestra Star-One. 

Qualsiasi cosa, pur di raccontare i sentimenti

Molto forte, incredibilmente vicino
di Jonathan Safran Foer
Guanda Tascabili, 2016

1^ edizione: 2005

Traduzione di Massimo Bocchiola
pp. 351
€ 12


Quanti modi ci sono per raccontare il ricordo e l'amore di un figlio verso un padre? Di sicuro Jonathan Safran Foer non si risparmia: muta i caratteri, inserisce fotografie, piega il dettato della prosa alla necessità di raccontare. E i fatti che deve portare alla luce sono densi di significato, densi di lacrime irrisolte: il piccolo Oskar Schell, che non ha ancora nove anni, deve affrontare la morte del padre nel dramma delle Torri Gemelle. Di lui, gli restano cinque messaggi in segreteria telefonica, tutte le storie che usava raccontargli, l'abitudine di correggere articoli del quotidiano con la penna rossa, e una smodata curiosità, mai pienamente colmata. Oskar fa domande mai scontate, ama studiare il lessico e inventare cose; anzi, cerca di sedare il dolore per il lutto inventando continuamente possibili automobili biodegradabili, aquiloni speciali e tutto ciò che tiene lontano le lacrime. Addirittura scrive a Stephen Hawking, per diventare un suo allievo, e non si risparmia per cercare la verità. Anzi, la verità ossessiona Oskar, dopo che un vaso nel ripostiglio di casa rivela una chiave segreta e un nome: Black. 

#CritiComics - "Alle montagne della follia": Giovanni Masi e Federico Rossi Edrighi riscrivono Lovecraft

Roberto Recchioni presenta: I Maestri dell'Orrore
Alle montagne della follia
di Giovanni Masi e Federico Rossi Edrighi
Star Comics, 2015

pp. 111
€ 15.00

Nonostante ogni anno illustratori, disegnatori e fumettisti si cimentino con adattamenti dei suoi racconti, non si fa altro che ripetere quanto sia difficile tradurre in disegni le creature e le atmosfere di Lovecraft. Eppure lo scrittore di Providence è uno dei pochi autori a portare con sé un universo visivo ben preciso, che con gli anni ha preso forma in maniera simbiotica convogliando in un unico universo influenze che partono dalle copertine di Weird Tales firmate da Lee Brown Coye, dalle stampe di Doré, dagli artwork di The Call of Chtulu, per passare dal cinema di Carpenter agli sci-fi degli anni Cinquanta e molto altro. Fumettisti come Ian Culbard (autore di numerosi adattamenti) e Jacen Burrows (illustratore ufficiale della produzione lovecraftiana di Alan Moore) pur arrivando a due risultati molto diversi tra loro, partono dal medesimo retroterra che poi adattano alle rispettive sensibilità. Cosa che fa gran parte degli autori che si cimenta con adattamenti delle opere di Lovecraft con la conseguenza che - a meno di essere dei fuoriclasse - si arrivi ad annoiare facilmente il lettore esperto che si ritroverà davanti l'ennesima versione (solo leggermente diversa) dello stesso mondo. 

Belgravia: segreti e scandali nella Londra del 1840

Belgravia
di Julian Fellowes
Neri Pozza, giugno 2016

Traduzione di Simona Fefè

pp. 414
€ 18 (cartaceo)



Il passato, ci viene ripetuto spesso, è una terra straniera, in cui le cose si facevano diversamente. [...] Ma esistono anche analogie. L’ambizione, l’invidia, la rabbia, l’avidità, la cortesia, l’altruismo e, soprattutto, l’amore muovono da sempre le scelte umane. Questa è la storia di alcune persone vissute due secoli fa, ma buona parte dei loro desideri, dei loro risentimenti e delle passioni che albergavano in petto non sono dissimili dai drammi che oggi mettiamo in atto secondo i nostri costumi...
Un passato che Julian Fellowes – acclamato creatore di Downton Abbey, sceneggiatore premio Oscar e autore di alcuni romanzi apprezzati da critica e pubblico – ancora una volta rievoca in maniera impeccabile, tornando in questo romanzo alla dimensione narrativa a lui più congeniale: il confronto generazionale e di classe, il ritratto di uomini e donne ai lati opposti della scala sociale e le passioni che guidano le loro vite, segreti, intrighi, gelosie ed amori, nella Londra vittoriana dell’elegante quartiere di Belgravia. Un viaggio in una realtà che Fellowes, esperto storyteller, mette in scena grazie ad una storia ricca di personaggi e ad una trama intrigante, retta dalla prosa sempre scorrevole ed elegante nel tentativo di rileggere il romanzo d’appendice – nato nella prima metà dell’Ottocento e presto divenuto genere molto popolare cui hanno contribuito anche autori protagonisti della stagione vittoriana – in chiave attuale. Uscito a fine giugno in contemporanea mondiale come romanzo compiuto, Belgravia è stato infatti pensato quale equivalente moderno del genere sopracitato e, come il romanzo d’appendice, “pubblicato” a puntate a cadenza settimanale attraverso un’app creata appositamente, ad arricchire la storia di contenuti digitali extra. Ma, indipendentemente dalla forma scelta – cartacea o digitale – , il romanzo di Fellowes resta un’opera intrigante dal punto di vista letterario dalla trama ricca di colpi di scena qualche volta prevedibili, certo, ma pur sempre godibile, in cui non mancano anche spunti di riflessione e tematiche interessanti, insieme alla ricostruzione vivida di un’epoca e dei suoi costumi, di contrasti ed ambizioni, cifra caratteristica della produzione artistica di Fellowes. Intrighi, segreti, gelosie e tradimenti che scorrono pagina dopo pagina a comporre la trama catturano il lettore, ma sono la riflessione sociale, la ricostruzione storica, l’analisi dei caratteri e degli equilibri famigliari, insieme alla prosa attenta e scorrevole a conferire al romanzo di Fellowes il giusto grado di profondità letteraria, i cui pregi riescono a mettere in ombra alcuni difetti strutturali tra cui, per esempio la scarsa polifonia e una trama a tratti prevedibile. Una lettura, quindi, capace di conciliare riflessione ed intrattenimento, senza che un elemento guasti l’altro.

Napoli, L'altra madre di Andrej Longo

L'altra madre
di Andrej Longo
Adelphi, 2016

pp. 197
€ 17 (cartaceo)




L'altra madre: dal titolo mi aspettavo una storia diversa, una storia di gravidanze difficili, di maternità sofferte. Invece il testo di Andrej Longo, uscito nel per Adelphi qualche mese fa, parla di destini che si incrociano, come solo può accadere nelle storie della Vita.
La città di Napoli, in una tiepida primavera di qualche anno fa che potrebbe essere questa estate, accoglie le vicende di due (o meglio quattro) vite che scorrono parallele, ma destinate a unirsi.

#CriticaNera: Alessio Viola, "Fidati di me fratello"

Fidati di me fratello (una storia vera)
Di Alessio Viola
Aliberti Compagnia Editoriale, 2016
Collana The Outlaws

pagine 155


La famiglia, si sa, è il principale caposaldo della struttura sociale del nostro Paese, tanto radicato nel DNA degli italiani da diventarne una marca distintiva, al pari dei clan tribali.
Sede degli affetti più cari, delle radici più profonde e dei legami più indissolubili, soggetto scandagliato da cinema e letteratura, fenomeno esaminato scientificamente sotto gli aspetti sociali e psicologici, insomma la famiglia italica è tutto questo.

Fidati di me fratello è un libro sulla famiglia: una famiglia monolitica, nucleare, arroccata intorno al proprio capoclan, il figlio maggiore che ne ha preso la guida dopo la morte del padre, capetto della malavita barese ucciso per non aver rispettato le regole. Un capofamiglia giovane ma giudizioso e responsabile, perché non è che in un contesto gerarchizzato e ipernormato come la camorra uno possa permettersi di regolare i conti a proprio piacimento, così quell'ammazzatina il nostro capofamiglia la manda giù senza fare storie.
I vecchi del clan gli avevano spiegato che non c'erano vendette da fare; il fatto era che il vecchio aveva proprio sgarrato, si era fottuto un carico di registratori dal furto di un camion di un altro clan, e se lo era venduto tutto per i cazzi suoi. Neanche aveva avvisato gli amici.

L'Atlante di Elvira Seminara: un catalogo dialogato sui vestiti dell'anima


Atlante degli abiti smessi
di Elvira Seminara

Einaudi, 2015


Ci sono libri che si fanno leggere sempre, in ogni stagione, con ogni clima o temperatura, non ti appesantiscono e non ti alleggeriscono, come succede inevitabilmente con certi abiti. Devi solo avere il tempo per riconoscerli, dopo le prime pagine, e i primi sguardi. Un innamoramento che profuma di colpo di fulmine e poi resiste, ai giorni, alle ore rubate per non lasciare le parole in bilico, tra i fogli e il comodino. È successo con Atlante degli abiti smessi di Elvira Seminara. Ho sfogliato le prime pagine su un volo che mi riportava verso i miei affetti, e mentre attorno a me i passeggeri si perdevano nelle loro vite e nei loro discorsi, io piangevo. Un pianto che conteneva affetto, cura e dolcezza. Non è che ci fosse un motivo particolare per farlo, ma era l’atmosfera del dialogo tra una madre e sua figlia a rendermi caro e famigliare quel lessico e quell’inventario sentimentale che è il filo conduttore dell’intero romanzo.

Il retrogusto del pissing

Pioggia dorata – sei storie amare
di Elena Bibolotti
Editrice Giazira Scritture, 2015

pp. 196
14


La seconda prova erotica di Elena Bibolotti, parlo da un punto di vista letterario, ci mancherebbe, sfuma la sicurezza al limite dell’aggressivo della Justine 2.0 dell’esordio. Di quest’ultima parlò Marco Giorgerini su CriticaLetteraria (leggi la recensione). Justine pareva piegarsi dinanzi alle offese e umiliazioni del suo master, nel gioco sessuale era una pura e semplice submissive, ma oltre l’apparenza era una donna consapevole, una che la sapeva lunga su come funzionava il mondo, dal social al letto.
In “Pioggia dorata”, Bibolotti allarga lo sguardo, amplia il panorama e inevitabilmente fa entrare di prepotenza gli uomini. In sei storie che l’autrice stessa definisce amare. Capiremo perché. Intanto uno apre la copertina e trova la dedica, alquanto singolare, a David Cameron. Già, il primo ministro inglese che ha giocato tutta la sua credibilità politica con il recente referendum sulla permanenza della Gran Bretagna nell’Unione Europea. E che, ancora più recentemente è stato sostituito a Downing Street, guarda caso, da una donna. Sono sicuro che Elena Bibolotti dinanzi a questa circostanza ha sorriso soddisfatta. Perché per giudicare Cameron non doveva aspettare la brexit. Bastava e avanzata l’Audiovisual Media Services Regulations del 2014 che dettava norme stringenti sulla riproduzione di scene di sesso nei canali tradizionali e nel web. La pioggia dorata era tra quelle da censurare.

Il primo passo nel Mondo Circolare: "Il richiamo delle spade" di Joe Abercrombie

Il richiamo delle spade
di Joe Abercrombie
Gargoyle, 2013

Traduzione italiana di Benedetta Tavani

pp. 679
€ 19,00


Il richiamo delle spade è il capitolo iniziale della trilogia della Prima Legge, la prima incursione di Joe Abercrombie nel Mondo Circolare da lui creato. Un universo fantasy che si svela di libro in libro più interessante, tanto da costituire una lettura imperdibile per gli amanti del genere.

Tantissimi i personaggi di questa saga: si comincia con Logen, un sopravvissuto; ha visto morire i suoi amici e compagni uno ad uno, si è macchiato di azioni vergognose ed ora è stanco di tutte queste guerre, ma il sangue continua a mettersi sul suo cammino. Scampato ad un attacco dei terribili Testapiatta, ora è diretto a Sud verso un nuovo destino che lo attende. Sta accompagnando Bayaz, il Primo Mago, a reclamare il suo posto nel Consiglio Ristretto, causando sospetti e malumori nel governo dell'Unione. Nel frattempo, nelle Terre Arse ai confini di Gurkhul, Ferro Maljinn, ragazza spietata in cerca di vendetta contro l'Imperatore, si muove circospetta in compagnia del misterioso Yulmei, che pare avere poteri magici e un compito da affidarle: giungere incolume ad Adua per incontrare Bayaz; solo allora il suo destino potrà compiersi. Nella capitale il capitano Jezal si sta preparando ad un torneo, sfiancandosi in umilianti allenamenti impostigli dal suo superiore, un vero affronto per un nobile superbo. Sarà anche lui della partita, con esiti impensabili.

"Livelli di vita": dal volo aerostatico a una catabasi tra dolore e accettazione

Livelli di vita
di Julian Barnes
Einaudi, 2013

Traduzione di Susanna Basso
pp. 122
€ 10

Siamo creature destinate al piano orizzontale, a vivere coi piedi per terra, eppure - e perciò - aspiriamo a elevarci. Da spettatori terragni quali siamo, qualche volta ci è dato di raggiungere gli dèi. Alcuni di noi lo fanno attraverso l'arte, altri con la religione; nove su dieci, con l'amore. Ma se è vero che possiamo elevarci, allo stesso modo rischiamo di precipitare. Non sono molti gli atterraggi morbidi. [p. 38]
Volare è una delle massime aspirazioni dell'uomo, da sempre, e il volo aerostatico, con i suoi rischi estremi, ha rappresentato per molto tempo una delle rare possibilità di guardare il cielo con lentezza. A ogni partenza, una domanda: riuscirò ad atterrare? Ma aveva ogni volta la meglio l'idea di «libertà, sebbene una libertà soggetta al potere dei venti e delle condizioni atmosferiche» (p. 11), nonché il potere di «visitare los pazio di Dio e di colonizzarlo» (p. 15). Il colonnello Fred Burnaby sa bene cosa significhi questa stordente ed ebbra ricerca del volo, e dal 1882 incrementa i suoi viaggi, sperimentando atterraggi di fortuna oltre la Manica. Ma il volo più rischioso, quello che davvero gli fa mancare la terra sotto i piedi è l'incontro con Sarah Bernhardt, famosa attrice libertina, nota per i suoi tanti amanti ma realmente enigmatica per Burnaby.

Le solitarie (e le scrittrici) dimenticate

Le solitarie 
Giona #2, marzo 2016
A cura di Samuele Galassi
con racconti di Maria Messina, Ada Negri,
Paola Drigo, Eugenia Codronchi Argeli
pp. 298
€2,49 (ebook)
www.gionalibri.it


Giona, oltre a essere un profeta del Vecchio Testamento, è anche una rivista digitale italiana con tre numeri all’attivo. Una rivista-libro per la precisione, perché ogni numero di Giona è monografico, e raccoglie testi poco conosciuti di autori noti e meno noti. L’ultimo, pubblicato a marzo 2016, è una piccola perla di “frattaglie autoriali” – come la redazione stessa definisce i testi da loro scovati (www.gionalibri.it). Si intitola Le solitarie ed è dedicato ai racconti di quattro scrittrici italiane di primo Novecento: Maria Messina, Ada Negri, Paola Drigo ed Eugenia Codronchi Argeli.

Invito alla lettura - "Le menzogne della notte": la storia infinita di Gesualdo Bufalino


Nel luglio di 28 anni fa Gesualdo Bufalino vinceva il Premio Strega con il suo terzo romanzo, Le menzogne della notte (Bompiani, 1988). 
Dirò subito che questo per me è il più intenso tra i romanzi bufaliniani e l'incipit parla da sé:
Mangiarono pochissimo o niente. Le portate, sebbene più ricche dell'ordinario, per come s'era ingegnato di condirle un secondino volenteroso, avevano un sapore nemico, né v'era un boccone in gola che non diventasse una cenere. L'inappetenza, si sa, è d'obbligo nelle serate d'addio. 
La serata d'addio è l'ultima notte che un gruppo di condannati a morte trascorre in un'isola penitenziaria, una fortezza che ha le sembianze di uno scoglio, che probabilmente è nel Mediterraneo, ma potrebbe essere ovunque. Un canale la separa dal continente, le correnti del mare e i venti turbano gli animi dei prigionieri ormai irrimediabilmente separati dal mondo.

Nessuna comunicazione tra l'isola e il continente, il tempo è sospeso, sono cadute le differenza tra il giorno e la notte. Nelle prime pagine del romanzo l'autore ci porta a scoprire quest'isola dimenticata ("Quassù del Regno e del re nessuna notizia. Sanno solo dai picchi sui muri, come da tamburi lontani, che alla regina è nato un erede morte e che dunque morisse il re...")
Le voci dei prigionieri, anche loro come tamburi lontani, risuonano nelle celle cieche tra i muri umidi e lì vanno a morire. Mentre sognano la vita nel Regno, i prigionieri aspettano un tempo che sembra infinito contando i giorni e le ore che hanno ancora da vivere.
Chi ha letto Diceria dell'untore ritroverà in questo luogo i tratti del vecchio sanatorio di Palermo e nei prigionieri rivedrà i malati del primo romanzo. Anche qui la regia di un non luogo è in mano a un personaggio cinico e disperato, il Governatore Consalvo de Ritis, detto Sparafucile, che ha dei tratti in comune con il Gran Magro del romanzo del 1981.
Tutti i personaggi sono come naufraghi, rifiutati da un mondo che non li vuole più.

#CriticaNera: La vita segreta e la strana morte della signorina Milne

La vita segreta e la strana morte della signorina Milne
di Andrew Nicoll
Traduzione di M. Magrì
Sonzogno, 2016
pp. 351
17,50€
Basato su una storia vera, La vita segreta e la strana morte della signorina Milne racconta in forma romanzata un fatto di cronaca realmente avvenuto nel 1912 in un paesino della costa scozzese, Broughty Ferry, quando un'anziana signorina, Jean Milne, venne brutalmente uccisa nella sua villa. Basandosi su meticolose ricerche effettuate negli archivi della polizia e sui giornali dell'epoca, Andrew Nicoll ricostruisce gli avvenimenti nel modo più fedele possibile ma regalandoci una sua personale soluzione del caso che, nella realtà dei fatti, è rimasto irrisolto.
Broughty Ferry è il classico paesello di provincia nel quale la vita procede tranquilla e sempre uguale a se stessa, fino a quando non succede un fatto che scuote dal profondo la comunità intera: Jean Milne, matura zitella rispettabile anche se eccentrica, viene ritrovata orribilmente assassinata, con i piedi legati, la testa fracassata e numerose ferite sul corpo. Chi è l’autore di questo inaspettato gesto? Se lo chiedono il commissario capo Sempill e il sergente Fraser, il primo ad aver scoperto il corpo dopo essere stato avvisato dal postino, preoccupato perché da settimane la signorina Milne non ritirava la posta. La sua assenza questa volta risulta davvero strana, dal momento che per ogni (e frequente) suo viaggio lontano da casa aveva sempre cura di informare tutti, a cominciare dalla polizia alla quale lasciava le chiavi di casa prima di partire. Le indagini di polizia si fanno subito serrate e, per aiutare il commissario capo Sempill a far luce sul delitto, viene inviato da Glasgow a Broughty Ferry il luogotenente Trench, un investigatore arguto e brillante già responsabile della risoluzione di uno dei casi più chiacchierati degli ultimi anni e, per questo, investigatore adatto per una circostanza così misteriosa e delicata. 

Ai suoi e ai nostri piedi: la NIKE raccontata dal suo "vincitore"

L’arte della vittoria.
Autobiografia del fondatore della NIKE
di Phil Knight
Traduzione di Giuliana Lupi, Laura Tasso e Giovanni Zucca
Mondadori, 2016

pp. 398
euro 20,00


«“Che diavolo è uno swoosh?”
La risposta mi uscì da sola: è il rumore di qualcuno che ti supera».


Parrà quasi banale a dirsi, ma l’autobiografia di Phil Knight è un libro che si legge di corsa. Alla lettera. Non solo e non tanto perché l’autore di L’arte della vittoria è il fondatore e il patrono di uno dei più grandi marchi per le calzature e l’abbigliamento sportivo – la NIKE – che a partire dalla seconda metà degli anni Settanta ha legato il suo nome principalmente (ma non solo) alle discipline ginniche basate sullo sprint e sulla resistenza. Il motivo per cui le quasi quattrocento pagine scorrono emozionanti e veloci come una gara dei 100 metri olimpici è che sembrano essere state scritte allo stesso modo in cui è stato vissuto il loro contenuto: in un crescendo di accelerazione. L’effetto, stando così le cose, non può che essere trascinante.

Don Carpenter, "I venerdì da Enrico's"

I venerdì da Enrico's
(Fridays at Enrico's, 2014)
di Don Carpenter (a cura di Jonathan Lethem)
traduzione dall'inglese di Stefano Bortolussi
Frassinelli, 2015

pp. 372




Una volta qualcuno ha detto che la felicità è qualcosa di simile a un sottilissimo strato di cioccolato all'interno di una torta, di cui si avverte la presenza ma che è impossibile separare dal resto per gustarlo appieno (no, è inutile che cerchiate su Wikiquote, l'ha detto una mia compagna alle medie). Per quanto la felicità sia, proprio in senso ontologico, un costrutto soggettivo, è comunque qualcosa di cui non è dato disporre completamente, nonostante qualsiasi sforzo profuso in quella direzione.

Di insoddisfazioni, ambizioni naufragate, seconde occasioni e ricollocamenti esistenziali parla I venerdì da Enrico's, scritto da Don Carpenter nei primi anni Novanta, poco prima di morire suicida, e pubblicato negli Stati Uniti nel 2014 dopo l'affidamento del manoscritto a Jonathan Lethem che ha operato una revisione generale e ha elaborato il finale, come lui stesso spiega nell'interessante postfazione.
 
Il romanzo, ambientato nella costa occidentale degli Stati Uniti negli anni dal 1960 al 1975, segue le vicissitudini di alcuni scrittori (o aspiranti tali) impegnati nella loro personale pursuit of happiness, tra pubblicazioni rifiutate, gestione della routine quotidiana, progetti di scrittura del Grande Romanzo Americano naufragati in compromessi con la fagocitante industria dell'intrattenimento hollywoodiana.
Su questo mondo di belle speranze e grandi aspettative incombe il miraggio della scena beat di San Francisco, modello inarrivabile ma costantemente presente, riferimento sociale e culturale di rilievo assoluto, con i cui protagonisti principali è d'obbligo millantare frequentazioni e confidenza, infilando con nonchalance i nomi di Jack, Allen, Lawrence, Gregory in qualsiasi conversazione, come fossero parole magiche che all'istante stabiliscono una (presunta) appartenenza a quell'ambiente e consentono di apparire, in ambito intellettuale, un po' più intellettuale degli altri.

E poi, immancabile, compare quello che molti definiscono un elemento tristemente essenziale della letteratura americana, ovvero l'alcol, onnipresente, devastante e imprescindibile (c'è anche un bel po' di marijuana, d'altra parte siamo negli anni Sessanta), gemello siamese di quella thirsty muse di cui parla Tom Dardis - citato anche da Fernanda Pivano nel suo Viaggio Americano - che ha fatto strage del talento di moltissimi scrittori (e attori, e musicisti...) americani. Il bar che dà il titolo al libro, Enrico's, è a tutti gli effetti un simbolo, la sintesi di una sequela infinita di locali verso cui tutti, ma proprio tutti i protagonisti del romanzo, approdano. Ed è proprio dopo un iperalcolico "venerdì da Enrico" che Jaime, l'unica fra i personaggi che sia riuscita - inaspettatamente - a raggiungere il pieno successo come scrittrice, si rende conto, svegliandosi in un letto non suo in preda all'ennesimo hangover, di aver fallito nel compito di genitore, dovendo giustificare alla figlia quindicenne le continue trasgressioni, in un surreale e paradossale scambio di ruoli che la costringe a riflettere sulle proprie scelte di vita.

Un romanzo amaro e impietoso, un ritratto tristemente realistico della scena letteraria della West Coast. I venerdì da Enrico's è un capolavoro per la vivacità dei dialoghi, lo spessore dei personaggi e la capacità dell'autore di sondarne l'inconscio; Carpenter lascia un libro superlativo, coinvolgente, senza la minima traccia di banalità. È lo stesso Lethem, nella postfazione, a riconoscere quanto Carpenter fosse un maestro nel ricreare ambienti e situazioni (il carcere, gli Studios di Hollywood, le aule dei corsi serali per adulti). Tutto è essenziale, ruvido e diretto, drammaticamente reale, come a ricordarci che il mondo in cui viviamo non deve piacerci per forza.
E che lo strato di cioccolato, per quanto sottile sia, dobbiamo farcelo andare bene.

Stefano Crivelli

La scontrosa grazia di un romanzo breve

Tina
di Alessio Torino
Minimum Fax, 2016

pp. 141
€ 14 (cartaceo)



Tina vive tra gli ossimori: lei, ragazzina spesso scambiata per un maschio; sensibilissima verso il mondo e disumana contro le meduse; curiosa verso l'amore e intimorita dal piacere di stare vicino alla turista francese Parì. Tina può anche provare a schermarsi il viso con le mani, ma il sole accecante su Pantelleria continua a ferirle le retine con la verità: suo padre non c'è, se n'è andato con un'altra donna e a lei e a sua sorella Bea non resta che ritagliarsi qualche chiamata di nascosto dalla mamma.  
Paura di ferire e di rimanere ancor più ferite: sia Tina, scavezzacollo e vivace, sia Bea, scodinzolante come una velina, vivono la loro quasi-adolescenza a passi incerti, tra mosse false e passi indietro. Davanti a loro, l'impenetrabile mondo degli adulti: i gemiti di piacere che le ragazzine non sanno spiegarsi, ma che vogliono origliare; l'alcolismo del colto Charles, che ha fatto di Pantelleria il suo rifugio-tempio del dolore da abbandono; le stranezze di Andre, ristoratore arrivato sull'isola dopo una giovinezza travagliata. E anche la mamma, combattuta tra il dolore per il tradimento e la voglia di rivalsa e rinascita, è poco comprensibile per Tina e Bea. Eppure bisogna rapportarsi con tutto questo ogni giorno, e l'isola, con i suoi confini ben definiti, è al tempo stesso opportunità e limite, come la stessa Elsa Morante ci ha insegnato con L'isola di Arturo. Non si sfugge, Tina lo sa, ma sceglie di non rivelare il suo dolore, che si accumula e minaccia di tracimare via via che i giorni passano. 

Figli di una storia ingannevole

Gli ultimi ragazzi del secolo
di Alessandro Bertante
Giunti, 2016

pp. 215
€ 16


Stavolta mi trovo in difficoltà e sarà difficile restare imparziale. Perché sono anch’io, a questo punto, un ultimo ragazzo del secolo. D’altronde fra la mia nascita e quella di Alessandro Bertante corrono pochi giorni. L’identificazione con il protagonista del libro, Alessandro, è scattata subito. A rendere la cosa ancora più empatica, il mio viaggio, nel 1996, sempre come il protagonista, nella ex Jugoslavia. Magari c’è mancato poco che c’incontrassimo.

Spogliamoci per quanto possibile di autoreferenzialità e cominciamo con il titolo: chi sono questi ultimi ragazzi del secolo? Anagraficamente siamo… pardon sono quelli nati nella seconda metà degli anni Sessanta. Più verso i Settanta che verso il 1965. Nel 2000 questa generazione ha compiuto 31, 32, 33 anni, era già dentro la cosiddetta maturità. Chi è nato, ad esempio, nel 1977 di anni nel 2000 ne aveva 23: doveva consumare nel nuovo millennio un pezzo di gioventù. Noi, l’abbiamo esaurita nel Novecento. Gli ultimi a poterselo permettere. Con un particolare ulteriore: siamo cresciuti negli anni Ottanta.

Alessandro Bertante dà una lettura di quel famoso decennio da bere. La trama del romanzo si articola su vari binari. Di tempo e di luogo. Il tempo è sdoppiato perché seguiamo il protagonista sia durante la sua crescita nella «Milano metropoli degli anni Ottanta» sia nel corso di un viaggio tra Croazia e Bosnia-Erzegovina con tappe obbligate a Mostar e, soprattutto, a Sarajevo. La forbice dello spazio come avrete già colto, si allarga invece tra il capoluogo lombardo e la città simbolo della guerra nei Balcani.

Il presente (e il futuro) della poesia secondo Luca Vaglio: Cercando la poesia perduta

Cercando la poesia perduta
di Luca Vaglio
Marco Saya edizioni
2016

pp. 40
€ 10 [cartaceo]



L'agile ma interessante volumetto di Luca Vaglio, Cercando la poesia perduta, edito per le edizioni Marco Saya, è scandito in due tempi: l'articolo-indagine La poesia al tempo di internet, già apparso online su Gli Stati Generali e su Nazione Indiana, che intende "alimentare una riflessione sulla posizione attuale della scrittura poetica"; e l'intervista a Paolo Giovannetti, docente di letteratura italiana allo Iulm di Milano, incentrata sulle mutazioni profonde e radicali nella metrica italiana dall'inizio del secolo scorso ai nostri giorni, Dalla rivoluzione del verso libero alla poesia concettuale, anch'essa pubblicata precedentemente sul web nel marzo 2016. 
Una precisazione però è d'obbligo: la poesia che nel titolo è oggetto di ricerca non è quell'alta espressione dell'ingegno umano che ha accompagnato le civiltà nel corso dei millenni e che, complice qualche retaggio romantico ormai ampiamente metabolizzato, è di solito associata alla sfera della creatività linguistica, della bellezza, dell'ispirazione; bensì è da intendere, nel caso in questione, come genere letterario codificato e, in quanto tale, dotato di un'apposita collocazione negli scaffali - piuttosto ristretti - delle nostre librerie. L'indagine di Vaglio, dunque, si muove apertamente sul versante sociologico della contemporaneità letteraria, privilegiando un approccio euristico, sempre suffragato da una buona quantità di dati e interpretazioni, alla materia in questione.

Il Salotto - Mirko Zilahy: Dal dolore più grande è nato il mio libro

Dopo aver recensito il suo primo romanzo, È così che si uccide (qui la recensione), uscito a gennaio per Longanesi, abbiamo intervistato Mirko Zilahy, scoprendo come è nata la voglia di dedicarsi alla scrittura, cosa ha ispirato il personaggio del commissario Enrico Mancini, e di come, dal dolore, possano nascere anche cose belle, come un libro.

Caro Mirko, innanzitutto la più classica delle domande: come è nata l’idea di scrivere È così che si uccide?

M - Avevo voglia di mettermi alla prova. Dopo aver tradotto, scritto recensioni, saggi di critica accademica (soprattutto su Giorgio Manganelli) e fatto l’editor, mi restava la scrittura cosiddetta creativa. Un romanzo. La voglia di un gioco e la necessità di usare in maniera costruttiva un dolore che non riuscivo a dominare hanno fatto il resto.

Il professore: il romanzo più realista di Charlotte Brontë

Il professore
di Charlotte Brontê
Fazi editore, 2016

Traduzione di Martina Rinaldi

pp. 304
euro 18


Quando nel 1857, a due anni dalla scomparsa dell’autrice, viene finalmente pubblicato Il professore, il mito di Charlotte Brontë è ormai consolidato, legato per sempre alle eroine dei suoi romanzi più celebri e all’immagine di sé stessa che ha scelto di mostrare in pubblico. Una maschera, non sempre corrispondente all’io più vero che invece sembra mostrarsi più reale tra le pagine, nello spirito anticonformista di personaggi femminili che a distanza di due secoli non smettono di affascinare. L’incanto della scrittura di Charlotte Brontë e l’attenta costruzione psicologica dei personaggi, trovano nelle figure femminili dei romanzi della maturità il punto di arrivo del percorso letterario dell’autrice inglese, modelli di una femminilità nuova in procinto di rompere con i tradizionali codici vittoriani, anche solo per un attimo fugace. Donne appassionate, indipendenti, spesso forti del solo vantaggio dato dall’istruzione e dalla necessità di badare a sé stesse, sensibili ai richiami di cuore e corpo, anticipatrici per certi aspetti dei nuovi modelli femminili che caratterizzeranno la fin de siècle inglese, con la New Woman icona culturale e letteraria del periodo.
Perfettamente a proprio agio nell’esplorare la psicologia femminile e le contraddizioni del tempo, sorprende che in questo primo romanzo dell’età adulta Charlotte Brontë scelga invece di porre al centro della storia un protagonista maschile, nel racconto in prima persona per voce di William Crimsworth. Ed è questa la principale debolezza del romanzo, il primo – si diceva – scritto dalla Brontë nel 1846, più volte rifiutato dagli editori che non ne apprezzavano il crudo realismo, e in italiano ripubblicato nei mesi scorsi da Fazi editore in occasione del bicentenario della nascita della sua autrice. Un testo fondamentale, quindi, per comprendere l’evoluzione letteraria della Brontë, ma anche per riflettere – sulla scia dei rifiuti ricevuti dagli editori del tempo – sul panorama editoriale vittoriano alla metà del secolo che imponeva ai propri autori altri modelli letterari capaci di attirare il favore del pubblico, forte ancora delle tendenze gotiche e romantiche.
Il mio racconto non è esaltante e, soprattutto, non è straordinario; ma potrebbe interessare alcune persone che, avendo conosciuto le fatiche della mia stessa vocazione, troveranno nella mia esperienza molti riflessi della loro

"L'enigma dei ghiacci" di Maurizio Maggi

L'enigma dei ghiacci
di Maurizio Maggi
Longanesi, maggio 2016

pp. 384
€ 16.40


Antartide, nell'immaginario comune, significa distese di ghiaccio, candore abbacinante a cui l'occhio fatica ad abituarsi, condizioni climatiche estreme, sconfinati silenzi. Un luogo tanto affascinante quanto inospitale, simile a un altro pianeta e in cui ci si deve muovere protetti da pesanti tute in grado di monitorare le condizioni corporee di chi le indossa, dove non è possibile uscire a volto scoperto e la completa assenza di ombre e discontinuità cromatiche innesca l'effetto white-out, la temporanea incapacità di percepire la profondità dello spazio.
Non è un caso che Maurizio Maggi scelga come cuore pulsante della sua storia, sospesa tra thriller e avventura, il paesaggio gelido e mozzafiato del Polo Sud. Si tratta infatti di un'ambientazione perfetta, capace di evocare contemporaneamente fascinazione e terrore. C'è di più, l'atmosfera sospesa e solitaria ben riflette il paesaggio emotivo dei protagonisti di quest'opera: Amanda Martin, impegnata in un'impresa sportiva sponsorizzata dalla Nasa, che prevede la copertura di duemila chilometri a piedi; Gabriel, ex-militare, ex agente FBI e abilissimo mercenario; il paleoclimatologo Mikhail Rebko, che a Base Vostok vive e lavora da ormai trent'anni. La cifra che ne unisce i destini non è data solo dagli intrighi che hanno come nodo cruciale il misterioso Lago Vostok, un ambiente primordiale coperto da uno strato di ghiaccio di quasi quattromila metri di spessore, ricco di gas naturali e, forse, di forme di vita sconosciute; sono molte le ombre che si muovono nel loro passato, il ventoso  plateau antartico appare come l'inevitabile materializzazione di una spessa solitudine che, per ragioni differenti, pervade le loro esistenze, le traiettorie su cui si muovono si sovrappongono nella fuga da dolorosi trascorsi.

#CritiComics - Il Dracula di Michele Monteleone e Fabrizio des Dorides

Roberto Recchioni presenta: I Maestri dell'Orrore
Dracula
di Michele Monteleone e Fabrizio des Dorides
Star Comics, 2015

pp. 111
€ 15.00 

Il Dracula di Bram Stoker non è altro che un memorandum messo insieme dai coniugi Harker sette anni dopo le vicende che li hanno coinvolti. Una cronistoria ricostruita dai diari dei protagonisti, dalle lettere e da altri contributi scritti (articoli di giornali, memorandum medici) che non è solo una complessa e perfetta architettura narrativa per rendere più vero e quindi spaventoso il racconto, ma è la struttura portante su cui Stoker poggia la sua idea di terrore.

Pur essendo la narrazione tutta al presente, non c'è mai in Dracula la sensazione che le cose stiano accadendo nel momento in cui le leggiamo. Perché se il tempo verbale degli scritti ci avvicina ai fatti, la struttura testimoniale del racconto ci allontana da essi, non solo a causa del lasso di tempo della scrittura, ma anche in quello che riguarda la riunione delle carte per arrivare al risultato finale. Dalle vicende che ci vengono raccontate quindi, noi lettori siamo distanti sette anni e di conseguenza siamo inermi nei confronti degli orrori che ci accadono sotto gli occhi. L'orrore di Dracula sembra nascere proprio da lì, da una narrazione che avvicina continuamente il lettore ma lo respinge rendendolo inutile alle vicende narrate, eliminando in lui la sensazione che ciò che accade sulle pagine possa andare in qualche altra maniera. Il Dracula di Bram Stoker è una cronaca e il lettore è l'esclusivo spettatore di questi orrori su cui non può avere controllo in alcun modo.