"Se non dovessi tornare" di Enrico Camanni: la storia di Gary Hemming, l'alpinista che divenne eroe suo malgrado







Se non dovessi tornare
di Enrico Camanni
Mondadori, 2023

pp. 272
€ 19,00 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)


Gary è alto, ossuto e duro. Tende al biondo senza esserlo davvero. Seduttore naturale, paralizza le sue vittime con il sorriso beffardo e gli occhi da lago di montagna. Quando è furioso mette paura, se sorride nessuno gli resiste. (p. 9)

Come i marinai, Hemming ha una donna in ogni città. Come i girovaghi, non ha una casa. Come gli artisti, molti amici e nessun vero amico. Viaggia voracemente e instancabilmente da alcuni anni (...). Convive con il terrore che il conformismo gli rubi l'anima. (p. 19)

Già da queste poche righe il lettore è portato a sviluppare una forte curiosità e un'innegabile condiscendenza a lasciarsi affascinare da Gary Hemming, l'alpinista fragile, protagonista di questo nuovo libro di Enrico Camanni, alpinista lui stesso, giornalista, scrittore, non sempre e non necessariamente in quest'ordine.

In passato caporedattore de La Rivista della Montagna, fondatore e direttore del mensile ALP, Camanni, voce autorevole e mai banale, ha al suo attivo una serie infinita di scritture di varia natura (articoli, saggi, introduzioni, romanzi, ricerche) dedicate al grande amore, la montagna (sul nostro sito potete trovare due recensioni ad altri suoi lavori, I ribelli della montagna Il grande libro del ghiaccio).
In quest'ultima uscita editoriale targata Mondadori (Strade Blu), Se non dovessi tornare, la sua attenzione si è concentrata su un personaggio che ha lasciato il segno nella storia dell'alpinismo, Gary Hemming, con il desiderio di raccontare, come dice il sottotitolo del libro, la vita bruciata dell'alpinista fragile.

Ma chi era Gareth, per tutti Gary, Hemming? Nato nel 1934 in California, a Pasadena, l'alpinista diventò ben presto una figura nota nel mondo dell'alpinismo che allora si concentrava sulle Alpi, il simbolo dello scalatore ribelle, il "beatnik" delle montagne, il furetto che, con il suo stesso stile, decostruì il mito eroico dell'alpinista a favore dello scalatore scanzonato e inquieto allo stesso tempo. Desideroso di cercare la perfezione in ogni scalata, Hemming si era imposto alcune leggi: non lasciare sulle montagne tracce del proprio passaggio (chiodi da parete e altri oggetti di facilitazione), non informarsi troppo sulla via da intraprendere in parete per lasciarsi così sorprendere dalla bellezza, privilegiare l'arrampicata libera. A queste regole se ne aggiunse una quarta: non farsi prendere dalla tentazione di raccontare le proprie intraprese, non vantarsene, non raccontarle ai quattro venti, per evitare di essere catalogati in un cliché. «Gary rifiuta le classificazioni, ritenendole forme occulte di controllo sociale. La sua norma è: "Se ti catalogano sei fottuto» (p. 108).

Lettore appassionato e profondo di Jack London, Jean-Paul Sartre, Henry Miller, Henry David Thoreau, Gary è alla costante recherche d'un équilibre, come recita il titolo di uno dei suoi articoli più incisivi, sull'etica dell'alpinismo. Idealista, ribelle alle regole, nel nome della creatività e della fantasia, lontano dalla massa, Hemming è l'antieroe per eccellenza. Bello, trasandato, senza fissa dimora (quando sta a Parigi, dorme sotto i ponti della Senna), ha le carte in regola per essere l'alpinista maudit. Ma la sua vita cambierà di colpo quando un avvenimento lo proietterà all'attenzione dei media facendolo diventare, malgré lui, un eroe e un mito. Una popolarità e un successo, non cercati, che lo destabilizzarono e indirizzarono i suoi passi verso l'autodistruzione.

Come può essere accaduta una simile virata? È a questo capovolgimento improvviso e imprevisto che Enrico Camanni dedica questo suo libro, che non è una biografia lineare, il racconto del dipanarsi della breve vita dell'alpinista californiano (un lavoro del genere esiste già, Gary Hemming, una storia degli anni '60, di Mirella Tenderini, 1991), bensì è la fotografia di quel breve volgere di anni, dal 1966 al 1969 che resero Hemming notissimo, lo trasformarono in un volto dei rotocalchi, ma che di fatto lo condannarono.
L'avvenimento che improntò la vita di Hemming, nel bene e nel male, fu il salvataggio sul Petit Dru (siamo nelle Alpi francesi, sopra Chamonix) di due scalatori tedeschi da giorni bloccati su una stretta cengia, a 3.400 metri di quota, senza possibilità di scendere o salire. In più, nonostante fosse agosto, con un tempo pessimo. Ormai allo stremo delle forze, per i due ragazzi tedeschi la morte era più che una possibilità. Agli occhi di Hemming, per cui il salvataggio di colleghi in difficoltà in parete era qualcosa di moralmente necessario, i soccorsi che si stavano organizzando erano troppo lenti. Il californiano raccolse in brevissimo tempo attorno a sé altri cinque scalatori, la cosiddetta squadra dei "pirati" e partì all'arrembaggio del Petit Dru. Contemporaneamente e in competizione con i soccorsi tradizionali, la squadra dell'École Militaire e quella delle Guide alpine, che si muovevano sulle vie normali, più lente, i pirati scelsero audacemente di salire e scendere direttamente in parete.

Il resto è storia, salvataggio avvenuto a opera dei pirati sfrontati e coraggiosi, foto su tutti i rotocalchi che seguivano da giorni l'angosciosa storia dei due alpinisti, e creazione di un mito, lo scalatore americano dal fascino ribelle e ammaliante la cui audacia aveva avuto fortuna. Era la nascita di un nuovo alpinismo, anticonformista, visionario e sognatore, l'alba del Sessantotto.
Hemming, il ribelle, il volto più noto divenne il mito che tutti (e soprattutto tutte) volevano vedere, toccare, fotografare. La celebrità, che sparò il suo bel volto sui televisori e i giornali del tempo, gli meritò foto e interviste, lo portò a scrivere per la rivista Paris Match un articolo illuminato sul nuovo modo di scalare, in barba ai precetti antichi, lo rese in poco tempo un personaggio ricercato, quasi braccato. La notorietà però spezzò i fragili nervi di Hemming, che passò dal mito alla cenere nel volgere di tre anni. All'interno dei quali seguiamo anche il tentativo dell'alpinista di raccontarsi, e soprattutto mettere per iscritto le proprie convinzioni filosofiche, la propria morale, i propri sogni in un libro richiestogli a seguito del successo raggiunto. Una scalata questa che si rivelerà molto più lenta, faticosa e pericolosa di tutte le montagne finora affrontate. A margine, c'è poi la vita privata di Gary, le tre donne, Claude, Marie-Claude e Françoise, tra le quali si giostrava ma che non riuscirono a dargli stabilità.

Camanni si concentra su questi tre anni e riesce a raccontare l'epopea dell'alpinista fragile come un romanzo, dalla tensione delle pagine che raccontano il salvataggio dei tedeschi, metro dopo metro, ai tentativi di fuga dell'alpinista, dagli altri e da se stesso, e i conseguenti ritorni. Ripercorriamo lo spirito del tempo, così presente in Hemming, quel "figlio dei fiori" nato in un mondo difficile, segnato dalla guerra nel Vietnam e dal discorso accalorato di Martin Luther King contro le discriminazioni razziali, dalla rivoluzione del maggio parigino del 1968 nella quale lui stesso si trovò coinvolto come spettatore un po' cresciuto, all'uccisione di Che Guevara, dall'assassinio di Bob Kennedy al suicidio di Jan Palach.

Con una scrittura che sa variare ritmo e moduli, l'autore ci regala un libro che non si lascia etichettare in un genere: ha la suspense del romanzo, la precisione della biografia, la competenza del saggio e soprattutto ha la passione che traspare dal ritratto a tutto tondo di una persona fuori dall'ordinario. Grazie al talento narrativo di Camanni, il lettore entra nella mente di Hemming, nei suoi muscoli, nei suoi fasci di nervi. Il libro è scritto in terza persona, ma chi legge ascolta l'alpinista raccontare di se stesso, ne segue l'evoluzione e la parabola, sempre conscio che ciò che teme è proprio lì dietro l'angolo, alla fine di questi tre anni di gloria.

Hemming passò tutta la vita a portarsi dietro frammenti di diari, pezzi di carta con la sua vita e le sue idee, ritagli, scritti. «Brucia ogni cosa, se non dovessi tornare» (p. 215) disse all'amico giornalista che lo spinse sulla via della scrittura. Per fortuna la penna di Enrico Camanni ha restituito vita narrativa all'alpinista temerario e fragile che è rimasto giovane per sempre.

Sabrina Miglio