#RileggiamoConVoi: ottobre

Explicit di Roland Barthes di Barthes
Cari amici,


                l'autunno si è infilato più o meno timidamente nelle nostre case. Il pensiero va alle serate e alle ore libere passati davanti ai primi caminetti, alle prime castagne, alle prime coperte, al primo piacere di ritrovare nelle pagine mondi meno grigi e meno piovosi di quelli che ci attendono fuori dalla finestra o, al contrario, di condividere il nostro autunno con altri autunni, narrati o liricizzati. 
Dunque, pensate ai consigli di questo mese come a un dono incartato nei sacchetti di caldarroste appena stropicciati. 



Buona scoppiettante lettura,
La Redazione




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Elisa consiglia:
Io e te di N. Ammaniti 
(leggi l'invito alla lettura)
Perché: personaggi "svestiti" dall' ironia grottesca presente nelle altre opere di questo autore contemporaneo danno vita ad romanzo di formazione delicato e crudo, messo in scena da Bernando Bertolucci in una pellicola proiettata in questi giorni nelle sale
A chi: consigliato a chi vuol farsi sorprendere da un Ammaniti "nuovo" ma soprattuto a chi ama la critica cinematrografica post-lettura.


Claudia consiglia:
Conversazione in Sicilia di E. Vittorini 
(leggi l'invito alla lettura)
Perché: racconta il viaggio di un uomo che scappa dall'indifferenza e dall'orrore della Storia e si rifugia in una terra "offesa e nella propria memoria. Un capolavoro di "realismo magico".
A chi: a tutti coloro che vogliono leggere libri che parlano della ricerca di una salvezza e a chi ama la prosa musicale di Elio Vittorini, qui espressa a uno dei suoi massimi livelli.


Dario consiglia:
A Game of Thrones di George R. R. Martin 
(leggi la recensione)
Perché: perché, come recita il motto degli Stark, l'inverno sta arrivando, e non c'è niente di meglio che un fantasy di qualità, da gustare insieme ad una cioccolata calda davanti al caminetto, per godersi al massimo l'atmosfera invernale.
A chi: agli amanti del fantasy e non solo, agli appassionati di complotti di corte, intrighi amorosi e menti contorte, a chi è stanco dei canoni del genere e ha voglia di immergersi in qualcosa di epocale.


Debora consiglia:
How to be a woman di Caitlin Moran
(leggi la recensione)
Perchè: Caitlin Moran è una delle voci femminili più interessanti, originali e fuori dagli schemi degli ultimi anni, capace di riflettere con ironia sui temi caldi del femminismo.
A chi: a tutte le donne e ragazze capaci di ironia e intelligenza


Giulia consiglia:
La passione di Artemisia di Susan Vreeland
(leggi la recensione)

Perchè: per scoprire uno straordinario personaggio che ha pennellato la nostra storia dell'arte. Per avvicinarsi ad una donna incredibile, purtroppo ancora troppo poco conosciuta, che ha interpretato il barocco con grande forza, nonostante le difficoltà e i pregiudizi dell'epoca. 
A chi: per chi ama il lato umano nascosto dietro i dipinti e le passioni che animano le menti degli artisti.


Gloria consiglia:
L'inverno del mondo di Ken Follett
(leggi le recensione e l'intervista)
Perché: perché si cercano spesso libri adatti a portarci fuori dal nostro mondo, e non è detto che vogliamo sempre un mondo migliore; ma vogliamo anche leggere storie verosimili della nostra Storia.
A chi: l'ideale per chi ama i romanzi storici, ma sicuramente apprezzato anche da chi ama narrazioni ad ampio respiro con un forte mordente.


Serena consiglia: 
Piazza d'Italia di Antonio Tabucchi 
Perchè: perchè esordi letterari così convincenti se ne vedono pochi. Tabucchi debutta nel '75 e racconta una storia lunga tre generazioni, fatta di contadini e proletari e del loro impegno civile verso un'Italia giovane e poco giusta.
A chi: da consigliare a chi, a distanza di un anno dalla retorica delle celebrazioni dei 150 anni dell'unità nazionale, ha voglia di leggere una storia d'Italia senza moralismi e barocchismi.


Stefano consiglia:

Esercizi di stile di Raymond Queneau
Perché: è un piccolo capolavoro di utilizzo creativo della lingua; l'adattamento e la traduzione a opera di Umberto Eco ne accrescono la leggibilità e l'interesse.
A chi: a tutti coloro che, incuriositi e affascinati dalle possibilità di costruire con le parole, possono divertirsi a leggere una stessa storia descritta con innumerevoli stili e punti di vista diversi. Il testo a fronte permette inoltre di gustare i giochi linguistici sia in italiano che in francese.

#CriticaLibera: spunti di lettura ispirati al mistero delle streghe


Il sabba delle streghe - Goya

In questi ultimi giorni d'ottobre si sono viste streghe e zucche ovunque, ma in ogni periodo dell'anno la strega esercita su di noi il suo fascino secolare; mille e mille volte reinterpretata, come befana o in versione pin up, la strega costituisce anche un tema molto trattato nella letteratura di ogni epoca.
Ho sentito per la prima volta curiosità per le streghe un giorno in cui mi sono trovata nel bel mezzo di un corteo contro l'aborto, anzi, in mezzo a persone che manifestavano contro gli antiabortisti. Una ragazza sfoggiava orgogliosa un bel cappello a punta e qualcuno le ha chiesto come mai lo indossasse. Lei, sfacciatamente: "Non lo sai che il cappello da strega è un simbolo delle donne che sono a favore della libera scelta riguardo l'aborto? Si dice che le streghe e i comunisti mangino i bambini". Mi colpì molto la scelta di quel simbolo.
Qualche mese dopo mi ritrovai a fissare un annuncio scritto in rosso in una bacheca di facoltà: "Vendesi La Strega di Michelet (Storia Moderna)". Ma cosa poteva mai avere da dire uno storico sulle streghe? Se era lo stesso di cui a casa tenevo la Storia della Rivoluzione Francese... mi interessava eccome ciò che avesse da dire. Per sedare almeno un po' la mia curiosità sulle streghe scelsi di cominciare dal principio, cercandone il nome sul vocabolario italiano, poi su quello latino, per risalire all'etimologia della parola, che avrebbe saputo dirmi qualcosa di più.
Il dizionario della lingua italiana Sabatini Coletti alla voce "strega" recita:
Donna che, secondo una superstizione popolare iniziata nel Medioevo, sarebbe dotata di poteri malefici derivanti dai suoi rapporti con il demoni.
Precisa per prima cosa che la strega è donna, quindi accenna ai suoi poteri e ai rapporti col demonio.
La parola "strega", in latino striga, deriva da strix, strigis, che indica un uccello notturno considerato di cattivo augurio ed è un sostantivo femminile; anche in greco strix, strigòs indica lo stesso tipo di uccello, il gufo. Sia i gufi che le civette, però, sono anche considerati simboli di sapienza, si pensi alla civetta, animale sacro ad Atena, dea della saggezza, o ai gufi di molte favole come La spada nella Roccia o Red e Toby nemiciamici, personaggi molto saggi, talvolta permalosi. E curiosando tra le pagine di Michelet, si può dedurre la stessa cosa della strega: era una donna sapiente e questo incuteva timore, per questo alla sua figura veniva associato il malaugurio. Di fatto, l'etimologia della parola strega in molte lingue riconduce alla saggezza: molto particolare la versione francese del termine, sorcière, derivata dal latino volgare sortiarius, colui che trae le sorti, predice il futuro.

Sul metro incerto delle parole: "Storia del nuovo cognome" di Elena Ferrante

Storia del nuovo cognome
di Elena Ferrante

E/O, 2012


Avevamo lasciato Lila e Lenù, le due protagoniste del romanzo L'amica geniale (E/O, 2011), non più bambine ma giovani donne. Storia del nuovo cognome, secondo volume della splendida trilogia napoletana firmata da Elena Ferrante - un nom de plume che è anch'esso un gioco sottile, perché c'intriga di eco morantiane - riprende proprio dove ci eravamo fermati. Difficile non recensire questo romanzo e, in genere, l'intera trilogia in fieri con toni entusiastici. Laddove L'amica geniale riusciva a catturare il lettore, Storia del nuovo cognome conquista e irretisce anche i palati più esigenti: si tratta forse di una delle poche prove letterarie della narrativa contemporanea in cui una storia di 'lunga durata' - che copre un intero arco biografico senza notevoli prolessi o salti cronologici - non perde, nella sua estensione, un grammo della propria nervosa agilità, in questa scrittura che sorprende proprio perché, nella propria esibita medietà, vuole fagocitare ed esprimere un mondo.
I personaggi li abbiamo conosciuti nel primo romanzo: le famiglie Greco, Cerullo, Solara, Carracci, scorse anche qui, come in L'amica geniale, in un rapido riepilogo introduttivo; le due grandi amiche e nemiche, Lila e Lenù/Elena, la voce autobiografica che ripercorre la propria storia. La Storia del nuovo cognome è quella di Lila, non più Cerullo ma signora Carracci: entro il nuovo cognome della moglie-ragazzina, appena sedicenne, si scaverà l'abisso della differenza con Elena. Le vite delle due ragazze del rione si rincorrono con la perfetta, e così aderente alla vita, discontinuità dei percorsi che s'intrecciano, si annodano per allontanarsi, perdersi e ritrovarsi in una stretta più drammatica.

Firmino, il topo colto di Sam Savage



Firmino
di Sam Savage
Einaudi, Torino 



Firmino, protagonista dell’omonimo romanzo di Sam Savage (pubblicato nel 2006 negli Stati Uniti), è un topo. Sì, il classico topo buono dei cartoni animati o delle favole cui è stata donata l’intelligenza come una normale aggiunta a baffi, coda rosa, zampe piccole e scattanti. Solo che a Firmino non basta sapere di averla, non basta capire, pensare; egli vorrebbe essere un uomo in tutto e per tutto: corpo, mente, vizi.
Guarda caso, il romanzo si apre con due citazioni. Una di queste dice:
Un giorno Chuang Tzu si addormentò, e, mentre dormiva, sognò di essere una farfalla che volava in estasi.
E quella farfalla non sapeva di essere Chuang Tzu che sognava. Poi Chuang Tzu si svegliò e, a giudicare dalle apparenze, era di nuovo se stesso, ma ora non sapeva se fosse un uomo che sognava di essere una farfalla o una farfalla che sognava di essere un uomo.
Firmino sa benissimo, invece, di essere un ratto, ma un ratto, come viene detto nel romanzo stesso, “civilizzato”, che ambisce all’umanità come l’artista o lo scienziato al Premio Nobel. Ciò che lo differenzia dai suoi simili è la grande cultura letteraria, e non solo, che si è fatta sin da quand’era un poppante, scegliendo di mangiare i libri della libreria - la Pembroke Books - in cui si era stato messo al mondo, anziché il latte al sapore di vino che i suoi fratelli continuavano a suggere inconsapevoli dalle mammelle della loro madre ubriacona...

Pillole di Autore - XS d'autore si dedica al cinema


Vi siete mai chiesti come un grande regista si avvicina al cinema? Quali sono state le sue prime inquadrature e le conferme di una passione che si rinnova ogni giorno con la stessa forza ma in diverse riprese? 
Se la risposta è sì, sicuramente non potrete restare indifferenti alle parole di Francesco Rosi e Giuseppe Tornatore in questa breve lettura di Xs d'autore. Vi troverete pagine di un'autobiografia a tratti commovente, a tratti quasi lirica, sempre generosa di dettagli e di emozioni che rendono questo ebook una ripresa a cuore aperto di uno dei più grandi registi italiani.





Tutto cominciò con una fotografia

Tutto cominciò, forse, con una fotografia. Fu mio padre ascattarla. S’ispirò a Jackie Coogan, il protagonista di quelgrande film di Charlie Chaplin che fu Il monello (The Kid).
Fu mio padre a svilupparne il negativo, a stamparla e a colorarlaa mano. Sono trascorsi più di ottant’anni. Qualchetempo fa diventò la copertina di un libro dal titolo C’era una
volta un bambino. Quel bambino col berretto sono io, avrò
avuto quattro o cinque anni. Non sembro proprio JackieCoogan? Da un’altra foto fattami mentre dormivo sul seggiolone,mio padre trasse in seguito il manifesto pubblicitariodi una purga per ragazzini. «Mentre voi dormite, Kinglaxlavora» recitava lo slogan, oppure «Sogni di felicità».Durante i miei primi film, Gianni Di Venanzo e PasqualinoDe Santis, rispettivamente direttore della fotografia e operatoredi macchina, si divertivano a chiamarmi «Kinglax».Può darsi che davvero tutto sia cominciato da lì. Miopadre era un appassionato di cinematografo e di fotografia.Era pure un grande disegnatore e un caricaturista peralcuni giornali napoletani. Allora ce n’erano parecchi. «IlRe di danari», il «Monsignor Perrelli», il «Vaco ’e pressa»,cioè «vado di fretta», il giornale dei tifosi. Mio padre, tifoso,non lo è mai stato. Lo accompagnavo spesso allo stadio,a lui piaceva portarmi dietro. Forse, già allora volevariversare su di me la decisione che lui non aveva saputoprendere, cioè abbandonare tutto per il cinematografo oalmeno per il disegno.Andavamo in un albergo napoletano, molto famosoall’epoca, l’Hotel de Londres, in Piazza Municipio. Lì c’erala squadra del Napoli, a quel tempo piena di giocatori eccezionali,e tra questi il grande Attila Sallustro, un paraguaianofamosissimo che i napoletani adoravano. Eppuremio padre, appena finiva le caricature, se ne tornava acasa, dei giocatori non gliene importava granché. La passioneper il cinema, quella sì che era forte. Aveva una splendidamacchina di proiezione a passo ridotto Pathé Baby. Eanche una macchinetta da presa col motore a molla PathéBaby 8mm con perforazione centrale.Se aveva la perforazione centrale erano 9mm e mezzo.Davvero? Sai che ho sempre pensato fossero 8mm? Comunque,tutto era nello sgabuzzino dove lui continuamentetrafficava. C’era una lampada, con una luce rossa e unablu, che segnalava quando si poteva entrare nella cameraoscura. Io mi mettevo in un angolo. Teneva sempre sul finestroneuna coperta che impediva alla luce esterna di filtrare.Un giorno la tirò via e gli cadde tutto addosso. Rimaseseduto per terra come in un suo disegno, con la testache spuntava fuori dal finestrone che incorniciava la suarassegnazione come in una comica di Buster Keaton. L’infanzia,la ricordo bene. Forse proprio perché era già fatta difotografia e di cinematografo. Naturalmente ero il modellopreferito di mio padre. Il mondo di quei tempi si adattavamolto a queste passioni, consentiva di fare il cinema traquattro mura, di sviluppare e stampare in casa le fotografie.Che ricordi hai di quello sgabuzzino, quando andavi ad assistereallo sviluppo dei negativi?Il profumo delle bacinelle di porcellana bianca in cuipapà versava il liquido per sviluppare. Poi prendeva lemollette per i panni e stendeva le foto ad asciugare. Attaccavail negativo e sviluppava. Solo episodicamente si servivadello stampatore. Ero un bambino, non avevo più dicinque anni, ma tutto ciò mi attraeva. Non sapevo far nulla,ma intanto mio padre mi trasmetteva quella passione.La domenica, poi, mi portava al cinema. Il primo filmche ho visto fu al Torretta, credo si chiamasse L’angelo bianco,
un film muto, russo se non sbaglio, o comunque russoera l’attore protagonista. E poco dopo Il monello di Chaplin.
C’era in sala uno che suonava il pianoforte e daval’accompagnamento musicale. Lo vidi al cinema Maximumdi viale Elena, strada bellissima che corre parallelaa via Caracciolo. C’erano aiuole, palme e, a quel tempo,pochissime automobili. Era la pista prediletta dai pattinatori.Era bello davvero. Quando andammo a vedere Il monello,
il Maximum era pienissimo, restammo in piedi. Tenevoper mano papà.Frequentavo quella sala cinematografica anche il giovedì,quando i bambini pagavano meno. Ci andavo con unazia, sorella di mia madre, molto somigliante a Ginger Rogers.Abitavamo tutti a viale Elena, noi e mia zia, anche leisposata e coi figli. Mi fai tornare a un’epoca così diversa.

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CriticaLibera - Ancora fascino da ebook




Alcuni aspetti della lettura digitale non hanno ancora smesso di stupirmi. Forse stiamo tornando a un elogio della velocità che ha per antesignani solo i Futuristi: anche noi, con la rivoluzione del digitale, sperimentiamo la caduta delle convenzioni della lettura, sdoganando i dogmi del cartaceo. Ma, rispetto ai nostri nonni futuristi, non vogliamo distruggere musei, biblioteche e archivi, luoghi del passato per eccellenza, ma solo affiancarli all'esperienza della novità. Cambiare titolo in un paio di click è più che possibile: dal saggio di lavoro all'ultimo bestseller, dal classico alle riviste senza andare a cercare in scaffali pienissimi e molto spesso disordinati. E avere tutto, letteralmente, sulla punta delle dita, compresa la possibilità di comprare un libro senza perdite di tempo a cercare in libreria o tempi d'attesa per le prenotazioni.



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Come altri amici blogger, in questo periodo ho avuto modo di testare il Kobo Touch, l'e-reader che ha stretto partnership con Mondadori. Per i consigli tecnici, vi rimando a loro (in particolare a Marco Giacomello, Tazzina-di-caffé, Alessandra Farabegoli). Vorrei piuttosto raccontarvi i punti cardine dell'incontro dedicato a Kobo. Siamo a Milano, è un caldissimo martedì 23 ottobre, e al terzo piano della libreria Mondadori di Piazza Duomo si respira tutta l'aria del cambiamento e l'atmosfera è frizzantina quanto il brindisi di apertura della serata. Non siamo moltissimi e veniamo da esperienze diverse, ma abbiamo almeno tre cose in comune: siamo lettori forti, abbiamo sperimentato il Kobo e crediamo nelle potenzialità del digitale. E, di conseguenza, sappiamo cosa vorremmo dal digitale del futuro. 

Riccardo Cavallero, Dirigente Generale Libri Trade del Gruppo Mondadori e Amministratore delegato di Einaudi, ci introduce a Kobo, al progetto e ai dati relativi ai primi risultati. Ma non è solo il device a interessare, è il lettore che torna al centro del progetto. Il Kobo non è un fine, ma è un mezzo che permetterà al lettore di accedere a un catalogo in continuo potenziamento nei prossimi mesi. I dati delle vendite fanno ben sperare, e confermano che anche l'Italia si sta rapportando al digitale con meno perplessità: del gruppo sono stati venduti 13.000 titoli nel 2010; 192.000 nel 2011 e quasi 800mila entro la fine di settembre 2012!
Ciò non toglie che è ancora presto per trarre conclusioni, perché, come ribadisce più volte Cavallero, è fin troppo facile interpretare i dati degli ultimi mesi: in fondo, Kobo è sul mercato da un paio di mesi, e sarebbe prematuro dedurre dalle vendite e dalle opere scaricate le caratteristiche del lettore digitale italiano. Il lettore è imprevedibile e i dati numerici non aiutano: lo dimostra il fatto che si scommetteva sulla saggistica da ufficio come settore trainante; invece ha vinto di gran lunga la fiction! Dunque, l'e-reader non resta uno strumento di lavoro, ma è entrato con decisione nel tempo libero dei lettori italiani.

Verso un'ecologia del verso – «soltanto un altro blog?»






Verso un'ecologia del verso – «soltanto un altro blog?»

Verso un'ecologia del verso è un nuovo blog collettivo che si occupa di letterature, arti e filosofie. Ce ne sono tanti: più o meno disordinati, ideologici, politici, divulgativi. Questo blog, invece, nasce con un proposito preciso: dare una risposta efficace a tutti i lettori che non si riconoscono nelle strategie culturali contemporanee.

La cultura vive un momento difficile, di grande crisi economica e umana.
Si vorrebbe piegare la cultura a interessi clientelari, al management dei direttori artistici, alle vanità di questo o quel critico, al baronato di questo o quel editore.

Ma la verità è che la cultura vive di vita propria, libera, e non tollera di essere inscatolata, di essere gestita e monopolizzata. La cultura muore appena viene “recintata”, “allevata”.

Così, da una parte ci sono le lobby letterarie – più o meno potenti, ma sempre con le stesse modalità – che vorrebbero creare vivai di scrittori e critici nella speranza di monopolizzare il piccolo e asfittico mercato.
Dall’altra parte ci sono i lettori, confusi, frastornati da eventi, reading, “incontro con l’autore”, festival, premi, vetrine di ogni tipo.

I lettori hanno una grande responsabilità sul mercato. Sono loro a decidere cosa sopravvive e cosa no. I lettori non devono subire la cultura, ma crearla. I lettori non dovrebbero essere una semplice vetrina, un “parco buoi” (per usare una triste metafora del mondo economico), ma i protagonisti veri della letteratura di ogni tempo. I lettori scelgono, decidono, promuovono.
L’arte della lettura è forse la più difficile di tutte le arti.

Queste strategie culturali hanno allontanato la letteratura dai lettori, la letteratura dalla realtà.

Verso un'ecologia del verso vuole indagare il rapporto fra la letteratura e la realtà, nella speranza d'intraprendere tutti insieme un cammino di ricostruzione.


la letteratura e tutto il mondo intorno

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GIOCATTOLI - arti poetiche



Insieme a Verso un'ecologia del verso nasce anche Giocattoli, un biblioteca online dedicata interamente alle arti poetiche contemporanee.
Giocattoli si trova online (www.giocattoliblog.wordpress.com).

Per informazioni su come partecipare al portale web:


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Fannie Flagg, "Pomodori verdi fritti al caffè di Whistle Stop"


Pomodori verdi fritti al caffè di Whistle Stop
(Fried green tomatoes at the Whistle Stop Cafe)
di Fannie Flagg

BUR, 2000



Come quasi ogni “nonno” della nostra generazione, anche i miei avevano una casa in campagna. Più precisamente, la casa in collina del mio bisnonno da parte materna. Il paese era uno dei tanti del paesaggio piemontese. Indeciso se stare sulle pendici o scivolare verso le risaie, non abbastanza fresco da definirsi luogo di villeggiatura e non sufficientemente abitudinario da diventare residenza. Più zanzare che abitanti, un’unica piazza con il classico nome di piazza Garibaldi; due bar, uno per gli uomini per giocare a carte e l’altro che fungeva anche da pasticceria. Avete inquadrato il genere?
In questi posti, ogni abitante ha il proprio ruolo da rispettare. C’è il fornaio, rigorosamente uomo con la moglie che prepara le sfogliatine per la domenica, la parrucchiera, in genere una signora che fa la permanente in casa e aggiorna sull’ultima scappatella della figlia del farmacista che è giovane ed è appena arrivato dalla città, con i suoi occhiali tondi e la laurea orgogliosamente esibita. La casa in fondo alla strada è di una vecchia signora un po’ matta che alleva colombi, quella a due piani è la casa delle vacanze di un avvocato di Torino.
Avete passeggiato per queste strade? Si, forse sto ricamando un po’, facendo letteratura spicciola, ma nella sostanza il paese era davvero così. E serve a prepararvi a quello che potrete trovare tra le pagine del romanzo in questione.

Buchmesse 2012: qualche flash

La Buchmesse sta agli amanti dei libri come Alice al Paese delle Meraviglie. Ma se Alice, nel corso delle sue mirabolanti avventure ogni tanto perde la testa, chi entra alla Buchmesse per lavoro deve imporsi di mantenere i piedi ben saldi a terra. Così, armata di self control, mi sono addentrata alla scoperta  di ciò che di nuovo ed interessante la Fiera del Libro di Francoforte ha offerto nell'edizione 2012. Raccontare tre giorni di fiera sarebbe lungo e noioso, così vi lascerò alcuni flash delle cose che mi hanno più colpito, nel bene e nel male.  


Ebook alla riscossa.


Inutile dire, perché lo hanno scritto un po' dovunque, che i protagonisti sono stati gli ebook e tutto ciò che vi ruota attorno: editori digitali, servizi di conversione e distribuzione, creatori di app, accessori e - naturalmente - produttori di e-reader.  Tanti anche gli editori nativi digitali, alcuni piccolissimi ma interessanti. Soprattutto per l'approccio innovativo e internazionale. E' palese infatti che ormai, con la crisi mondiale che investe l'editoria cartacea, occorre puntare su strade alternative. Se l'editoria tradizionale arranca, il mercato degli ebook gode di ottima salute: a cominciare dagli USA dove fa persino da traino per il cartaceo. Anche l'Italia non è da meno e si segnala l'aumento sia dei fruitori di ebook sia delle vendite dei libri elettronici. I tanti ereader esposti erano una gioia per gli occhi di chi, come me, ama la carta ma apprezza anche la lettura digitale: ho potuto prendere in mano e provare il Kobo Glo, e il piccolissimo e-reader della Txtr, il Beagle, appena 128 grammi per meno di 13 cm, presentato alla Buchmesse come la soluzione da abbinare agli smartphone che non dispongono di dispositivo per gli ebook. E proprio in abbinamento alle principali compagnie telefoniche Txtr lo commercializza ad appena 9,90 euro.  


Quello che i media non dicono.
Al mio ritorno, facendo una piccola rassegna stampa di ciò che è stato scritto sulla Buchmesse in italia, ho notato con rammarico che i media italiani come al solito non si smentiscono mai: notizie catastrofico-melodrammatiche ad effetto a fronte di incompletezza d'informazione. Infatti che l'editoria italiana è in crisi lo hanno scritto in tutte le salse giornali e blog del nostro paese, riportando i dati salienti della relazione presentata proprio alla Buchmesse dall'Associazione Italiana Editori, ma in nessuno degli articoli che ho letto si aggiungeva che in gran parte del resto del mondo non se la passano meglio, che il mercato anglofono è saturo, e che gli editori statunitensi pubblicano sempre meno libri stranieri perché lì i traduttori bravi si fanno pagare salatamente, perciò si investe solo sui libri che in patria hanno venduto oltre le 30.000 copie e che quindi offrono una certa garanzia di commercilizzazione. Tutte informazioni che come un tormentone sono state ripetute a più riprese nel corso dei tanti dibattiti, brevi workshop, approfondimenti, organizzati nel corso della fiera.

Margaret Mazzantini, "Mare al mattino"

Mare al mattino
di Margaret Mazzantini
Einaudi Editore, 2011

pp. 127
€ 12.00

Lo stile di M. Mazzantini, pieno di un pathos tagliente, è inconfondibile. Inconfondibili sono le immagini che adopera per rendere pienamente la tragicità delle persecuzioni, delle espropriazioni e delle confische di terre ai poveri coloni, alle plebi rurali, a coloro per i quali la storia non è che altro che un susseguirsi di eventi destinato a inasprire la condizione delle vittime in una spirale di sangue e violenza. Mare al mattino racconta due storie sulle due sponde del Mare Nostrum, di quel Mediterraneo navigato da inglesi, francesi, tedeschi, italiani, arabi e ottomani e che pur tuttavia non appartiene a nessuno. 
Perché il mare fagocita navi, vite, imbarcazioni di emigranti in fuga da una patria che non può dare nulla verso un destino di apolidia. Su una sponda c’è Jamila, giovane donna libica in fuga dalle rappresaglie delle truppe lealiste del Rais e dei Fratelli Musulmani per mettere in salvo suo figlio. Sull’altra riva, sulle coste siciliane, c’è un’italiana nata a Tripoli, straniera nella sua stessa patria dopo il rimpatrio forzato dei coloni italiani seguito al colpo di stato di Gheddafi nel 1969. 

Due vite interrotte dalla fuga, spezzate da guerre intestine e lotte fratricide in un Paese in cui la scoperta del petrolio non fa che avviare una modernizzazione parziale e precaria, dove l’espansione delle città a scapito delle periferie desertiche rende la povertà miseria. Non conta se sei un italiano trapiantato, cacciato per il passato colonialista delle precedenti generazioni o per i peccati di un governo imperialista. Non conta se sei un arabo, nato e cresciuto nel deserto libico. Le trame di potere non tengono conto di cittadinanza e nazionalità. Le vittime del potere sono comunque accomunate dal fatto di non avere alternative tra l’esilio e la guerra. A conferma di ciò, sull’imbarcazione a bordo della quale Jamila intraprende il viaggio verso l’altra sponda, ci sono anche somali, vittime di altri conflitti, altra miseria, altri colpi di stato. 

MAL DI LIBRI 2012: la festa per chi è ammalato di storie


Prima giornata: sabato 20 ottobre

Pigneto, Roma


Gente che chiacchiera. Passando da Vida do Brasil pare che ci sia solamente gente che chiacchieri. Tante copertine colorate di libri lungo via del Pigneto, pochi cartelloni pubblicitari, nessun auditorium con poltroncine in tessuto. Una biblioteca che festeggia il suo compleanno da un giorno, molti giovani al suo interno, Ascanio Celestini che rivisita la storia attraverso una storia dal carcere: Pro Patria, la prima orazione. 
Un excursus storico-politico intreccia similitudini di eventi, dalla fuga di Pio IX alla Repubblica Romana che sfocia nel Risorgimento Italiano, dalla Lotta di Liberazione Nazionale agli anni Settanta. Si evince il Positivismo della Storia, scritta sempre dai vincitori e dunque sempre “cavalleresca”, i personaggi tramandati nei secoli diventano eroi, sono stati eroi, si dice; ma lo erano realmente? Garibaldi è davvero stato un eroe o sono stati i posteri a renderlo tale? Karl Marx, Sandro Pertini e Papa Wojtyła, la triade ricorrente degli eroi secondo Ascanio Celestini.

Una questione di soggettività. Genesi del brigatismo a Reggio Emilia


Una questione di soggettività
Genesi del brigatismo a Reggio Emilia
di Giulia Saccani

bébert edizioni, Bologna 2012





Il nostro sito si occupa nella stragrande maggioranza dei casi di libri o questioni inerenti alla letteratura, con il testo di Giulia Saccani invece portiamo all’attenzione dei nostri “naviganti” un libro di storia. Si tratta di una deroga, di un’uscita dal seminato giustificata non solo dalla contiguità delle due discipline, riconosciuta fin dall’origine della cultura occidentale, ma anche dal tema d’indagine scelto dall’autrice, l’origine della lotta armata in Italia tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio dei Settanta, che è un tema, un plesso di fatti, situazioni, sentimenti, stati d’animo, ecc., che spesso la letteratura contemporanea ha cercato di rappresentare. Il rapporto fluido, malleabile, a volte indecifrabile, mai comunque deterministico, tra dati oggettivi, situazioni storiche, sociali, economiche, e scelte soggettive e concrete realizzazioni fattuali, che è il punto di partenza di questa ricerca storica, è anche uno dei temi prediletti di tanta letteratura. A queste giustificazioni, ne aggiungo altre due più personali, più soggettive: la giovane età della ricercatrice (nata nel 1985) per cui queste note di lettura vorrebbero essere un riconoscimento della qualità della sua ricerca e un incoraggiamento per il futuro; e la giovane età della casa editrice (questo è il libro d’esordio) i cui progetti editoriali, consultabili sul suo sito internet, mi sembrano condivisibili.

Una questione di soggettività cerca di ricostruire, sulla base della pubblicistica dell’epoca, della bibliografia specifica e della diretta consultazione di alcuni dei protagonisti della vicenda, la nascita del primo nucleo, della prima aggregazione a Reggio Emilia di quella che, negli anni successivi e confluendo in altre organizzazioni del Nord-Italia, sarà una delle basi per lo scatenamento in Italia della lotta armata di sinistra. Una storia locale, quindi, che termina proprio quando quel primo nucleo fa una scelta radicale, nazionale e irreversibile.

Il Salotto di #CritiCOMICS: Intervista a Filippo Biagioli

Innanzitutto benvenuto nel nostro salotto Filippo, è un vero piacere averti qui per parlare della tua opera, recensita su #CritiCOMICS, Criba.

Il piacere è mio, grazie a voi per avermi invitato!

Iniziamo con le domande allora.
Disegnare un fumetto non è certo cosa da tutti, richiede tempo, dedizione e talento artistico. Come è nata la tua passione per i fumetti e quando hai deciso che ne avresti sceneggiato e disegnato uno?

Mio padre aveva moltissimi albi: Tex Willer, Diabolik, Piccolo Ranger, Topolino e qualche volta leggeva anche Martin Mystère. Per questo motivo, fin da bambino, era facile che entrassi in contatto con i fumetti. Non ne ho letti molti, spesso mi limitavo solo a sfogliarli. Amo però i libri come opera d'arte vera, quindi appena potevo chiedevo a lui di comprarmi anche riviste di settore e i pochissimi fumetti giapponesi che si trovavano in edicola. Magari continuavo a non leggerli, però rimanevo lì a osservare i disegni, sfogliare, osservare e continuare di nuovo a osservare. Questo mi aveva fatto nascere il desiderio di creare una storia tutta mia, anche perchè nel frattempo avevo iniziato la mia vita artistica e spesso accade di voler veder vivere i personaggi che dipingi su tela... Mentre nel mio fare arte mi ero liberato di tutti quei vincoli mentali che purtroppo ci portiamo dietro, nel fumetto non c'ero riuscito. Per cui, con il retaggio dei pochi fumetti letti e dei tantissimi visti, ero bloccato da tutte quelle “regole” scenografiche, di metrica, di dialogo che ci sono in un fumetto. Nel 2009 invece, una serie di fortunate e simpatiche coincidenze mi fecero capire che potevo fare un fumetto nella stessa maniera in cui faccio arte, quindi nacque Criba.

Tutti i fumettisti cominciano da qualche parte nella loro carriera, Criba è il tuo fumetto d'esordio, oppure avevi già qualche altro lavoro nel cassetto prima di questo?

Un fumetto vero e proprio no. Criba è il primo in assoluto, proprio per i motivi che ti dicevo sopra. Nel mio modo di vedere invece, credo di aver disegnato tanti “fumetti” prima di affrontare Criba. Nei miei dipinti uso molto la parola, anche solo come segno grafico, con essa anche tantissimi personaggi. Questo è il motivo per cui credo che si possano definire una sorta di comics su tela.

Durante la lettura non si può fare a meno di notare che Criba è un fumetto molto particolare, riflessivo, metafisico. Ti va di parlarcene?

La cosa più bella di Criba è che ogni lettore lo interpreta in base all'approccio che ha con il libro o in base alle sue emozioni del momento. Ci sono persone che leggendolo più volte hanno trovato sfumature sempre nuove. I giudizi che ne vengono fuori sono i più disparati, questo è molto divertente ma anche interessante sotto l'aspetto della comunicazione. Questo accade perché la storia racchiude molti simboli che io ho il piacere di disseminare nei disegni, rebus o messaggi nascosti “tra le righe”. Tutto ciò fa parte dell'esoterismo racchiuso dentro Criba.

Moreno Montanari, "La filosofia come cura"



La filosofia come cura
di Moreno Montanari


Mursia, 2012

pp. 162
14,00



La nuova collana "Tracce" di Mursia favorisce un approccio discendente alla filosofia, un calarsi della speculazione verso l’individuo, aiutandolo nella sua vita quotidiana. Il saggio di Moreno Montanari, La filosofia come cura, è un excursus sul pensiero filosofico, con particolare attenzione per i filosofi di contenuto psicanalitico e per le filosofie orientali, in una sorta di fusion fra Hegel, Nietzsche e le pratiche di meditazione, il tutto integrato in senso olistico. Il testo si situa all’interno dell’odierno orientamento antinegativo, ribaltandolo.
L’immagine che oggi siamo obbligati a dare di noi è quella di persone positive, solari, sane, benestanti e sempre felici. Ogni sofferenza, ogni riflessione sulla morte e sulla malattia, sull’utilità o meno della vita, devono essere occultate, rimosse, bandite, altrimenti si è negativi, si attira il male, si porta male agli altri. Essere infelici non è più in voga, l’uso di antidepressivi è aumentato in modo esponenziale, chiunque provi emozioni difficili da gestire, chiunque abbia subito un lutto, prende una pasticca salvifica, come se piangere un morto non fosse più naturale. E non solo si ricorre ai farmaci per gravi depressioni postraumatiche, ma anche per piccoli disagi, come il non aver voglia di studiare o sentirsi giù di corda durante le festività.
Si hanno tre approcci alla sofferenza: quello medico, che considera il male come prodotto organico e lo cura con i farmaci medicalizzando ogni aspetto della realtà, quello psicosomatico, che lo cura con la psicanalisi, e quello scelto da Moreno, cioè il filosofico.
Sin dai tempi di Eraclito, la filosofia ci esorta a non giudicare, a non sentenziare ciò che è bene e ciò che è male, ciò che va mantenuto e ciò che va estirpato. Anche il male, come ogni altro elemento, fa parte del tutto, in una visione olistica. La sofferenza non è figlia del peccato né è malattia, ma una risorsa da non trascurare o rimuovere. Moreno Montanari ci spinge a rivalutare il negativo e il dolore come straordinari stimoli al raggiungimento di un sé più autentico. Star male anche psicologicamente, aiuta a rafforzarsi, a reagire, a sopportare, che non vuol dire soffrire inutilmente o idealizzare il dolore.
L’esperienza della sofferenza, per quanto dolorosa possa essere, reca infatti con sé la possibilità di attivare forze, qualità, riflessioni e sentimenti che diversamente non conosceremmo né attiveremmo mai. (pag. 30)
Moreno parla di iatrogenesi della malattia. È il medico a stabilire che siamo malati o depressi trasformando problemi esistenziali ed umani in patologie da curare con le medicine, togliendo al paziente la responsabilità della sua vita, rendendolo dipendente da figure esterne.

Dai diari di Scipio Slataper

Appunti e note di diario
di Scipio Slataper
a cura di Giani Stuparich
Milano, Mondadori, 1953



Scipio Slataper è ricordato per la scrittura di quel singolare romanzo di formazione dalla profonda impostazione autobiografica e lirica che è Il mio Carso. Ma è davvero un autore da unica opera? Nonostante la giovanissima età in cui ha trovato la morte nella Prima Guerra Mondiale, Scipio Slataper ha avuto una fervida attività di scrittura, che l'ha reso un entusiasta "grafofilo", senza però scadere nella grafomania. 
Lettere, appunti di lavoro e note di diario hanno accompagnato la stesura del Mio Carso, rispettando il disordine e la sregolatezza proprie della vitalità dell'autore. Come precisa Giani Stuparich, curatore della raccolta di Appunti e note di diario, uscita per Mondadori negli anni Cinquanta e purtroppo fuoricatalogo da troppo tempo, i foglietti sparsi, i tanti quaderni iniziati e abbandonati rivelano la mancanza di pazienza di Slataper e la conseguente tendenza alla discontinuità. Secondo Stuparich, amico e critico, Scipio  «pensava se mai alla possibilità non d’un diario sentimentale o estetizzante, ma d’un diario morale»[1] in cui si cimenta fin dal 1905 (anche se le prime note di qualche interesse si affermano dal 1907). Molto spesso i quaderni sono indirizzati a un amico, cui Scipio si rivolge direttamente, come nel caso del "Diario per Marcello" nel 1907:
6 febbraio 1907 (dopopranzo)
[…] Tu non puoi credere con quanto piacere di sollievo io scriva: mi par di scoprire con un lieve gesto me a me stesso.
Volevo scrivere veramente “me a te”, ma scrivendo intuii la vera fonte di letizia. Così spesso mi accade: sulla carta i miei pensieri si fanno precisi. Nella parola detta invece la mia mente non sa pulire le loro sbavature. Anche: scrivendo non posso dir bugie.
Parlando, qualche volta, voglio non dirle. Però, forse per abitudine, sono abbastanza sincero.[2]
In tal senso, dunque, i diari diventano anche il luogo per celebrare un'amicizia, rinfrancarla e pensare a una futura rilettura, da adulti: 
[…] Per riposare, rileggo ciò che scrissi. Che splendida idea la mia! I due libretti saranno la cronologica storia delle nostre anime. Pregusto, nella gioia contemporanea, la gioia che ne verrà fra anni: rivivremo.[3]
Ma scrivere il diario è, per Scipio, anche uno sforzo di autocritica ("In fondo tener un diario non può voler dire altro che giudicarsi ogni giorno", [22]e riflessione interiore, un "vangare la sua anima[4], a conferma dell'aspetto introspettivo che è proprio delle scritture del sé. Oltre a questo, nella eterogeneità dei frammenti troviamo spesso accenni alla ritualità della pratica quotidiana diaristica ("Penso che scriver qui qualche cosa ogni sera è come un atto di preghiera", [14]), ai dubbi sulla sua utilità ("Scipio, sai che cosa hai scritto questa sera?  Sei proprio convinto o è il tuo personaggio che ha parlato in te? Io non so, non so", [11]) e alla sua sospensione, per motivi esterni o per semplice dispetto ("Ti dirò perché tu mi comprendi e perché mi sei sorella. Ma ora non ho più voglia", [13])

... E XS d'autore continua!


Carissimi, dopo le prime settimane di "assaggi di lettura" degli ebook di XS d'autore siamo molto felici di anticiparvi qualcosa delle prossime uscite (le trovate in vendita già da oggi e nelle prossime settimane ne leggerete su CLetteraria):



Pietro Ichino, Dopo il terremoto Fornero.
Quasi un capitolo al libro Inchiesta sul lavoroun aggiornamento sulla situazione dopo il terremoto politico e l’avvento del governo Monti.


Sandro Veronesi, Cento piccoli Totti
Un padre che porta il figlio agli allenamenti di calcio al Testaccio, dove tutti i ragazzini hanno la maglia di Totti, e analizza il comportamento degli allenatori e il mondo del calcio in nuce (già uscito su Nuovi Argomenti).

Fabrizio Biggio, Francesco Mandelli e Martino Ferro (I soliti idioti), Dài, cazzo, Gianluca!
Anticipazione del libro in uscita martedì, con in esclusiva per la prima volta l’immagine della fidanzata di Gianluca.


Rick Riordan, Percy Jackson. Il racconto segreto
In esclusiva conoscerete i protagonisti della serie di racconti su Percy Jackson (in pubblicazione).

Pillole di Autore - XS d'autore presenta Picasso secondo FrancescoBonami


Ci sono occasioni che solo il digitale può dare, vuoi per rapidità di pubblicazione vuoi per la possibilità di aggiornare via via i propri contributi, garantendo di essere sempre al passo, senza cadere nell'anacronismo. Così si spiega l'uscita estemporanea di Con Picasso incasso!, in occasione della mostra milanese di Picasso con capolavori dal museo nazionale di Parigi. A dire la sua è stato chiamato un critico d'arte di primo rilievo, Francesco Bonami, che forse ricorderete per alcuni titoli tra il provocatorio e il giocoso: pensate almeno a Lo potevo fare anch'io o a Si crede Picasso, fino al titolo parlante Dopo tutto non è brutto, che sfatano la convinzione ancora diffusa che arte coincida con bello estetico. 
Dunque, con questo ebook, di cui ci è stata concessa l'Introduzione, vedrete come la penna di Bonami riesca con un piglio colloquiale a scardinare i pregiudizi del lettore che solitamente non si accosta al saggio d'arte e, soprattutto, come possa arrivare efficacemente al messaggio di fondo.   



Introduzione: Picasso Coca-Cola



Anni fa, quando ancora il servizio militare era d’obbligo,l’esercito sottoponeva le nuove leve militari a test diculturagenerale con domande di vario tipo. Una di queste era:«Chi è Leonardo?». Le risposte erano svariate. Qualcuno,pare, rispose: «Il papa». Incredibile, ma vero. L’artistaautoredel quadro più famoso al mondo, La Gioconda, nonera
così famoso come uno avrebbe potuto immaginare.Se la domanda fosse invece stata «Chi è Picasso?»,probabilmentela maggioranza, se non tutti, avrebbe dato la rispostagiusta. Com’è possibile che il genio dei geni, il grandeLeonardo da Vinci, sia meno famoso di un artista moderno,del quale per altro pochissimi saprebbero menzionareun’opera? Perché Picasso è così famoso e perché ogniesposizioneche porti il suo nome è una garanzia di successo dipubblico, non importa cosa ci sia dentro la mostra?Semplificando, si potrebbe dire che la fama di Leonardosia stata offuscata proprio da quella di una sua opera, La
Gioconda appunto.Talmente famosa è questa tavola dipinta
a olio da far dimenticare il suo autore. Per Picasso valeesattamente il contrario. La produzione sconfinata diopere,fra le quali nessuna veramente superfamosa, gli haconsentitodi incarnare, senza essere disturbato dalla propriaarte, il mito assoluto dell’artista moderno, diventando laprima vera star della storia dell’arte: il suo voltoinconfon4
dibile, la sua maglietta a righe blu una divisa, la suavitaun’avventura, anche se poi trascorsa per la maggior partefra le pareti di qualcuna delle sue ville nel Sud dellaFrancia.Da Picasso in poi tutti gli artisti faranno la propria«gara»pensando a lui, tentando di raggiungere con tutti i mezzi,spesso molto più sofisticati e globali di quelli di cuidisponevalui, la notorietà e il successo che il nostro maestroha accumulato nel corso della sua lunga vita, conclusasinel 1973 all’età di 91 anni. Una vita che, come un ottimofondo d’investimento, continua a produrre ricchezzanon solo per gli eredi, ma anche in tutti quelli cheancoraoggi continuano a maneggiare le opere di questo esageratogigante dell’arte moderna. L’influenza di Picasso sullegenerazioni che lo hanno seguito ha raggiunto le formepiù evidenti nei «Pichirst», i «Picattelan» o i«Pickoons».Artisti che hanno fatto del proprio volto e del cultodellapropria personalità, esattamente come fece Picasso, unavera opera d’arte.La Gioconda diPicasso altri non è che lo stesso Picasso,
lui, Pablo. Come se la Monna Lisa avesse creato Leonardoe non viceversa. La cosa, però, sorprendente e anchemisteriosadel successo di Picasso è che quando l’artista iniziòa diventare famoso non aveva a disposizione né la stampané Facebook né Internet né Google né qualche agente dipubbliche relazioni. Non basta. Picasso parlavaesclusivamentefrancese e spagnolo, non conosceva l’inglese e nonandò mai negli Stati Uniti d’America, dove uno dei templidell’arte, il Museum of Modern Artdi New York,lo celebròe continua a celebrarlo nella propria collezione comeuna divinità.Non solo. Questo pittore più famoso di Michelangelo edi Leonardo, e anche del papa, è stato capace ditrasformarepure il proprio cognome in un logo, una marca, celebriquanto la Coca-Cola o il McDonald’s. La firma di Picassosuuno stendardo non lascia dubbi: anche chi non sa leggere olegge solo il cirillico, l’arabo o gli ideogrammi cinesi,giapCon
ponesi o coreani la riconosce. Picasso è un nome, unascultura,un simbolo, una marca come potrebbe essere Prada.Nelle pagine che seguono tenterò di capire e anche dispiegare come un fenomeno del genere possa essere nato,cresciuto ed esploso in modo così incontrollabile eaffascinante.Come un artista sia stato capace di rimanere se stessosuperandosi e superando le migliaia di opere prodotte.Si potrebbe dire che se in un rogo bruciassero tutte lesuetele, le sue stampe, i suoi disegni e le sue sculture,lui, Picasso,rimarrebbe ugualmente ed eternamente in cima allapiramide della storia dell’arte, impossibile da cancellareodimenticare a prescindere dalla qualità di ciò che hafatto.Vedendo il disegno di un bambino sul frigorifero dellacucina,anche il più sprovveduto visitatore digiuno di arteesclameràsempre, senza nemmeno sapere cosa dice e di cosaparli: «Stai a vedere che tuo figlioti diventa un Picasso!».

Clicca qui per proseguire con la lettura.

Come sempre si ringraziano l'autore e l'editore per la gentile concessione. 
Vi annunciamo con grande piacere le prossime uscite per XS d'autore:

  • Rick Riordan, Percy Jackson
  • Pietro Ichino, Dopo il terremoto
  • Sandro Veronesi, Cento piccoli Totti
  • Fabrizio Biggio, Dài, cazzo, Gianluca!