di Marija Stepanova
Bompiani, 3 settembre 2025
€ 18,00 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)
Questo paese era allora in guerra con un altro paese, vicino, e uccideva i suoi abitanti con armi da fuoco, missili dal cielo e a mani nude, e ciononostante non riusciva in nessun modo né a vincere né a rassegnarsi al fatto che quel paese non si lasciasse divorare. Qualche volta, abbastanza spesso, trovava il tempo di uccidere anche i suoi stessi abitanti: evidentemente pensava che fossero i suoi stessi organi, che come impazziti lo distoglievano dalla caccia e dal banchetto. (p. 9)
Di questi tempi non ci sorprende più che la storia della protagonista e quella della scrittrice aderiscano come una fotografia e il suo negativo e anche l'iniziale M. facilita il processo di riconoscimento.
Marija Stepanova è infatti una poetessa, romanziera e giornalista russa, che dà voce, attraverso la rivista indipendente Colta.ru (oscurata in Russia) alla resistenza al governo di Putin. Paga con l'allontanamento dalla madrepatria il suo impegno politico. La sparizione è espressione di questo dolore e del senso di impotenza nei confronti di una storia che appare "destino ineluttabile", così come della resistenza - morale ancor prima che politica - a quello che nel romanzo definisce "la bestia", che non è semplicemente la figura di un dittatore.
La bestia, vedete, non era davanti a me e nemmeno dietro di me, avrebbe potuto dire, si trovava sempre intorno a me, tanto che mi ci son voluti anni per rendermi conto che ci vivevo dentro, e forse ci ero addirittura nata. (p. 10)
La protagonista è una donna raminga, spaesata, e il suo spaesamento ci contagia. Tutto è rarefatto nella narrazione, sempre più Marija Stepanova porta il suo lettore ad essere disorientato, dentro ad una storia che sa di sogno, visione, simbolo e che mescola in modo ambiguo vari generi letterari. È una scrittura intima eppure politica, una scrittura che chiede al romanzo di essere ancora spazio di umanità, di riflessione e di richiesta urgente di senso.
M. è una scrittrice che non scrive più, che con la sua erranza testimonia che non si possa più scrivere in un'epoca di barbarie, che la "bestia" ha fagocitato la parola, la dicibilità del mondo.
Era tuttora convinta che il problema stesse nella bestia, e che la gente avesse semplicemente vissuto troppo a lungo nell'aria avvelenata dal suo respiro e a poco a poco avesse cominciato ad assomigliarle, o, per essere più chiari, a imbestialirsi. Con la lingua, che era molto più antica della bestia, le cose erano più complicate - ma anche quella tutt'a un tratto si era coperta di un sospetto strato viscido, si era macchiata di escrescenze infette, al suo interno erano apparse parole come liquidare, localizzazione, non belligeranti, era come se fosse impazzita e non riconoscesse più i suoni. (pp. 45-46)
Le sue peregrinazioni la porteranno significativamente a diventare la donna tagliata a metà, in un numero da circo. Chi si oppone al regime (a qualsiasi regime, al Potere) è condannato - al pari del Visconte dimezzato - a essere incompleto e scisso.
Perdere la propria patria, perdere la propria lingua, significa vivere come smemorati e, non a caso, La sparizione è costellato dalla perdita di oggetti, di treni, da memorie di telefoni o pc che non riescono a caricarsi.
Un libro importante, che ci interpella su parole quali resistenza e libertà.
Deborah Donato