Maestra: il disturbante thriller erotico di Lisa Hilton

Maestra
di Lisa Hilton
Longanesi, 2016

Traduzione di Giorgio Testa

pp. 398
euro 16,90 (cartaceo)


È proprio vero: le brave ragazze vanno in paradiso, ma le cattive ragazze dappertutto … E la protagonista di Maestra, il thriller più hot dell’estate pubblicato in Italia da Longanesi, è senza dubbio una cattiva ragazza, che si muove disinvolta da un luogo all’altro, tra Londra, Costa Azzurra ed Italia, lussuosissimi yacht, griffe e locali alla moda. Primo libro di una trilogia già annunciata – perché, quanto pare, praticamente ogni romanzo oggi deve essere almeno una trilogia – Maestra racconta una storia disturbante, priva di eroi dalla morale rassicurante, con una trama piuttosto ricca retta da una prosa sorprendentemente raffinata, piena di rimandi e citazioni. E di sesso, sì. Forse un giorno la smetteremo di paragonare ogni libro in cui l’eros ha un ruolo di primo piano con la serie delle Cinquanta sfumature, perché nel caso del romanzo della Hilton l’accostamento è decisamente poco pertinente: in Maestra le perversioni – sessuali e non – sono tutte della protagonista femminile, Judith Rashleigh, che piega il mondo e gli uomini a suo piacimento, non ha nulla dell’eroina fragile ed ingenua della trilogia di E. L. James né alcuna indole da crocerossina; non è una Cenerentola armata di frustino pronta a redimere un principe azzurro dagli appetiti stravaganti, ma una dark lady, spietata, bellissima, intelligente e determinata, che sa esattamente quello che vuole ed è disposta a tutto pur di ottenerlo. E il sesso, pur presente in abbondanza e decisamente sopra le righe, non è l’elemento principale - e, forse, nemmeno il più riuscito, in fondo - del romanzo che, anzi, stordisce per il turbinio di temi e spunti presenti. È questa, probabilmente, la principale debolezza di Maestra: c’è troppo, di tutto, come se l’autrice non fosse riuscita ad arginare parole e storia e le abbia rigettate sulla pagina così immediate come le sono apparse. Bastava meno per fare un buon libro, ma forse è proprio con questa sovrabbondanza – e sì, il sesso, naturalmente – che si costruisce invece un bestseller annunciato. Una storia comunque intrigante, che ha il pregio tra l’altro di essere perfettamente godibile come libro compiuto indipendentemente dai sequel annunciati, non privo di difetti ma allo stesso tempo capace di insinuarsi sotto pelle, mettere in dubbio le proprie certezze, destabilizzare. Ed è proprio questo, personalmente, che più ho apprezzato di Maestra e di storie simili: gli aspetti disturbanti, la capacità di uscire da schemi e preconcetti per rivelare le profondità – anche quelle più oscure – di personaggi che non hanno nulla dell’eroe, ma sono uomini e donne di carne e sangue, imperfetti, ai limiti – delle regole, della morale generalmente accettata – , feriti e spezzati. 
Judith, protagonista e voce narrante della storia, è tra i personaggi femminili più oscuri della narrativa recente. Qualcosa di lei mi ha ricordato Amy de L’amore bugiardo, il coinvolgente thriller di Gillian Flynn: due donne spietate, bellissime e intelligenti, dalla morale distorta, con cui è impossibile provare empatia e le cui follie non possono essere giustificate in alcun modo, ma che nonostante un’oscurità tanto profonda affascinano il lettore, scuotendone certezze e punto di vista. In entrambe, la crudeltà difficilmente riesce a trovare giustificazione agli occhi del lettore: non bastano i – presupposti – traumi del passato, le delusioni e la fiducia tradita, ad alleviare la tensione e avvicinarci un po’ di più a comprenderne la psicologia disturbata delle protagoniste, né ci aspettiamo redenzione per loro, scivolate troppo a fondo nell’oscurità da cui sono dominate. Rabbia e vendetta sono i sentimenti che guidano le azioni di Judith ed Amy: la prima, costretta a scontrarsi con un ambiente – il mondo dell’arte e delle case d’asta – di cui resta sempre ai margini, tiranneggiata da uomini senza scrupoli e disonesti e decisa quindi a prendersi la propria rivincita in una scalata sociale inarrestabile; l’altra, glaciale e determinata, svela i lati più oscuri e distorti di un matrimonio all’apparenza come tanti, e il sottostrato di menzogne e meschinità che invece nasconde.
Donne simili, per due romanzi tuttavia ben distinti, quello di Flynn concentrato su un un’unica tematica scandagliata sapientemente e dalla scrittura scarna, diretta, distaccata come la sua protagonista; abbondante – si diceva – di spunti, rimandi, citazioni, luoghi e descrizioni, in una rete di temi in cui è difficile districarsi, il thriller di Hilton. Perché è una storia che ne contiene al suo interno mille altre e trascina il lettore in un vortice di caos, violenza e sesso: Judith è un personaggio estremo, dalla psicologia contorta e in apparenza priva di scrupoli e morale, danneggiata, mi sembra il termine più adatto per descriverla. Ma da che cosa, è difficile dirlo. Gli accenni ad un’infanzia non proprio facile, alle angherie che è costretta a subire passivamente, non bastano a giustificare la direzione che prende la sua vita e il sentimento che, improvvisamente, ne domina da lì in avanti le scelte.
Potevo piangere, pensai. Potevo premere il naso su quel muro ruvido di mattoni e piangere per tutto ciò che non avevo, per tutte le ingiustizie, per la stanchezza. Potevo piangere per la frustrazione infinita e il rancore, potevo piangere perché ero una perdente costretta alle più schifose umiliazioni. […] Meglio odiare. Odiare significa mantenere lucidità, ritmo e sangue freddo. Odiare significa essere condannati alla solitudine. E se devi trasformarti in una persona nuova, la solitudine è un ottimo punto di partenza
Una rabbia, latente, l’ebbrezza di sentirsi potente, capace di qualsiasi cosa. Inutile, a mio parere, cercare nel testo le ragioni, il momento, in cui l’equilibrio si è spezzato per sempre e l’oscurità dentro di lei ha preso il sopravvento; inutile, anche, cercare una giustificazione, una logica, nelle azioni di Judith quando nemmeno lei, in fondo, riesce a fornire una spiegazione adeguata:
“E allora cosa?” chiese nuovamente.
Perché potevo farlo, semplicemente per questo. Perché dovevo capire se ne ero capace. Perché deve esserci sempre una logica nelle cose?
Foto di © DeboraLambruschini
Forse in questo caso non c’è e la tensione in crescendo inchioda il lettore con il carico di domande che resteranno senza rassicuranti risposte, i cattivi impuniti, i buoni assenti o solo insignificanti comparse sullo sfondo. Ne emerge il ritratto di un’umanità sofferente, corrotta da denaro e potere e dalla brama di conquistarne sempre più, alla ricerca continua di esperienze sempre più al limite, tra affari loschi e giochi pericolosi immersi in atmosfere decadenti.
La ricchezza ti si insinua sotto pelle, come un veleno. Ti cambia la postura, i gesti, il modo in cui ti presenti.
Non c’è spazio per il sentimento, per la compassione, per l’empatia. E questo, ancora una volta, destabilizza il lettore, che perde ogni appiglio sicuro, travolto da una storia senza santi né eroi. 

L’arte è la sola forma di luminosa bellezza concessa in questo romanzo, che in qualche modo resiste, nonostante tutto. è il ricordo di una passione improvvisa e totalizzante, è brama di possedere, di comprendere i sentimenti e le storie che hanno guidato le mani esperte dell’artista, la vita impressa sulla tela. 
Mi sentii come se fossi inciampata e caduta in un buco, un’emozione improvvisa che mi troncò il respiro e che scollegò momentaneamente il cervello dal corpo. C’erano la dea, il suo bambino e il misterioso vecchio alle loro spalle. Non sapevo chi fossero i personaggi rappresentati, ma mi resi conto che non avevo mai conosciuto il sentimento della mancanza fino al momento in cui posai gli occhi su quei delicati colori che risplendevano e si intrecciavano. E poi conobbi anche il desiderio: la sensazione di sapere ciò che volevo e non avevo. Detestavo provare quell’emozione. Detestavo il fatto che tutto ciò che avevo conosciuto fino a quel momento improvvisamente mi apparisse brutto e che la fonte di quel sentimento mi scintillasse davanti agli occhi in quel dipinto.
Il desiderio, che corrompe: di fronte a porte chiuse e ambienti inaccessibili, Judith reagisce nell’unico modo che conosce, assecondando la propria natura, in una scalata inarrestabile in cui nulla sembra essere lasciato al caso e tutto è concesso, la bellezza usata come un’arma per arrivare sempre più in alto. Fredda lucidità, calcolo, contrastano con l’inclinazione al piacere, vissuto ancora una volta senza regole, spregiudicata e avida.
È un personaggio femminile decisamente anticonvenzionale, una dark lady spietata, che infrange tabù sfidando regole e morale. E nell’odio che riesce a suscitare nel lettore, c’è in fondo qualcosa di liberatorio: la consapevolezza che solo al romanzo è concesso accompagnarci negli abissi più oscuri dell’animo umano senza rischiare di venirne travolti. Perché questo tempo, questo mondo, qualche volta ha bisogno anche di antieroi come Judith.