Tutta la verità, all'incirca
di Marta Morazzoni
Guanda, 26 settembre 2025
pp. 192
€ 18 (cartaceo)
€ 11,99 (e-book)
Ero ferma al semaforo, in una giornata di fine febbraio, quando l'ultima neve sporca e accumulata sembrava contigua alla prima sensazione di primavera. Una specie di zona d'ombra. Le zone d'ombra della mia storia con Vinia erano state un motivo di attrazione, facevano la differenza rispetto alle altre mie amicizie, frequentazioni che non avevano mai avuto una tale componente di non detto. Al principio della nostra conoscenza non avevo messo nel conto il fastidio che questo non detto alla fine avrebbe provocato. Non si sa mai quanto profonde siano le radici della normalità in cui viviamo e quanto nel profondo le siamo abbarbicati. E io che avevo immaginato di svellerla senza fatica, questa normalità, adesso dubitavo di poter tenere il passo con i tanti passaggi di luce e buio. (p. 50)
Marta Morazzoni, celebre autrice del libro La ragazza col turbante (raccolta di racconti esordiente e finalista al Premio Strega 1986), torna in libreria con sette brevi storie nuove, slegate tra loro in termini di personaggi e trame, ma accomunate da una connotazione malinconica, da storie d'amore e d'amicizia incomplete, fallite, da vite non del tutto vissute fino in fondo.
Altra nota comune sono le arti: il primo racconto, Vinia, si concentra sulla musica, sul teatro; il secondo, Il cinefilo, sul cinema; la ribellione della protagonista di Kick si lega al rapporto forse proibito tra professoressa e preside ne La ricetta; in Maugham si citano romanzi e autori famosi; in Pinkerton un uomo ormai non più giovane cerca di ricordare, facendo esperienza di quel ricordo in loco, il suo rapporto con una geisha, risalente a quasi trent'anni prima.
Ciò che lega tutti i racconti, quale più lungo e quale più breve, è il non-detto: Vinia, nel primo racconto, non dice nulla di sé, non racconta a Ida, sua pupilla e amica, della sua famiglia, di suo figlio, dello strano e conturbante rapporto con un amico medico forse amante del passato; ne Il cinefilo, il giovane protagonista aspetta e aspetta e aspetta per tutta la durata del racconto di incontrare di nuovo un uomo con cui aveva condiviso una breve ma intensa parentesi di critica cinematografica senza però riuscire a rivederlo.
Il non-detto (in questo caso, il non-realizzato) avviene nel momento in cui l'uomo si palesa ma non lo riconosce: quindi qui abbiamo non solo un sentimento di frustrazione, ma soprattutto di delusione cocente.
Quella facilità gli sarebbe mancata sempre, così come sempre avrebbe avuto la convinzione di dover diffidare. Di chiunque. Era diventato grande in questo modo, con gli occhi che si dirigevano rapidi verso l'avvisaglia di un pericolo. E tutto era un pericolo. La similitudine giusta è quella di un nuotatore che, abile e di buona muscolatura, abbia l’ossessione che un crampo, in qualsiasi momento e a tradimento, lo trascini in fondo. (pp. 69-70)
Anche i due protagonisti di Kick - Kathleen Kennedy Cavendish (detta appunto Kick) e sir Peter Wentworth-Fitzwilliam - recitano la parte dei due apparentemente risolti, felici, promessi, salvo interrompere le proprie vite sul più bello.
Mi pare di aver percepito una vena di malinconia in tutti i racconti, di rimpianto quasi, come se tutti i rapporti che l'autrice descrive siano destinati alla incompletezza: coppie sfortunate, amicizie fallite, amori persi, amori abortiti, passati che tornano ma senza forza, personaggi un po' inetti, senza nerbo, che si lasciano trascinare dagli eventi senza avere la forza o il polso di controbattere, di invertire il flusso.
Altri elementi che legano le sette storie sono l'avvicendarsi delle stagioni (spesso piove o nevica), la preferenza ad ambientare le storie a Milano e provincia e la presenza della scuola: professori, presidi, studenti e studentesse sono personaggi molto presenti, probabilmente frutto dell'esperienza diretta dell'autrice che ha insegnato Lettere in una scuola superiore.
Passarono i giorni e di Vienna mi si era ficcata nel cuore come una spina la musica del Cavaliere della rosa. Una musica che ti faceva imparare a desiderare non so cosa, e mentre imparavi a desiderarlo, quel non so cosa, l'avevi già perduto. L'altra spina nel cuore era la domanda che si era ripresentata dopo la storia da Plankl: frequentavo una ladra colta e intelligente? Ladra, non cleptomane, perché non c'era istinto nel suo agire, ma una lucida razionalità. Un'intenzione. Avrei dovuto chiederle perché, cosa rivendicasse con quelle trasgressioni. Ma non osavo. E il non capire bene, non chiarire erano insieme una debolezza e una difesa. In fondo era un'amica eccezionale, il suo mondo era così diverso da quello da cui provenivo, che l'idea di perderla, e con lei perdere quel suo sapere e conoscere e... Insomma, mi sembrava in realtà di non potermelo, non volermelo permettere. E in ogni caso, in quel periodo altre esibizioni di destrezza « furtiva», che io sapessi, non ne capitarono. (p. 18)
Alcuni racconti sono meglio riusciti di altri: Vinia, a mio avviso, resta il migliore, il più complesso e completo. Anche il secondo, Il cinefilo, segue questa linea. In generale ho apprezzato di più la prima metà del testo; gli ultimi racconti mi sono sembrati un po' deboli, a tratti noiosi, forse non sviluppati al meglio.
Resta comunque assodato che l'autrice ha uno stile molto composto, elegante, forse anche affettato in certi frangenti (come quando esprime una notte di sesso dicendo "la passammo insieme..." (p. 56). Alcuni passaggi sono vagamente anacronistici, quasi retrò. In questi termini mi ha ricordato un'altra autrice della sua generazione, Simonetta Agnello Hornby, la famosa autrice di Caffè amaro.
Se vi piacciono le storie dal sapore nostalgico, che non si concludono, che non finiscono quasi mai con un happy ending, dalla scrittura fine e ordinata, allora questa raccolta fa per voi.
Deborah D'Addetta