CriticaLibera: Il romanzo, corsi e ricorsi



Più volte abbiamo sostenuto la mancanza di una narrativa prettamente italiana, intesa come grande tradizione romanzesca di ampio respiro. Ciò dipende dal ritardo con cui questo genere da noi si è affermato, collegato alla lentezza nello sviluppo del ceto medio, cioè “que’ cittadini (come chi vi parla) collocati dalla fortuna fra l’idiota e il letterato” (Foscolo).
Il romanzo ha il suo impulso nel Settecento, in Inghilterra prima e in Francia in un secondo tempo. In Italia, come in Germania o in Spagna, il ceto medio non si è ancora sviluppato come classe pensante e altamente produttiva, in un mondo ancora dominato dall’aristocrazia. Il Settecento è il secolo di Defoe, Swift, Richardson, Fielding, della Radcliffe, di Voltaire, di Rousseau, di Choderclos de Laclos. Sorge insieme al giornalismo, il romanzo, in un clima di diffuso e crescente interesse per la lettura, nonostante l’alto costo dei libri e delle candele, nonostante la nefasta tassa sulle finestre e la mancanza di tempo delle classi lavoratrici. Il costo di un romanzo equivale al salario di una settimana, laddove il dramma elisabettiano era stato, invece, alla portata di tutti con l’ingresso al Globe che costava quanto un boccale di birra.
La lettura di romanzi s’incrementa dopo il 1742 con il successo delle biblioteche circolanti. La classe mercantile e borghese comincia a sfogliare storie per divertimento, leggere diviene sempre più un’occupazione femminile. Pamela di Samuel Richardson è l’eroina di una generazione di cameriere letterate, domestiche di famiglie facoltose con accesso alle biblioteche dei propri datori di lavoro. Il romanzo avrà lo stesso successo popolare dello sceneggiato televisivo che Cinzia Th Torrini ne ha tratto negli ultimi anni, Elisa di Rivombrosa.
È in questo periodo che cominciano a distinguersi i generi, il romanzo picaresco in primis, poi quello gotico e quello epistolare. Si crea una tendenza alla simulazione del vero, un effetto realtà (effet de réel, direbbe Barthesdato dalla finzione del manoscritto ritrovato in soffitta, dell’epistolario rintracciato casualmente in un baule. L’autore si finge solo curatore del testo. Si afferma l’uso della prima persona narrativa, l’io diventa garante della verità, il privato dà spessore e avallo al pubblico. Ma questo romanzo settecentesco figlio della borghesia mercantile ricopre ancora una funzione edificante, attua uno schema lineare per il quale la felicità del singolo coincide alla fine con quella della società. Tuttavia, sul finire del Settecento e con l’affacciarsi sulla scena dei primi sussulti romantici, questo schema s’incrina. Già Laclos e Sade avevano ribaltato valori e finali, mostrando che la virtù non sempre ottiene ricompensa, com’era per Richardson. E se in Inghilterra Jane Austen si tiene in equilibrio fra illuminismo e preromanticismo, fra razionalità e sentimento, in Italia Foscolo, con Le ultime lettere di Jacopo Ortis  si rifà al Werther di Goethe e smette d’identificarsi con la comunità ma anzi, opera uno strappo bruciante. L’individuo deluso si stacca dalla società, si parcellizza, si mette in contrasto con ciò che lo ha prodotto e lo circonda, fino all’estrema ribellione del suicidio.  
Lo storicismo romantico, la rivalutazione del passato come spiegazione del presente e molla verso il futuro, produce poi il romanzo storico, di cui è capostipite Walter Scott. Il romanzo gotico della Radcliffe, di Horace Walpole e di Monk Lewis aveva già attinto a una ambientazione genericamente medievale, con i temi ricorrenti della vergine insidiata, del persecutore diabolico, delle tetre segrete sotterranee nel cupo maniero. In Scott, tuttavia, è la prima volta che il carattere dei personaggi deriva direttamente dal background storico che lo ha prodotto, superando il sensazionalismo. Quando nel 1821 Manzoni scrive I promessi sposi, compie una scelta di radicale rottura, usando un genere disprezzato dai letterati che, allora come oggi, si gloriavano della mancanza in Italia di una tradizione romanzesca. I promessi sposi diventano un caso editoriale, le copie vanno a ruba e suscitano nei decenni successivi il proliferare di romanzi storici, in particolare quelli di Tommaso Grossi, Francesco Domenico Guerrazzi e Massimo D’AzeglioIl romanzo storico, sia che abbia come scopo il diletto, sia che miri all’edificazione e al progresso, si radica sempre più nel costume della borghesia e si diffonde in modo insperato. La maggior parte degli autori è settentrionale, scrive una prosa classicista, ravvivata da dialoghi tratti dall’esperienza teatrale e con una lingua impastata di toscano moderno. Questo contribuisce alla creazione di una lingua media comune, rappresentativa del livello culturale raggiunto dalla borghesia post-Restaurazione.
Il romanzo storico confluisce con naturalezza nel filone positivista e naturalista che s’impone in tutta Europa alla metà dell’ottocento, sulla scia di Comte. Se Balzac e Flaubert si possono considerare precursori del naturalismo, il maggiore rappresentante è Emile Zolà. Molti suoi romanzi raggiungono una tiratura altissima e ottengono sia consensi sia disapprovazione. Meno incisiva l’influenza del positivismo sulla narrativa inglese che pure segue anche il grande filone sociale alla Dickens. Notevolissimo, invece, l’influsso positivista sul grande romanzo russo (Gogol, Turgeniev, Dostoevskij, Tolstoj, Cechov).
Il feuilleton, o romanzo d’appendice, viene pubblicato a puntate sui giornali e ha un grande seguito popolare. I lettori s’identificano con gli eroi, si appassionano alle loro peripezie, gioiscono del loro riscatto finale. I misteri di Parigi di Sue e Il conte di Montecristo di Dumas diventano best seller.
Il romanzo rosa segue sempre gli stessi schemi, dall’ottocento agli Harmony, in sostanza reinventando la favola di Cenerentola, della bella e povera dal cuore semplice che conquista il ricco e tenebroso (declinato in tutte le salse, dall’eroe byronico e demoniaco, fino all’odierno sadico Mr Gray delle Cinquanta Sfumature di Grigio), scavalcando rivali più blasonate. In conclusione si ha il lieto fine, con la conciliazione degli opposti: matrimonio e passione.
Il romanzo d’avventura ha le sue vette in Verne e Salgari, quello poliziesco in Conan Doyle, con l’urbanizzazione, l’aumento della criminalità, lo sviluppo della scienza positivista applicata alle investigazioni, ma anche in Agatha Christie, Van Dine (creatore di Philo Vance), Edgar Wallace, e, più tardi, quello gangster in Dashell Hammett e Raymond Chandler.
Si sviluppa nel frattempo l’industria editoriale, con numerose case editrici che diffondono sul mercato prodotti letterari in edizioni popolari, come accade in Italia per l’editore Sonzogno. Si moltiplicano le riviste nelle quali trovano spazio la critica militante, la polemica letteraria, le recensioni, i romanzi a puntate. Ci si rivolge a un pubblico di nuovi utenti di estrazione piccolo borghese o operaia, il romanzo diventa un genere di consumo con Tarchetti, Verga, Capuana, D’Annunzio, De Amicis. Si abbandonano i soggetti storici in favore di quelli contemporanei. Tutta la produzione della seconda metà dell’ottocento è sotto il segno del realismo, con attenzione per la questione sociale non risolta dall’unità d’Italia. Ci si limita, però, spesso, a un atteggiamento pietistico e genericamente umanitario verso le classi meno abbienti, al sottoproletariato urbano e rurale rappresentato con un linguaggio che vira dal classicheggiante al finto plebeo, laddove la figura dell’operaio non trova ancora spazio.  (Cuore di De Amicis o Il ventre di Napoli di Matilde Serao). Ancora una volta, il romanzo più popolare ha maggiore sviluppo nel resto d’Europa che in Italia. Mentre all’estero si spazia dal romanzo ideologico di Sue e Hugo, a quello storico di Dumas, a quello poliziesco di Ponson du Terrail e di Sir Arthur Conan Doyle, a quello gotico della Radcliffe, a quello scientifico avventuroso di Verne, in Italia rimane incolmabile la distanza fra scrittori e popolo, fra intellettuali e gente comune, e la nostra produzione di romanzi popolari resta confinata a Carolina Invernizio, Ada Negri, Matilde Serao e Mastriani de La cieca di Sorrento, che ha un successo strepitoso.

È sempre anglosassone la migliore produzione narrativa della fine dell’ottocento. Negli Stati Uniti nascono capolavori come La lettera scarlatta di  Hawthorne e Moby Dick di Melville. In Inghilterra Kipling, Stevenson e Wells (considerato il padre della fantascienza) sfruttano le possibilità della narrativa fantastica e avventurosa per esprimere problemi e conflitti del loro tempo. James elabora la tecnica del punto di vista circoscritto, ripresa poi da Conrad.
Da noi, influenzato da Huysmans, d’Annunzio crea il personaggio di Andrea Sperelli, primo vero eroe decadente alla stregua del Dorian Gray di WildePirandello e Svevo si allacciano alla tradizione europea di Proust, Kafka, Musil, Joyce e Woolf, aprendo una prospettiva di ricerca. La costruzione coerente del personaggio e la realtà oggettiva dei fatti perdono d’importanza, il personaggio diventa “coscienza” e si muove avanti e indietro nella memoria, nel flusso di pensiero e dell’inconscio, appena scoperto da Freud e da Jung. Il romanzo diventa saggio, narrazione d’idee, perché l’elemento riflessivo prevale su quello narrativo, ciò avviene in particolare in Thomas Mann.
Mentre in Europa ci si allontana sempre più dal naturalismo, negli Stati Uniti si sperimenta un nuovo realismo, un modo di narrare asciutto, sintetico, che lascia parlare i fatti con Faulkner, Hemingway, Steinbeck, Dos Passos, scoperti e tradotti in Italia da Pavese e Vittorini.



Qui da noi il divario fra letteratura alta e bassa si approfondisce, si stabilizza un vero e proprio doppio mercato delle lettere, da una parte i romanzi di consumo (Pitigrilli, Da Verona, Liala) dall’altra gli intellettuali che scrivono per altri intellettuali (Vittorini, Bilenchi, Moravia, Landolfi, Buzzati). Bisogna aspettare gli anni trenta perché il romanzo si affermi definitivamente come forma d’arte. È del 1929 il numero di “Solaria” dedicato a Svevo e nello stesso anno esce Gli Indifferenti di Moravia. S’intrecciano tendenze opposte che vanno sia nel senso di un nuovo realismo – scrittori che recuperano la tradizione regionalista e naturalista arricchendola di una dimensione psicologica, con Silone, Pavese, Vittorini, Pratolini - sia di un realismo di tipo magico con Bontempelli, Landolfi, Alvaro.
In Francia Sartre e Camus scrivono romanzi intellettuali, raccontando l’assurdità e il vuoto dell’esistenza. Tutti i procedimenti volti a destrutturare il romanzo tradizionale, come il monologo interiore o il flusso di coscienza, sono portati alle estreme conseguenze. In particolare con Robbe – Grillet la coscienza diventa attività psichica percettiva in senso fenomenologico. Anche Beckett rappresenta la solitudine, l’incomunicabilità e l’alienazione dell’uomo moderno. La divisione in generi perde molto del suo significato, diventa difficile distinguere fra diario, saggio, riflessione, conversazione.
Intanto da noi il neorealismo postbellico si distingue nettamente dal nuovo realismo degli anni trenta che era prettamente letterario. Il termine, mutuato dal cinema, comporta precise esigenze sociali. I modelli continuano a essere Verga e gli americani, ma i romanzi diventano sempre più socialmente impegnati, realistici, antidecadenti, con un ritorno alla tradizione, appesantita, però, dall’ideologia.
Espressione più alta del neorealismo è Pratolini in Cronache di poveri amanti, ma sono fondamentali anche Rea, Brancati, Tobino, Berto, Fenoglio.
Con la crisi del neorealismo, si sperimentano e si cercano nuove tecniche espressive. In Pasolini il realismo diventa populismo che crea una identificazione mimetica attraverso il linguaggio dell’autore piccolo borghese con un proletariato vagheggiato e mitizzato. In Ragazzi di vita i protagonisti parlano un dialetto ricostruito in modo filologico ma l’autore si fa comunque sentire nelle descrizioni liriche.
Calvino elabora la sua vena fantastica, mentre Sciascia, Cassola, Bassani, la Ginzburg, la Ortese, Pomilio e Piovene sperimentano ognuno con il proprio stile. Il romanzo storico viene rivisitato in chiave moderna da Tomasi di Lampedusa e dalla Morante.

Dalla fine della guerra agli anni sessanta, realismo e soggettivismo continuano ad alternarsi nella narrativa di tutto il mondo, dalla Yourcenar a Brecht, da Böll a Grass. In Russia scoppia il caso de Il dottor Zivago di Pasternak, censurato e costretto dal regime sovietico a non accettare il premio Nobel, mentre Bulgakov sorprende col suo “romanzo nel romanzo” Il maestro e Margherita. Negli Stati Uniti si affermano romanzieri afroamericani ed ebrei, fra questi il più importante è Saul Bellow. Accanto a lui abbiamo Roth, Malamud, Mailer, e la beat generation scatenatasi nella scia di On the Road di Kerouac, collegata al jazz, agli allucinogeni, alla spiritualità orientale. C’è un rivalutazione e una presa di coscienza delle minoranze etniche, si afferma anche il minimalismo di Carver, uno stile piatto che esclude volontariamente il coinvolgimento del lettore. La contestazione coinvolge anche gli altri paesi anglofoni, soprattutto le ex colonie. Grande rilievo acquista la letteratura sudamericana con il gioco di specchi dell’argentino Borges e la fantasia del colombiano Màrquez nel suo capolavoro assoluto Cent’anni di solitudine.
Intanto, da noi, lentamente il mondo industriale scivola dentro la realtà romanzesca con il tema dell’alienazione, dell’uomo robot, in Ottieri, Parise de Il padrone, Bianciardi de La vita agra, Arpino. La macchina culturale si articola sempre più in grandi apparati come la Rai, il cinema, l’editoria, la scuola. Libri e film diventano merci, gli editori manager che si occupano di marketing, e si punta al profitto. Si consolidano i grandi gruppi editoriali a scapito delle piccole case editrici artigianali. Dalla strategia delle due culture si passa a un’unica cultura che le comprende tutte. Fra il 62 e il 65 c’è un boom delle enciclopedie a fascicoli e delle pubblicazioni in edicola. La collezione Oscar Mondadori divulga opere di ogni genere, alte e basse, la scolarizzazione diventa generale, l’università non è più di elite. L’intellettuale diventa un lavoratore, spesso disoccupato o precario.

A questa cultura di massa si oppone la neoavanguardia del Gruppo 63 che decreta la fine del romanzo borghese, la sua morte con Sanguineti e Balestrini. La contestazione del 68 riporta l’intellettuale nel mondo e il processo di massificazione della cultura riprende (per fortuna, diciamo noi).  La Trivialliteratur riacquista pregio e diffusione, l’industria culturale si rivolge a tutti e individua settori che tirano, ad esempio il mondo femminile o quello giovanile, e chi sa rappresentare uno di questi settori può diventarne autore.
Simenon in Francia e Scerbanenco in Italia ridanno impulso al genere poliziesco di qualità, Peverelli e Gasperini portano avanti una tradizione rosa che non sa svincolarsi dalla tradizione, sempre legata a eroine come quelle di Liala, punite con la morte se appena trasgressive, ancora legate all’immagine di donna che ama e non ha appetiti sessuali.
Ma di pari passo continuano ad agire intellettuali puri come d’Arrigo e Eco, sebbene sempre più la sperimentazione neoavanguardistica si spenga nel ritorno alla tradizione. Il clima postsessantottesco favorisce un reflusso nel privato e nel regionalismo (Tomizza, Sgorlon) L’affermarsi del’istituzione del premio letterario fa sì che le scelte del pubblico siano fortemente influenzate.
Dopo gli anni settanta, la fantascienza prosegue il suo cammino e, durante gli ottanta, si sviluppa la fantasy, con il grande capostipite Tolkien ma anche altri autori di spicco (Terry Brooks, Marion Zimmer Bradley, per citarne alcuni, a loro volta discendenti di una tradizione che spazia da Poe a  Reider Haggard, fino ai più recenti Sprague de Camp e Lin Carter).

Uno dei maggiori successi editoriali degli ultimi anni, con il quale concludiamo il nostro breve excursus non certo esaustivo, è Il nome della rosa di Eco, a più piani di lettura: giallo, romanzo storico, romanzo filosofico. questa è la tendenza della narrativa di oggi, quella di svolgersi su più livelli, accontentando varie tipologie di lettori, sia coloro che cercano una letteratura ricca di sfumature, significati e simboli, sia chi desidera solo seguire una bella storia.
Dalla fine degli anni ottanta fino al collettivo Wu Ming del 93 - col manifesto della nuova epica italiana - di acqua sotto i ponti ne è passata, ma è ancora acqua recente e difficilmente analizzabile. In particolare, negli ultimi tempi, Internet ha ulteriormente massificato l’atto dello scrivere, facendo sì che chiunque abbia talento, o anche solo velleità narrative, possa comunicare senza più filtri editoriali, addirittura senza nemmeno essere pubblicato. Ormai persino il testo inedito ha una sua diffusione e il romanzo è diventato transmediale, collettivo, con possibilità di evolversi e cambiare attraverso spin-off e fanfiction dei lettori. Esiste persino un fenomeno di “decostruzione”, in cui i testi messi in rete, addirittura i classici, vengono destrutturati, ripresi, modificati a insaputa dell’autore (chi vi parla ne è stata vittima con un suo racconto.) Non ci è dato sapere se questo è il futuro, e , se sì, è comunque un futuro inquietante.

In conclusione, pensiamo che nessuno ha il monopolio del talento. Come dimostra questa sintesi, ci sono sempre stati nella narrativa corsi e ricorsi, flussi e riflussi. Tutti gli stili, tutte le forme, tutti i generi hanno avuto e hanno pari dignità. La vecchia antitesi fra avanguardia surreale e narrazione tradizionale, fra letteratura alta e bassa, ci sembra che debba essere finalmente superata e che sarebbe l’ora che anche da noi si sviluppasse una grande narrativa, capace di collocarsi nel solco di una tradizione più ampia della nostra così provinciale, una narrativa dove ci fosse posto per tutte le correnti e le forme, dal fantastico al reale, dal sentimento all’intelletto, dal simbolo all’intreccio.  

Patrizia Poli