«Se l’uomo ancora non ha imparato dai propri misfatti, provate voi giovani ad essere meglio dei vostri predecessori»: il messaggio di una sopravvissuta all’Olocausto alle nuove generazioni. I frutti della memoria di Edith Bruck




I frutti della memoria. La mia testimonianza nelle scuole
curata da Edith Bruck e con Eugenio Murrali
La nave di Teseo, 23 gennaio 2024

pp. 160
€ 15,00 (cartaceo)
€ 9,99 (eBook)

Il male in noi non va alimentato ma represso a favore del bene da cui nasce il bene. La scuola nazista ha disumanizzato i propri figli e non potevano che fare pena. Con le rivalse e vendette non risolvi niente. La giustizia non è di questo mondo ma ognuno di noi può renderlo più giusto senza odio verso nessuno. Questo non significa perdono ma lezione di civiltà e impegno con la mia testimonianza. (p. 56)
In questa citazione, tratta dalla lettera di risposta di Edith Bruck a una studentessa che l’aveva incontrata a scuola in occasione della Giornata della Memoria, è condensata tutta la lezione della scrittrice. La vendetta chiama vendetta, è un serpente che si morde la coda e non porta da nessuna parte, se non alla morte e alla fine della civiltà. I frutti della memoria è una raccolta di lettere, poesie e disegni che gli studenti, le studentesse e i loro docenti delle diverse scuole e Università d’Italia hanno inviato a Edith Bruck, che li ha voluti pubblicare così come le sono pervenuti, privi di correzioni e modifiche. Prima delle voci di ringraziamento dei giovani e delle persone che l’hanno conosciuta - tra cui Dario Nardella, sindaco di Firenze e René de Ceccatty, traduttore in francese dei libri di Bruck -, vi è la meravigliosa Prefazione della scrittrice. Si tratta di un messaggio rivolto ai giovani, non soltanto per ringraziarli delle loro lettere colme di affetto e ammirazione, ma soprattutto per affidare a loro la sua eredità, la sua memoria di sopravvissuta all’Olocausto, affinché lottino per una società del domani più giusta e pacifica. 

L’autrice, ebrea di origini ungheresi, ma che vive in Italia ormai da molti anni, è sopravvissuta miracolosamente ai campi di concentramento di Auschwitz, Dachau e Bergen-Belsen. Con estremo coraggio e una forza interiore fuori dal comune, ha dedicato la sua esistenza a trasmettere al mondo la testimonianza degli orrori e della disumanità che ha visto e ha vissuto durante la Shoah. Scopo del suo attivismo sono certamente la condanna ferma, ma anche la speranza nella resistenza del bene sul male, perché esiste chi, nonostante i debiti che la vita ha nei suoi confronti, conserva ancora la bontà e l’umanità.

Il libro non parla degli orrori dell’Olocausto, ma raccoglie i frutti della testimonianza di Bruck: i pensieri, le riflessioni, la voglia di agire dei ragazzi e delle ragazze di ogni età e di ogni regione d’Italia, colpiti dalla sua testimonianza, dal suo coraggio e dalla sua forza, come il dodicenne Sanli, che le scrive:
Lei rende le emozioni così vivide, che è impossibile non immedesimarsi. Quella sofferenza che milioni di persone hanno dovuto affrontare, quell’odore di morte insopportabile che dovevano ogni giorno respirare, quella libertà cancellata…rimossa per delle sciocchezze. […]. Ma il passato non si cancella, non ci sarà mai una gomma per cancellare il passato, ma ci sarà sempre una matita per scrivere il futuro imparando dai propri errori. […] Ancora ci sono milioni di persone, se non di più, a dover combattere tutti i giorni per la loro vita e la loro uguaglianza. Una parte del mondo ha deciso di tapparsi le orecchie, e di continuare a seminare terrore e morte. […] Cercherò di impegnarmi, e di fare il necessario, nel mio piccolo, per evitare che qualcosa di così sconvolgente e atroce riaccada. (p. 21)

Qualcun altro, come Laura, liceale romana, oltre a ringraziarla nella lettera, pone a Edith Bruck domande ben precise:

Com’è possibile che nonostante i passi avanti sui diritti umani e la giustizia sociale non riusciamo a porgere la mano a persone che hanno bisogno di noi e rischiano la vita per un bicchiere d’acqua? Lei ha scritto tempo fa: “Nascere per caso, nascere donna, nascere povera, nascere ebrea è troppo in una sola vita”. Lo pensa tuttora? (p.47)

Dalla lettura di queste lettere, “testimonianza della testimonianza”, toccanti per la loro spontaneità, profonde per le riflessioni, si può sicuramente dire che i racconti e i ricordi di Bruck hanno scosso le coscienze di quei giovani e di quegli adulti che l’hanno ascoltata di persona, o anche online (anche durante la pandemia la scrittrice non si è mai fermata). 

Attualmente nel nostro Paese, i sopravvissuti ai campi di concentramento sono poco più di una decina: non tutti hanno avuto la forza di parlare e di raccontare, perché sopravvivere ai propri cari, vivere quelle atrocità che i prigionieri hanno vissuto in quei terribili anni del nostro Novecento, non è assolutamente facile. Molte persone, basti pensare al grande Primo Levi, sono giunte a togliersi la vita per la “colpa” di essere sopravvissute. Ben vengano allora i racconti originali, di prima mano, le narrazioni di queste persone sempre più rare, sempre più anziane, ma, come Edith Bruck, con la forza di testimoniare.

In un mondo che, nonostante il passato recente bellicoso e insanguinato da due guerre mondiali, dalla vergogna del genocidio antisemita, continua a sporcarsi del sangue di bambini e civili innocenti ucraini, siriani, palestinesi (e non solo loro, purtroppo), volto a cercare ipocritamente e ciecamente solo il profitto in termini economici, la lezione del passato va messa a punto con urgenza, affinché i frutti della memoria di Bruck e di tutti i sopravvissuti siano veramente quelli della pace.
Ai giovani questa eredità da custodire e tramandare.

Marianna Inserra