Diecipercento e la gran Signora dei tonti di Antonella Di Martino


Diecipercento e la gran Signora dei tonti
di Antonella Di Martino
Autodafè Edizioni, 2011

pp. 124
€ 13,00

Diecipercento è il soprannome di uno spregiudicato politico. Ha passato la maggior parte delle propria vita a costruire una posizione sociale di uomo ricco e furbo che frega sempre gli altri sul tempo e gestisce i problemi con pragmatica superficialità. Margherita è un’insegnante che crede nella propria professione, ha un marito che ama profondamente e ha improntato la propria esistenza alla massima sincerità e onestà intellettuale perché ferita da un passato e da legami deludenti. Questi due personaggi non potrebbero sembrare più lontani, ma in realtà li lega un passato e un rapporto familiare: sono zio e nipote. Diecipercento è morto e osserva le persone che hanno fatto parte della sua vita mentre si affannano a rimettere insieme i pezzi che il suo vuoto a creato, a fare supposizioni, a dare interpretazioni. 
Il potente uomo d’affari è stato ucciso o si è suicidato? Ma perché avrebbe dovuto farlo?
Tante domande affollano la mente delle persone vicine al defunto, soprattutto quella della nipote che è tornata dopo anni nella sua città natale per cercare anche altre risposte, più profonde e più importanti, che riguardano anche il suo passato. È un viaggio catartico quello di Margherita, le servirà per vincere fantasmi che non la lasciano in pace, per esorcizzare paure e brutti ricordi che condizionano fortemente il suo presente di donna. Mentre lei trova queste risposte e indaga sulla morte dello zio, quest’ultimo la segue e, in questo percorso accidentato, cerca di capire se stesso. 

L’intima indagine dei sentimenti, dei rancori, delle paure dei protagonisti rende l’idea di una discesa in profondità verso delle verità importanti e, contemporaneamente, comunica quella di una faticosa risalita verso un altrove più sereno. È un viaggio che ha per meta la completezza: per Diecipercento l’accettazione di una vita trascorsa sprecando le occasioni e sottovalutando la parte buona di sé, per Margherita un ritorno alla spensieratezza e alla leggerezza che non sentiva da tanto, oppressa com’era dai ricordi e dai pesi del tempo passato. 
Antonella Di Martino si approccia, con questo romanzo, a un’impresa non facile: l’esplorazione interiore di personaggi complessi che appaiono in un modo e nascondono dell’altro, intrinsecamente condizionati da quello che sono stati, impegnati a sfruttare la loro (ultima per uno dei due) occasione di riscatto. Intorno c’è la definizione di tutto un contesto sociale e familiare circostante che arricchisce e completa i protagonisti. Nel corso della lettura diventa chiaro come il sistema dei personaggi sappia riflettere molti dei lati oscuri delle famiglie e della società di oggi. E sorprende come, pagina dopo pagina, il lettore si fermi a riflettere per riconoscere in Carlo, Elisabetta, Maman, la Signora, Antonio molti dei volti che affollano anche la propria vita e –perché no- anche alcuni volti di noi stessi. Questo romanzo colpisce per il modo con cui, in apparente semplicità, riesce a svelare dinamiche complicate e a sciogliere nodi indistricabili.  
Ancora una volta la casa editrice Autodafè si conferma nella scelta di romanzi che non sono begli oggetti chiusi in se stessi ma superfici che riflettono la realtà di tutti e per questo sono capaci di parlare a molti. E, in questo caso, lo fa con un testo che è interessante sotto molteplici punti di vista: dal titolo che stuzzica il lettore fino al genere che si sottrae a semplici classificazioni. Non è un giallo tout court né un noir ma ha degli elementi di indagine molto intriganti, non è un romanzo fantastico ma c’è l’affiorare di una dimensione altra dall’ordinario, è un po’ romanzo sociale, un po’ romanzo psicologico. È un testo ricco che non ha bisogno di essere etichettato per affermare che si tratti di un buon romanzo. Senza banali semplificazioni porta a galla differenze di valori, di sentimenti, di caratteri non con facili opposizioni ma in modo problematico e dialettico. 
Alla fine il lettore comprende come il divario tra i due protagonisti non è poi così grande come sembrava all’inizio, si sono ritrovati trovando quella parte di sé che pareva perduta. Anche se non sono riusciti a dirsi quel che provano guardandosi negli occhi perché il tempo non l’ha permesso, in un modo straordinario riescono comunque a comunicare, sintomo del fatto che spesso si è separati da distanze che paiono infinite ma che poi alcuni eventi e stati d’animo portano a riconsiderare. C’è tanta ironia nel romanzo e non manca profondità. Ma c’è anche straniamento: il lettore comprende molte cose ponendosi dal punto di vista di un fantasma e da quello di una donna che torna al passato come un’outsider. 

Margherita sospirò e si stiracchiò. Pensò all’angolo di pace e all’abbraccio che la stavano aspettando. Provò un’emozione che la riscaldò fino al midollo. Diecipercento raccolse sospiro, pensiero ed emozione. Non era divertimento, non era gioia: era qualcosa di meglio, di più solido; un sentimento dalle radici profonde. Era proprio lei: la maledetta felicità. Lui l’aveva assaggiata solamente nella sua infanzia. Era bella da morire, ma in vita avrebbe potuto goderne ancora. Il dolore della scoperta lo frantumò come un ghiacciolo.

Forse c’è sempre un’altra occasione per cogliere il senso della propria vita e delle proprie azioni e fare i conti, proprio come Diecipercento, ma questa volta finalmente non con gli altri, bensì con se stesso.


Claudia Consoli