Costruttori di mondi: l’amore-non amore in "Tomorrow, and Tomorrow, and Tomorrow", l'ultimo romanzo di Gabrielle Zevin



Tomorrow, and Tomorrow, and Tomorrow
di Gabrielle Zevin
Nord, 2023

Traduzione di Elisa Banfi

pp. 441
€ 19,00 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)
 
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“Cos’è un gioco? […] È domani, e domani, e domani. È la possibilità dell’eterna rinascita, dell’eterna redenzione. L’idea che, se continui a giocare, puoi vincere. Se perdi, non è per sempre, perché nulla è mai per sempre.” (p. 369)

Mi sono chiesta a più riprese, mentre leggevo, quale sia stata la ragione del travolgente successo del romanzo di Gabrielle Zevin. Riscontravo, certamente, una scrittura piana e gradevole, una bella attenzione ai personaggi, alcuni elementi di trama che, prevedibilmente, avrebbero potuto attrarre il pubblico. Non era però tutto lì. A mente fredda, penso che un fattore di suggestione importante sia il modo in cui viene trattato il tempo, nella sovrapposizione continua tra ricorsività e vicoli ciechi, tra fenomeni di lungo corso e incidenti istantanei che segnano le esistenze dei personaggi. Nel fatto, soprattutto, che ciò che vale per i giochi non può apparentemente valere per il mondo reale, ma poi sopraggiungono talune occasioni che paiono sovvertire questo assunto. Il caos e il caso si mettono continuamente in mezzo, rientrando nella schiera dei fattori che i protagonisti non possono controllare, e rispetto ai quali devono comunque prendere decisioni, orientare le mosse successive.

La vita di Sam e Sadie, intorno a cui si sviluppa la narrazione, è tappezzata di incontri fortuiti. Dal primo, in ospedale quando erano ancora bambini, a quello che avviene nella stazione della metro nell’inverno del 1995, quando si ritrovano dopo otto anni di lontananza. Sono giocatori, riconoscono bene ciò che è in palio. La loro amicizia è frutto di una scelta continuamente iterata, e implica, fin dalla prima volta, un rischio di cui sono entrambi consapevoli:

Concedersi di giocare con un’altra persona comporta un rischio non da poco. Significa concedersi di essere aperti, esposti, feriti. È l’equivalente umano del cane che si rotola a pancia in su: So che non mi farai del male, anche se potresti. È il cane che prende in bocca la tua mano ma non morde. Per giocare ci vogliono fiducia e amore. (p. 31)

Come in un gioco, i due condividono ricordi e regole, di volta in volta si chiamano in campo per una nuova partita («Sam poteva anche essere ignorato, ma quel riferimento infantile condiviso no. Era un invito a giocare», p. 45). Quando si ritrovano, appena superata la soglia della ventina, la loro situazione esistenziale è molto diversa, ma li accomuna una fase di stallo: Sadie si sente infatti già disillusa, cambiata e forse contaminata dalle esperienze vissute nel frattempo, prima fra tutte una relazione con un professore del MIT più grande di lei e per di più sposato; Sam, dal canto suo, frequenta la facoltà di matematica senza esserne realmente appassionato, ed è rimasto goffo, timido e solitario. Il dolore al piede, rimasto gravemente leso dopo un terribile incidente del passato, gli rende difficile non solo spostarsi, ma anche essere davvero se stesso con le persone che lo circondano, da cui non vuole essere visto come una vittima.

In Tomorrow, and Tomorrow, and Tomorrow i giochi diventano metafora, o termini di paragone, di molte situazioni del vivere, linguaggio con cui descrivere il proprio sentire o il proprio esperire («era come giocare al gioco di un’altra persona: aveva l’illusione di scegliere, ma senza poter fare nessuna vera scelta», p. 46). Sono, soprattutto, il modo principale con cui i personaggi comunicano: è parlando di videogiochi che si ritrovano, si fanno percepire la reciproca vicinanza, costruiscono orizzonti condivisi. E, come tutto ciò che concerne i progetti intorno a cui si organizza l’esistenza, anche questo non può essere preso alla leggera. Non a caso il modo in cui Sam per la prima volta invita Sadie a collaborare nella realizzazione di un videogioco ha le forme e gli intenti di una proposta di matrimonio. Successivamente, nella sezione dedicata a un nuovo progetto, Both Sides, i videogiochi diventano elemento strutturale della narrazione, che qui alterna la focalizzazione per concentrarsi ora su Sam, ora su Sadie; o, ancora, i giochi dell’azienda da loro creata, la Unfair Games, dettano la scansione dei capitoli e la linea cronologica della storia, per diventare infine il luogo esclusivo dell’incontro e di una resa dei conti, non più, o non sempre, possibile nel mondo reale.

Che l’amore è tutto quel che c’è
è tutto quel che si sa dell’amore;
eppure basta: sia il carico
in proporzione al solco.

La poesia di Emily Dickinson, posta in esergo a volume e poi ricorrente all’interno della narrazione, diventa filo conduttore, e chiave interpretativa per la relazione tra Sadie e Sam che, come suggerisce il titolo, è una storia d’amore, pur senza esserlo, almeno secondo i canoni consueti. Quello che cresce tra loro è infatti qualcosa che ha a che vedere col senso più profondo dell’amore, con l’ascolto, l’accudimento, l’empatia. Sull’argomento si interrogano ripetutamente entrambi i protagonisti, senza riuscire ad approdare a una definizione teorica davvero calzante:

[Sadie] non riusciva a spiegare esattamente cosa fosse Sam per lei. Non era Alice, né Freda o Dov. A quei rapporti era facile dare un nome: sorella, nonna, fidanzato. Sam era suo amico, però “amico” era una definizione molto ampia, in fondo. Una parola talmente abusata che ormai non aveva più nessun significato. (p. 130)

Si inizia a comprendere che a un romanzo come questo servono molte pagine non già perché siano tanti gli avvenimenti, o perché è ampio l’arco di tempo che viene coperto dalla vicenda, ma perché all’autrice serve spazio per esprimere la complessità degli esseri umani e dei sentimenti che li abitano. Sam non dice mai “ti voglio bene” a Sadie, perché i termini esistenti non bastano per definire quello che sente. Avverte quindi l’esigenza di creare una parola nuova, così come nuovi sono i giochi che derivano dai loro vivaci scambi dialettici.

Perché era così difficile dirle che le voleva bene, quando lei invece glielo diceva sempre? Era sicuro di volerle bene. Persone che provavano sentimenti molto meno forti se lo ripetevano in continuazione, tanto che non significava nulla. Ma forse era proprio quello, il punto. Il sentimento che provava per Sadie Green era più che affetto o amore. Bisognava trovargli un altro nome. (p. 182)

A complicare l’intreccio, ma con una naturalezza che dimostra l’abilità e l’intelligenza narrativa di Zevin, nella relazione intima, quasi esclusiva, di Sam e Sadie si inserisce Marx, il coinquilino di Sam, che è bello, brillante, generoso, e un ottimo amico, nonché, lo ammetto, il mio personaggio preferito all’interno del romanzo. Marx, a differenza di Sam e Sadie, non è solo un ottimista, ma anche un giovane uomo che con il proprio atteggiamento positivo realizza la propria fortuna.

Dell’Iliade, lui non ama le battaglie, ma il finale, quando Ettore, «domatore di cavalli», viene seppellito, perché «[il suo] è un lavoro onesto. Quei versi significano che non devi essere un dio o un re perché la tua vita lasci il segno» (p. 286). Anche lui è capace di delicatezza e accudimento, e ha il raro dono di saper stare vicino a chi ama senza far mai pesare la sua premura. È intorno a lui che si articolano la svolta più prevedibile, e poi quella meno prevedibile, del volume.

Perché la vita vera ha tante cose in comune col mondo dei video games, che spesso infatti vi attingono a piene mani, ma anche, come si diceva all’inizio, un’importante differenza nell’irreversibilità di alcune scelte, nella consapevolezza che tutto si gioca in una sola partita. In Tomorrow, and Tomorrow, and Tomorrow emergono, quasi casualmente, verità profondissime sull’amicizia, sull’amore, sui diversi modi in cui si può stare insieme. Senza moralismi, o giudizi definitivi sui suoi personaggi, l’autrice ricorda l’importanza di «riconoscere che l’amore è una costante è una variabile nello stesso tempo» (p. 332). Anche questo contribuisce a rendere il suo un romanzo che lascia, senza volerlo imporre forzosamente, qualcosa al lettore. A essere toccata è soprattutto la mia generazione, quella costituita dai coetanei dei protagonisti, che si muovono tra gli anni Novanta e i primi anni Zero in uno spazio di senso e riferimenti culturali perfettamente riconoscibili, e che si sentiranno maggiormente chiamati in causa dalle riflessioni sul rapporto tra lavoro e vita, o sulla tendenza a nascondere e seppellire i traumi come forma di autoprotezione. Al tempo stesso, il mondo del game design, qui rappresentato con vivo interesse e reale competenza da Zevin, apre spiragli anche ai più giovani, che si riconosceranno in tutto ciò che, nel volume, assume valenze (e valori) universali.

Carolina Pernigo