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Pregare per un orgasmo

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Ginger Man
(The Ginger Man)
di J.P. Donleavy
Neri Pozza, 2006 

1^ edizione: 1955

pp. 393


A questo punto vale la pena chiedersi, riscoprendo questo classico che ha conosciuto una vita molto travagliata fin dalla sua uscita, con strascichi legali tra l’autore e l’editore francese che coraggiosamente lo aveva lanciato nel panorama letterario internazionale, perché sono i figli di puttana a farci sognare di più.
Vorrei fare un ragionamento che va al di là del romanzo che non è proprio originalissimo. Siamo vicini a Henry Miller, semmai interessante è l’ambientazione, cioè la Dublino del dopoguerra, fine anni Quaranta, provinciale e bigotta, dove perfino chiedere un preservativo in farmacia porta a una denuncia penale. La fatiscenza delle strade e dei palazzi richiama la Londra dell’Ottocento, quella di Oliver Twist, piuttosto che la città di James Joyce. Per non parlare della Dublino di oggi.
Sebastian Dangerfield è uno sbandato colossale che ha prestato servizio nei marines durante il conflitto e si ritrova studente di legge al Trinity Collage, sposato e padre di una bimba. È talmente infame che la moglie finisce per scrivere al suocero, lamentandosi ovviamente, e quest’ultimo non può che darle ragione rinnegando Sebastian. Il quale passa da una giornata da puttaniere a una giornata da ubriacone.
Per il libro non griderei al capolavoro però indubbiamente è una riproposta doverosa perché descrive un mondo remoto, il terzo mondo europeo potremmo dire, quell’isola che si era appena affrancata dal secolare colonialismo britannico, neanche tutta a dire il vero, e che stava per gettarsi nel grembo peggiore di santa romana chiesa, come stanno a dimostrare le cronache sulla pedofilia e i collegi femminili dove si recludevano le ragazze-madri colpevoli di peccato mortale. Vedi il bellissimo film di Stephen Frears “Philomena”. Ora, in un’Irlanda simile, arriva uno che si domanda: «ci è permesso pregare per un orgasmo?».

Con uno stile caratterizzato dal passaggio veloce quasi a ogni pagina dalla prima alla terza persona, Donleavy ci racconta con “Ginger Man” di un mascalzone che se ne infischia delle responsabilità, della coniuge e della figlia piccola, che raccatta soldi dove capita, scazzotta e seduce senza ritegno. Egoista, perditempo, oltraggioso, osceno, furfante. Sicuramente sto dimenticando qualche aggettivo, sempre di quelli poco edificanti.
Il problema, o il bello della letteratura, è che sono questi i personaggi che non si dimenticano, sui quali si finisce per specchiarsi, irresistibilmente simpatici, carismatici, affascinanti. Magari lo scrittore ci mette del suo e talvolta arresta il corso della degradazione per permettere a Sebastian di regalare attimi di poesia, di sincerità, perfino pronunce tipo «Io sono qualunque cosa. E soprattutto cattolico», tanto che il lettore rimane folgorato e dice: c’è una luce in fondo al tunnel e l’animo umano più lontano dal senso del rimorso può riscattarsi.
Della serie: ti mostro l’abisso ma resta un barlume delle migliori intenzioni. È un messaggio di speranza che rasserena. Ma l’immedesimazione con tizi siffatti è davvero la catarsi aristotelica. Diventa un modo per liberarsi dal male che è in noi: il personaggio letterario che incarna comportamenti deplorevoli permette di dare sfogo a livello cartaceo alle nostre negatività che pare inutile riproporle dal vivo. Sto ragionando su un’ipotesi, valida peraltro per i tendenzialmente sani, poi ci sono i deviati che non si accontentano e vorrebbero passare alla pratica ma qui intavoleremmo un altro discorso.
Questo “Ginger Man” ha un limite molto forte nel progressivo scivolamento da una narrazione incalzante al comprimere nello stile quello che era il bello del libro stesso, cioè l’energia vitale dell’uomo di zenzero. Ciò si verifica soprattutto nel passaggio della vicenda da Dublino a Londra.
So però che è un eroe, o antieroe, senza tempo e senza patria, perché dinanzi a ogni perbenismo, censura e puritanesimo, ha gridato alto il profondo e irrinunciabile anelito alla libertà, del corpo e dell’anima, che ci appartiene. Del corpo e dell’anima. E questo ce lo renderà per sempre uno di noi.