Esistono diverse interviste, vere e presunte, rilasciate da Pier Paolo Pasolini. Il motivo è ampiamente comprensibile: chi lo conosce, anche superficialmente, si rende subito conto della
grande capacità critica e soprattutto autocritica che lo contraddistingueva, capace com’era di esprimere in maniera immediata dei concetti complessi, frutto di meditate riflessioni e spesso sorprendentemente previgenti, soprattutto in ambito storico-sociale.
Una di queste interviste per esempio è di Furio Colombo (diventata poi anche libro), “ultima” nel senso temporale del termine, perché rilasciata poche ore prima che fosse barbaramente assassinato in circostanze tuttora non chiarite; ce ne sono poi altre, altrettanto interessanti di Enzo Biagi, Dacia Maraini e così via.
In ognuna c’è una caratteristica specifica, perché Pasolini comunicava sempre con lucidità, e con altrettanta lucidità riusciva a guardarsi dentro.
Il miglior critico di Pasolini era, infatti, Pasolini stesso: con il suo sguardo poetico, artistico, politico, sociologico, psicologico era in grado di estraniarsi dal suo personale contesto, individuando sfumature e complessità, dove gli altri ingenuamente semplificano.
E per naturale conseguenza, fu intellettuale scomodo: marxista ma espulso dal Partito Comunista per “indegnità morale e politica”; ribelle ma critico verso il movimento di contestazione del Sessantotto (critica che destò particolare scalpore con la poesia “Il PCI ai giovani!”); omosessuale quando era un delitto morale esserlo; sempre e comunque contro il potere, l’oppressione, la massificazione.
In un commento al film “Teorema”, il regista Jean Renoir (figlio del celebre pittore) affermerà:
“A’ chaque image, à chaque plan, on sent le trouble d'un artiste”
(Ad ogni immagine, ad ogni piano, si sente il turbamento di un artista).
La grande e multiforme capacità di Pasolini di essere artista si risolve tutta in questo “turbamento”, un’inquietudine di fondo che si percepisce anche nell’intervista su cui ci soffermeremo (diventata anche libro: “Pasolini rilegge Pasolini” con cd audio annesso), destinata a “uso degli studenti e dei professori di letteratura italiana delle università italiane”, curata da Giuseppe Cardillo, direttore dell’Istituto Italiano di Cultura di New York, (città di cui si dichiarerà affascinato) dove si era recato per qualche giorno Pasolini.
Sollecitato nel ricostruire il proprio mondo (poetico, cinematografico, politico, personale) Pasolini esordisce con un paragone – direi quasi poetico – con il cinema (riferendosi in realtà a un suo recente e breve saggio di linguistica e semiologia “Osservazioni sul piano sequenza”).
La realtà, dice, è come un infinito piano sequenza. Anche il cinema, di fronte a questo svolgersi continuo di avvenimenti, è di conseguenza teoricamente un piano-sequenza infinito.
In concreto si esprime però per segmenti ovvero come l’interruzione non naturale di un flusso continuo.