«Il mare ghermirà tutte le vite che vorrà portarsi via»: e il mare, lui, al centro dei segreti e delle colpe di "La fortuna dei Kérambrun", di Hélène Gestern


La fortuna dei Kérambrun
di Hélène Gestern
Neri Pozza, luglio 2025

Traduzione di Roberto Boi

pp. 512
€ 22 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)

Faccio esattamente quello che sconsiglio sempre di fare ai miei corsisti quando parliamo di recensioni e di critica letteraria: inizio con una riflessione personale, uno spunto autobiografico, consapevole che ai lettori poco o nulla importa di questa strada che ho deciso di percorrere prima di parlare del libro oggetto della recensione. Mi perdonerete, spero, se questa volta vi parlo di me, almeno un poco, di una strada reale, che ho percorso qualche mese fa e alla quale non ho smesso di ritornare col pensiero. È la strada – diverse strade – che si snoda lungo la costa bretone, in un viaggio attraverso villaggi e città, un itinerario fatto di qualche tappa scelta e molte altre improvvisate e scoperte lungo il percorso. Dal cuore della Francia, passando per la Normandia e arrivando in Bretagna, alla sua costa. Di fronte a quel mare, ora impetuoso ora ingannevolmente docile, alla fascinazione delle maree, alle falesie, alle dune di qualche spiaggia solitaria, alle piccole isole poco al largo della costa, ecco, lì ho capito molto di me, di questi miei quarant’anni, del posto che occupo, del luogo cui appartengo. L’odore salmastro che solo chi vive di fronte al mare sa evocare così esattamente nelle sue sfumature, tante quanto il blu di cui quell’acqua si compone. Mi perdonerete, dunque, questa piccola digressione personale, e sono certa capirete perché immergermi tra le pagine de La fortuna dei Kérambrun, il romanzo di Hélène Gestern pubblicato la scorsa estate da Neri Pozza (e abilmente tradotto da Roberto Boi) abbia evocato ricordi, familiarità con quell’elemento che è protagonista assoluto di questa storia.

Il mare è il cuore del romanzo di Gestern: il centro della vita e degli affari dei Kérambrun che affondano nelle imprese di Octave, iniziatore della dinastia di armatori arrivata fino al protagonista e narratore della storia, Yann. È qui, però, che in un certo senso il legame si spezza e il figlio prende una strada altra rispetto a quella tracciata per lui dal padre: Yann, molti anni prima, aveva scelto la carriera accademica, distanziandosi sempre più dall’azienda e, soprattutto, da un padre dominante, che non ammette sbagli né repliche. D’altronde a seguirne le tracce e fare ciò che ci si aspetta da un Kérambrun c’è Guillaume, l’amato fratello maggiore. È forte, affascinante, portato per gli affari, protettivo nei confronti di Yann, marito e padre devoto, l’erede ideale della dinastia. Ma Guillaume muore tragicamente in un incidente in moto e niente dopo sarà mai più come prima: il dolore investe inarrestabile la famiglia Kérambrun, alla morte di Guillaume fa seguito poco dopo la scomparsa della madre, devastata dalla perdita, il padre, Charles, di colpo invecchiato di vent’anni. Se ne va anche Charles, tensioni e questioni personali rimaste irrisolte, una distanza tra lui e l’unico figlio rimasto ormai impossibile da colmare.

E forse è proprio questo il centro nevralgico del romanzo di Gestern, le distanze, la discrepanza tra verità e apparenze, le fratture che non possono essere sistemate. Dopo tutti gli anni passati altrove, a Parigi, lontano dalla famiglia e dai suoi affari, e con una nuova crisi personale che lo travolge, Yann sceglie dunque di tornare: a Saint Malo, nell’antica dimora di famiglia, desiderata e costruita dal bisnonno, Octave, che domina la costa. Un ritorno che all’inizio ha il sapore della fuga, dai problemi a Parigi, da un matrimonio che sta andando in pezzi, una carriera soffocante e una vita priva di slancio, dalle incomprensioni con il figlio che ha scelto – in un certo senso come lui tanti anni prima – di mettere altra distanza, geografica, emotiva, andare a vivere in Germania. Una fuga che, appunto, si trasforma in qualcos’altro, la nuova quotidianità che diventa vita:

Bevo un sorso di tè. Questa mattina somiglia a tutte le altre. Eppure, sebbene abbia passato gli ultimi trent’anni della mia vita a Parigi, ho la sensazione, inaspettata e sconvolgente, di essere tornato a casa. (p. 34)

È proprio qui che Yann in modi inaspettati riallaccia il rapporto con la propria famiglia: tra gli scaffali del vecchio studio di Octave, ingombri di registri che si rivelano essere più diari che documenti della gestione aziendale, l’uomo si addentra sempre più nella storia dei Kérambrun, nella sua stessa storia, inseguendo le tracce di legami complessi, segreti, ambizioni, perdite e sentimenti. Con la tenacia e gli strumenti dello storico e una passione per il mestiere che a Parigi era venuta meno, Yann intraprende una ricerca che lo assorbe sempre di più e che si fa anche però sempre più indecifrabile, ambigua e sfuggente. Se – ancora – non riesce a mettere ordine nella propria di vita e fare i conti con le perdite e gli strappi da affrontare, forse può risolvere i rompicapi dei Kérambrun, delle cose a lungo taciute, dei drammi privati, dei legami inattesi tra i protagonisti della loro storia comune. Ripercorrendo, almeno in parte, gli stessi passi dell’amato fratello, anche lui intento a sbrogliare la storia famigliare e, forse, tentare di capire dove esattamente siano iniziati i conflitti tra padri e figli.

Penso al desiderio che m’è venuto, dopo decenni di indifferenza, di far luce sulle loro esistenze, sul loro destino. Alla sensazione, di giorno in giorno più netta, che qualcosa nella trasmissione della memoria famigliare si sia inceppato – ormai è praticamente una certezza – e al mio bisogno, sempre più indifferibile, di capire cosa. Come se ciò potesse fornirmi la chiave dei miei stessi tormenti. (p. 91)

Gestern con La fortuna dei Kérambrun sceglie di farci immergere totalmente nella vicenda seguendo Yann passo passo nelle sue ricerche, tra infinite digressioni e passaggi che talvolta scivolano nel didascalico o qualche svolta di trama prevedibile: avrebbe giovato non poco a questo romanzo asciugarne un po’ la narrazione, non perdere il filo dietro le continue digressioni non tutte efficaci e funzionali. Così come appare ai lettori è una storia godibile ma appesantita da certi difetti che è difficile ignorare, a maggior ragione di fronte a una serie di tematiche e spunti particolarmente interessanti che vengono però soffocati dalla strabordanza delle cose narrate, non sempre perfettamente coerenti tra loro. Per contro il romanzo si regge su una prosa elegante, curata – plauso alla traduzione di Boi – ricca di metafore e similitudini e saldamente ancorata a un sistema di immagini ben riconoscibile che ha nel mare il suo centro. La struttura narrativa stessa è interessante: la storia si snoda su due piani temporali differenti – il presente di Yann, il passato dove si svolgono i fatti delle sue ricerche e anche altro – e variazioni di registro nel dare voce ai diversi protagonisti della vicenda tra pensieri intimi, lettere, comunicazioni d’affari; a chiusura di ogni capitolo, poi, uno sguardo "interno" che ora prosegue nel racconto partito dalle ricerche, ora alimenta il mistero nel passato dei Kérambrun che Yann tenta di svelare e noi con lui. Una polifonia non sempre riuscita, strabordante dicevo, in cui miriadi di temi si rincorrono senza avere mai davvero occasione di essere approfonditi: il desiderio, la genitorialità, il patriarcato e il soffocamento delle aspirazioni femminili, le complessità del matrimonio… Tra questi io rincorro Julia, l'enigmatica moglie di Octave, affascinante mistero e custode di segreti e colpe inconfessabili. Bellissima, dalla ricca vita interiore che la convenienza borghese di inizio Novecento soffoca lentamente, consumata dal dolore per la perdita della figlia Suzette e da una depressione che non la abbandonerà mai. Appare appena, mai abbastanza, si mostra per ritrarsi un attimo dopo, eppure come una sirena ci ha già stregati mentre desideriamo che le ricerche di Yann, la penna di Gestern restino su di lei, le restituiscano finalmente voce a «questa donna privata delle parole» (p. 377).

La vita dei Kérambrun naturalmente non è immune a ciò che la circonda, dall’ambiente alla Storia che irrompe nelle loro vite e le stravolge. È Cézembre, forse, l’isola “maledetta” proprio di fronte alla costa, a rappresentare meglio di altro il mistero, farsi custode di segreti a lungo sepolti – letteralmente – e verità apparenti con cui fare i conti.

E laggiù, proprio davanti, Cézembre. La bella, enigmatica Cézembre. L’isola sulla quale, per settantatrè anni, è stato vietato mettere piede. (p. 35)

L’impressione generale è che Gestern si sia lasciata troppo trasportare dalle suggestioni che le sono arrivate, mancando di fare una selezione che avrebbe dato ad ognuna delle cose il giusto peso, il giusto spazio, il giusto approfondimento, per fare invece di La fortuna dei Kérambrun uno di quei romanzi-mondo in cui ogni più piccolo dettaglio deve essere riversato sulla pagina per il lettore e verso i quali, lo confesso, provo quasi sempre una certa diffidenza – molti anni fa, qui lo dico e qui lo nego, recensivo un po’ sugli stessi toni anche il romanzo di Jonathan Safran Foer Eccomi o, più di recente, Il giorno dell’ape di Murray. Ciò che davvero salva e apre squarci di bellezza struggente sono la lingua ammaliante, l’interiorità – ahimè solo sfiorata – di certi personaggi e, non da ultimo, il desiderio di rappresentare la famiglia e gli esseri umani per quello che sono: fatti di carne e sangue, difetti e sentimenti violenti, di colpe che non possono essere cancellate in un artificioso happy ending che, almeno in parte, Gestern ha saggiamente deciso di evitare. O, forse, più di ogni altra cosa è il richiamo del mare, della costa bretone sferzata dal vento, gli abissi che custodisce.

Debora Lambruschini