Una storia d'amore e di guerra. "Il soldato perduto" di Gilles Marchand

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Il soldato perduto
di Gilles Marchand
Neri Pozza

Traduzione di Sonia Folin

pp. 176
€ 17,00 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)


Francia, Prima Guerra Mondiale. Nomi come Verdun, la Somme, la Marna sono tragicamente entrati nel patrimonio della memoria mondiale. Luoghi intrisi del sangue di centinaia di migliaia di ragazzi che in quei campi di battaglia hanno trovato la morte.
Il soldato perduto di Gilles Marchand prende le mosse da questo tragico capitolo di battaglie per raccontare una storia di guerra, innanzitutto, ma che si sviluppa e prende la forma di una romanticissima e incredibile storia d'amore. Vissuta sui campi di battaglia, a distanza, nel ricordo. Una vicenda che avrebbe anche potuto essere reale nella sua tragicità. E nella sua assurda normalità... perché tutto quanto capitò a quei giovani uomini era un'abnormità diventata purtroppo quotidiana.

Il romanzo si apre a guerra ormai finita. La voce narrante è affidata a un reduce di guerra, mutilato di una mano, che nel periodo post bellico si dedica ad aiutare i familiari dei dispersi, cercando per loro notizie, oggetti, piccoli effetti personali che diano a madri e padri disperati, se non una tomba su cui piangere, almeno una mostrina, una gamella, un lembo di stoffa sulla quale riversare le lacrime. Il reduce, che racconta della sua opera in prima persona, è costretto a rivelare a mogli, figli e genitori storie disumanamente tristi, a distruggere speranze, a chiudere definitivamente ogni pensiero di veder magicamente tornare il proprio caro, magari abbandonato in un ospedale, immemore persino del suo nome. Un'evenienza che qualche rarissima volta accadeva davvero. È questa la speranza a cui si attacca Madame Joplain, una donna di Parigi che affida al reduce l'arduo compito di ritrovare suo figlio Émile. Partito militare nella Grande Guerra, Émile non ha dato più notizie di sé dopo la sua ultima lettera spedita da Verdun nove anni prima. E adesso, secondo Jeanne Joplain, ritrovare il ragazzo è questione veramente urgente, Émile va ritrovato. Perché è sicuramente vivo. 
La interrogai, le chiesi se aveva una ragione per essere così categorica. Aveva forse ricevuto una lettera, sentito qualcosa, un compagno di reggimento l'aveva forse informata di un qualche elemento che potesse riaccendere il suo ottimismo? "È partito troppo giovane per morire". (p. 20)
In effetti... chi potrebbe obiettare a questa verità? La granitica certezza di Jeanne Joplain fa sì che per lunghi anni il nostro reduce segua le tracce del soldato perduto interrogando ex compagni d'arme, seguendo le vie di lettere spedite, interrogando vecchi e polverosi archivi e, soprattutto, mettendosi sulle orme di Lucie, il grande amore di Émile, quello che la madre, con un gesto tranchant, nega risolutamente.
L'intero romanzo è la cronistoria di questi tentativi e, attraverso quest'assidua ricerca, l'autore squaderna davanti al lettore immagini e storie di questa guerra atroce e tremenda, vicende che i reduci non hanno mai raccontato, nemmeno alle loro famiglie, perché il dolore e l'incredulità di fronte a tanto male, subito e inflitto, non erano cose che si potevano descrivere. 

Il libro procede attraverso lo snodarsi di due storie parallele, la guerra di Émile e la guerra del reduce, che ricorda tutto del momento in cui la sua mano non fece più parte del suo corpo, la storia d'amore di Émile e la storia d'amore del reduce che, a casa, aveva lasciato Anna e verso la quale sente un persistente senso di colpa.

Da questo mondo distrutto, da queste immagini di tragica distorsione della Storia emergono fotogrammi dolorosi, ricordi che fa ancora troppo male rievocare. E nei racconti degli ex soldati, che il nostro reduce cerca per tutta la Francia perché lo portino a qualcosa di Émile, c'è quasi sempre un'immagine... la Figlia della Luna. Una donna, forse la madonna, forse un'allucinazione, forse una chimera che nelle notti di tregenda, dopo le battaglie, si aggira nella terra di nessuno, quel lembo di terra tra le due trincee dove giacciono i morti e agonizzano i moribondi. Una figura femminile che quasi danza da un soldato all'altro distribuendo una carezza, una parola, un sorso d'acqua... sono tanti i soldati a ricordare questa ragazza dai lunghi capelli. 
"Non c'erano più fiori, e allora lei faceva mazzi di granate (...). Non c'erano più alberi né animali, non c'era più vita. Figurarsi i fiori. Lei avanzava nell'oscurità, si accovacciava, raccoglieva un bossolo da terra e lo metteva nella borsa a tracolla che a ogni passo le sbatteva sulle cosce. Non so come facesse a non farsi sparare addosso. Sembrava quasi che i tedeschi non la vedessero. Si diceva che fosse perché la luna la illuminava solo dal nostro lato. Era per questo che la chiamavamo la Figlia della Luna. (p. 13)
Tassello dopo tassello la storia di Émile Joplain viene ricostruita grazie ai racconti e ai ricordi e il finale non mancherà di stupire e commuovere il lettore.

Gilles Marchand, in questo suo quarto romanzo, sceglie di tornare alla pagina più tragica della Storia francese (e dell'Europa intera) e, in modo solo apparentemente delicato, in realtà con la forza data dalla crudeltà e dalla tragica assurdità della guerra, ci offre uno sguardo sui campi di battaglia, là dove sono i ragazzi a morire, a uccidere e a farsi uccidere, unico comandamento la sopravvivenza. Una fortuna di pochi, purtroppo. E per tanti di questi, in realtà, non fu vera fortuna. Gli incubi di ciò che furono costretti a vedere, a fare e a subire avrebbero perseguitato per sempre i reduci segnandoli crudelmente nel corpo e nella mente. Ma sembra che l'uomo non possa fare a meno dell'orrore più orrendo che possa essere stato immaginato e pianificato dall'uomo stesso. Mai il mondo è vissuto senza la piaga della guerra, mentre sto scrivendo queste poche righe pare che ben 59 siano i conflitti ad alta e media intensità che infestano il pianeta, l'ultimo dei quali scoppiato, giù più di un anno fa, a poche migliaia di chilometri da noi. Un sacrificio continuo di giovani vite, fattesi soldati, e di civili, anziani, donne e bambini inermi nelle loro case, nei rifugi o a cercare qualche lembo di vita normale. 
Finché ci saranno campi di battaglia ci sarà sempre qualcosa da raccontare. Ma questa non è una consolazione.

Sabrina Miglio