Tante vite muoiono e si moltiplicano, in un'unica esistenza: il romanzo limpido e labirintico di Valeria Luiselli, "Volti nella folla"


 
Volti nella folla
di Valeria Luiselli
La Nuova Frontiera, 2023

Traduzione di Elisa Tramontin

pp. 192
16,90 (cartaceo)

 
Valeria Luiselli vive a New York, ma la sua città d’origine è Città del Messico, dove nasce nel 1983 e dove è ambientato questo «romanzo silenzioso, per non svegliare i bambini» (p. 16). È anche autrice di La storia dei miei denti, Archivio dei bambini perduti e di diversi saggi, tutti pubblicati in Italia da La Nuova Frontiera (qui la nostra intervista all'editore).

Volti nella folla in verità non è un romanzo solo, ma due in uno, o forse sarebbe più corretto dire che si tratta di una storia che si sbottona e ne nascono fuori due lembi: uno diverge dall’altro e crea un bivio, una costola che con sottigliezza si infiltra tra le pagine per prendersi il proprio spazio dentro al volume e correre in parallelo rispetto all’altra. Forse anche più che in parallelo: le storie s’intrecciano e si sovrappongono, i personaggi sembrano continuare le azioni di altri personaggi, pur se lontani nel tempo e nella storia. C’è un costante riflesso di situazioni, che balzano da una storia all'altra legando le persone, in modo molto simile a dei destini reincarnanti. Per cui emerge da lontano, e alla fine del testo, l'impressione che in effetti abbiamo letto un unico romanzo fatto di sovrapposizioni, e di una sola persona in cui ne sono contenute molte, vive e fantasma.

Una donna vive a Città del Messico, ha due bambini piccoli e un marito architetto, e scrive un romanzo che parla di sé, di quando da giovane viveva a New York e traduceva Gilberto Owen e i poeti latinoamericani del secolo scorso. Scrive la storia del suo passato con nostalgia, degli uomini che ha frequentato, di piante morte, della gente che dormiva nel suo appartamento al suo posto. Ma inizia a scrivere anche un romanzo del presente, del marito che forse la tradisce a Philadelphia, del bambino grande che fa domande da bambino ma per nulla infantili e sembra dare risposte più persuase e inamovibili degli adulti.

Le vite e le storie si moltiplicano pagina dopo pagina, ma sembrano raccontarne una sola. La giovane donna vede il fantasma di Gilberto Owen e 
«se credessi ai momenti di svolta, direi che da quella notte cominciai a vivere come abitata da un’altra possibile vita che non era la mia, ma alla quale, semplicemente usando l’immaginazione, potevo abbandonarmi completamente […] perché a volte mi sembra che il mio letto non sia il mio letto, né queste mani le mie mani.» (p. 36). 
Il fantasma di Owen prende vita dalla penna della donna, e quasi anche nella donna stessa. Lei inizia a scrivere un altro romanzo, in cui Gilberto Owen narra in prima persona (è lui che scrive e che sembra di colpo rivivere nella sua epoca). Così i due lembi si riaccostano, si riabbottonano. La storia di Owen che sgorga fuori dal "romanzo nel romanzo" coincide con la storia della donna narratrice, in un labirinto intersecante che in verità, ci accorgiamo, va in una sola direzione.

Nel romanzo di Valeria Luiselli le voci si confondono, si dividono, anche se a scriverne e darne voce è sempre la stessa narratrice-protagonista, e poi si riappaiano, si accavallano, si nascondono l’una dietro l’altra, come fossero sagome di cartoncino dallo stesso profilo. Diventano fantasmi perché scompaiono e ritornano, in mezzo ai tanti volti tra la folla. S’intersecano così anche i luoghi, come lo fanno le vite delle persone.
«C’è chi sa raccontare la propria vita come una sequenza di eventi che conducono a un destino. Se gli dai una penna, ti scrive un romanzo noiosissimo in cui ogni riga è lì per un motivo specifico; tutto s’incastra, nulla rimane sospeso, come una coperta asfissiante.» (p. 155). 
Volti nella folla è all’opposto: tutto è sospeso, le parole non sembrano essere ordinate in un modo ragionato, scelto specificamente rispetto a un altro; i destini accrescono e s’imbrogliano, si mimetizzano, ma nella loro molteplicità confluiscono in uno solo. Eppure la cifra stilistica dell’autrice messicana rimane limpida e misurata, non c’è superfluo, non si avverte il garbuglio caotico di questo labirinto, che è invece una veduta dall’alto chiara e distinta.

Un romanzo affatto “noiosissimo” ma vivo di vita e di morte, che parla di romanzi dentro al romanzo, che scrive romanzi al suo interno, che pare si autoproduca leggendo. Un romanzo senza i finali romantici, perché quelli «non sono mai epici […] niente finisce mai di finire.» (p. 161). Qui al contrario sembra che tutto termini, che sia già finito prima di essere narrato, qui le persone muoiono tante volte e diventano fantasmi, ma continuano a esistere ovunque. «Io invece muoio e la gente scompare» (p. 161).

Nel testo di Luiselli ci si perde soltanto per ritrovare, sul fondo, ciò che è essenziale e che, senza ariose digressioni, parla di vita e di morte. L’unica costante della narrazione è la donna che non smette di scrivere, perché anche Owen sapeva «che l’unica soluzione era continuare a scrivere» (p. 168), dando al lettore la sensazione che la donna non smetta di scrivere neanche dopo la fine del romanzo che stiamo leggendo; che stia ancora scrivendo di destini incrociati e reincarnanti.

Federica Cracchiolo