Taylor’s Version. Il genio poetico e musicale di Taylor Swift
di Stephanie Burt
Nottetempo, novembre 2025
Traduzione di Milena Sanfilippo
pp. 384
€ 19,90 (cartaceo)
€ 13,99 (ebook)
Taylor’s Version di Stephanie Burt si presenta come un saggio succosissimo: un soggetto centrale nella cultura pop contemporanea, analizzato con rigore da una delle studiose di poesia più importanti di oggi. Burt infatti non è una critica pop prestata all’accademia, ma l’esatto opposto: poetessa, saggista, professoressa di inglese ad Harvard, una vita passata fra poesia contemporanea e critica letteraria. Il libro nasce dal suo corso “Taylor Swift and Her World”, che ha attirato titoli di giornale e code d’iscrizione infinite. L’idea era buona: per una volta, prendere Swift sul serio, leggerla non come fenomeno virale ma come autrice vera e propria, chiedendosi il perché di un successo planetario di questo tipo.
La struttura è rigorosa e quasi elegante nella sua semplicità: ogni capitolo corrisponde a un album, dall’esordio country adolescenziale fino al titanico Eras Tour di una Swift ormai adulta. Burt in ogni capitolo tratta sì di ciascun album, analizzandolo a fondo, ma anche della carriera di Swift, del suo percorso di crescita, tra tonalità emotive, incidenti di percorso, trasformazioni pubbliche e private. E, album dopo album, costruisce la sua tesi principale: Taylor Swift è diventata Taylor Swift per tre motivi. Primo: è aspirazionale ma “come noi”, una figura che ci sembra vicina, ma alla quale allo stesso tempo vorremmo assomigliare. Secondo: nella sua musica le parole non costituiscono una poesia a se stante, ma utilizzano la melodia per prendere vita e comunicare emozioni. Terzo: lavora, lavora tantissimo, instancabilmente, e trasforma questa fatica in parte del proprio mito.
Fin qui tutto funziona. Burt dedica parecchie pagine ad analizzare individualmente le canzoni di Swift, descrivendone l’assetto melodico in modo davvero professionale (a volte, per una non esperta di musica come me, anche troppo) e collegandosi perfino alla poesia inglese dei secoli scorsi, rincorrendo parallelismi letterari con una naturalezza che a tratti affascina davvero. C’è un gusto preciso per il dettaglio linguistico, per la metafora nascosta, per il collegamento, che tradisce l’impostazione accademica statunitense, e che in alcuni momenti riesce davvero a far vedere Swift da una prospettiva nuova, più colta, più stratificata.
Ma, arrivati alla fine, è difficile non provare una lieve delusione. Perché Burt e il suo curriculum avrebbero dovuto promettere critica, distanza, lucidità; e invece l’autrice finisce spesso per fermarsi in superficie. Non mette davvero in discussione il perché una miliardaria possa fondare la propria presa sul pubblico sull’essere “relatable”, né si avventura davvero a criticare l’episteme americana della rincorsa del successo a tutti i costi che stanno dietro al suo duro lavoro così tanto celebrato. E soprattutto, ripete costantemente quei tre punti di cui sopra anziché dimostrarli davvero, fino a svuotarli. Le citazioni letterarie abbondano, ma non sempre illuminano; a volte sembrano solo un modo di dare solennità a ciò che è, in fondo, un atto di ammirazione.
Il risultato? Un libro intelligente ma un po’ morbido, un saggio che sembra voler spiegare il fenomeno Swift ma in realtà spiega soprattutto perché Stephanie Burt, autrice intelligente ed esperta di poesia, è una fan di Swift. Ed è interessante, certo. Ma non è la stessa cosa. Alla fine si chiude il volume con la sensazione di aver letto tante parole, tante analogie, tanti rimandi… senza aver ricevuto davvero la chiave che il libro prometteva. E ci si ritrova a pensare: bene, ora sappiamo cosa significa Swift per Burt; ma non è chiaro cosa dovrebbe significare per il resto di noi.
Marta Olivi
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