Il canto che resterà per sempre e che va oltre i confini dell’Iran. Una raccolta organica di poesie, lettere d’amore ed interviste di Forugh Farrokhzād, la più grande poetessa iraniana

Tutto il mio essere è un canto
di Forugh Farrokhzād 
Lindau edizioni, 26 maggio 2023

Traduzione di Faezeh Mardani e Francesco Occhetto

pp. 336
€ 23,00 (cartaceo)
€ 15,99 (eBook)

Tutto il mio essere è un canto oscuro
che in un continuo ripetersi ti porterà
verso l’alba di eterne crescite e fioriture 
(Un’altra nascita, dalla raccolta omonima, p. 199)
Ci sono poeti e poetesse che, nonostante le distanze geografiche e culturali, parlano agli uomini ed alle donne di ogni luogo e di ogni tempo, perché la loro voce è universale, il loro linguaggio traduce sentimenti ed emozioni che toccano l’animo umano travalicando gli ostacoli delle differenze culturali, di luogo e di epoca storica. Sono quelle voci che non si spengono mai ed ogni volta che si ascoltano hanno sempre qualcosa da dirci e le sentiamo vicine, attuali.

Tra queste voci si distingue sicuramente quella della poetessa iraniana Forugh Farrokhzād, morta anzitempo, poco più che trentenne, per un incidente stradale nel 1967. Faezeh Mardani, docente di lingua e letteratura persiana moderna e contemporanea presso l’Università di Bologna, si occupa da anni della celebre poetessa e l’ha portata in Italia traducendo le sue poesie e curandone l’apparato critico. Questo libro, edito da Lindau, è veramente unico, perché raccoglie non soltanto un’antologia di poesie (con testo in lingua originale a fronte), ma anche le lettere d’amore di Farrohkzād e le interviste tratte principalmente da un numero speciale della rivista letteraria iraniana «Ārāsh», alcune pagine del suo diario di viaggio in Italia e i contributi dei poeti che si sono ispirati a lei. Il lettore troverà, inoltre, una bella prefazione della poetessa e scrittrice italiana Maria Grazia Calandrone:

Ma i poeti scrivono nonostante tutto, a volte anche nonostante sé stessi e i disastri delle proprie esistenze per così dire «reali», perché «tutto questo azzurro/non basta il cielo a contenerlo». E per azzurro intendiamo lo spazio di libertà di un’anima. E per azzurro intendiamo l’anima di una donna che ha puntato tutto quello che ama sul tavolo della poesia. (p. 7)

Foto tratta dal libro
Forugh Farrokzād ha scelto la poesia e l’amore nonostante tutto, nonostante il dolore che può comportare, perché «l’amore è maledizione» ( Per le fresche acque d’estate, da Un’altra nascita, p. 97). Terza di sette figli, ebbe il privilegio di leggere i libri della ricca biblioteca paterna, incoraggiata proprio dal genitore, anche se all’epoca alle bambine ed alle ragazze veniva negata qualsiasi forma di istruzione. La piccola Forugh cresce completamente immersa nella poesia, è lei stessa una fontana da cui sgorgano versi sin da ragazza. Scriveva in ogni occasione, in cucina, mentre mangiava, in camera prima di dormire: la poesia diventò subito il canale privilegiato per esprimere il proprio mondo interiore, i primi turbamenti, le gioie, il dolore. Aveva un carattere passionale e combattivo, infatti quando si innamorò follemente di suo cugino Parviz Shapoor, famoso fumettista, lo sposò contro il volere paterno: dall’unione nacque un figlio, Kamyār. La vita matrimoniale, che secondo le convenzioni sociali e religiose prevede che la donna sia  totalmente devota alla famiglia, non la rese felice, soprattutto per l’incompatibilità col suo spirito libero e con le sue aspirazione artistiche. La poetessa dopo tre anni dall’unione fece una scelta dolorosa: seguì la poesia, consapevole che ciò le sarebbe costato la vergogna e la separazione dal figlio, che venne affidato al padre in seguito al divorzio.

Come può il tuo amore svanire dal cuore
se è la memoria del mio primo amore,
il tuo ricordo è un leggiadro autunno
che offre mille variopinte fantasie.

Lascia pure che i corrotti sacerdoti
mi chiamino vergogna della città
lascia pure che i figliastri di Satana
imbrattino il mio nome d’infamia.
(Il bocciolo dell’angoscia, da Poesie giovanili, p. 53)
Il suo esordio letterario è stata la silloge di quarantuno poesie Asir (in italiano La prigioniera) nel 1955 che non ebbe riscontro positivo nel suo Paese, perché i versi erano troppi audaci o intimi. Le liriche di Farrokhzād sanno essere infuocate, sensuali e spirituali insieme, toccano i temi più disparati, non solo l’amore, ma la morte - vi sono poesie in cui sembra che l’autrice abbia presagito diverso tempo prima la sua tragica morte - il dolore, la tristezza, la solitudine, il sentimento della natura, la guerra.
Come farà il mio cuore smarrito
con questa brezza che sparge
il profumo d’amore di colombe selvatiche
e il soffio di vaganti essenze?

Le mie labbra ardono di canto
il mio seno brucia d’amore
la mia pelle si lacera di passione
il mio corpo s’infiamma di boccioli.
[…]
O primavera, incantevole primavera
nella tua follia ritrovo tutta
la sua immagine, dimentica di me
divento poesia, grido e desiderio.
(Follia, da Poesie giovanili, pp. 59-61)
Sono versi che, tradotti in diverse lingue, hanno riscontrato giudizi favorevoli, dimostrando quanto la poetessa iraniana sia stata capace di parlare a tutti gli uomini e, soprattutto, a tutte le donne. Farrokhzād è stata, infatti, l’antesignana della lotta delle donne per i propri diritti in Iran. L’edizione curata da Mardani riporta un’antologia di poesie tratte dalle diverse raccolte poetiche fino a quella pubblicata postuma nel 1973, Crediamo all’inizio della stagione fredda…, che mostra con lucidità e chiarezza l’apice della maturità stilistica di Farrokhzād, che, giova ricordarlo, è nata come “poetessa naturale”, non avendo seguito un regolare corso di studi: la poesia è stata un dono, una lingua naturale per lei. La sua scrittura fresca ed immediata ha subito nel tempo diversi cambiamenti, come un organismo vivente, mai monotona e uguale a sé stessa, ma fedele al proprio spirito ribelle e passionale, pronta a sperimentare diverse forme metriche, linguistiche e tematiche, soprattutto nella raccolta Un’altra nascita dove subentra stavolta, nei versi, anche l’impegno civile. Lo sperimentalismo di questa raccolta porta la poetessa ad utilizzare un registro stilistico più vicino al parlato, come ad esempio nella poesia Oh terra perlata!
Ho vinto,
mi sono registrata,
mi sono ornata di un nome su una carta d’identità
la mia esistenza è stata bollata con un numero.
E dunque viva il 678, rilasciato dal distretto 5, residente a Teheran.
[…]
È un dono vivere nella terra di Sheikh Abu Dalghak,
quell’oppiomane pagliaccio suonatore di kamancheh,
e di Sheikh Amore e Cuore, musico nato nel paese delle stelle
carnose di cosce, anche di seni abbondanti sulle copertine d’arte,
nella culla degli autori della filosofia del «chi se ne frega»
(O terra perlata, da Un’altra nascita, pp. 185-187)
Tuttavia, Mardani ci mette in guardia: l’essenza intimistica e sentimentale della poesia di Forugh Farrokhzād è quella che prevale e si conserva in tutte le raccolte. «Da un’attenta lettura si può affermare che la poesia della nostra poetessa, nella sua totale focalizzazione sulle esperienze emotive e sentimentali umane, riesce a svolgere un forte mandato etico e civile, pur senza entrare nel terreno scivoloso della scrittura di denuncia» (p. 31) e ciò ha permesso alla sua voce di travalicare i confini geografici e storici.

La nostra è stata una donna forte, curiosa, ha viaggiato tanto, è stata in Italia, in particolare a Roma e a Pesaro in occasione del Festival del Cinema d’Autore, dove ha conosciuto Bernardo Bertolucci: si dice che il famoso regista abbia realizzato un documentario su di lei, ma del quale non è rimasta traccia. Nelle lettere riportate nel libro è evidente la struggente nostalgia che la giovane Forugh prova per la terra natia, nonostante la bellezza e l’accoglienza delle città italiane. Si è sentita una straniera in patria, costretta ad autoesiliarsi:
Partivo per un paese lontano e straniero non certo per la smania di vedere cose nuove e toccare da vicino vite umane piene di allegria, colore e piacere. Partivo perché in quel periodo vivevo in una grotta buia e avevo perduto la strada della luce. […] Allungavo le braccia e ceravo qualcosa per spegnere la sete di conoscenza e non trovavo nulla intorno a me. […] Volevo essere una donna, cioè un essere umano, volevo affermare il mio diritto a respirare, a gridare, ma la gente che avevo intorno cercava di soffocarmi le grida in bocca e il respiro nel petto. (p. 292)
Spronata dal nuovo amore, il regista Ebrāhim Golestān, si dedica alla carriera di attrice, sceneggiatrice e regista. Suo è il coraggioso e toccante documentario La casa è nera (disponibile su RaiPlay) vincitore del Festival di Oberhausen.
È straordinario pensare che una donna iraniana, a quell’epoca, così giovane, abbia prodotto così tanto in campo artistico e chissà il suo genio dove sarebbe arrivato se quel terribile incidente del febbraio 1967 non avesse posto fine alla sua tumultuosa vita. 
Ma ormai l’accogliente terra
stringerà forte il mio corpo freddo
lì sotto, senza di te, senza i tuoi palpiti,
il mio cuore marcirà a poco a poco.

Molto dopo, lentamente, pioggia e vento
laveranno il mio nome dal volto della pietra.
La il tomba resterà ignota,
libera da ogni favola d’infamia e di gloria.
(Molto dopo, da Poesie giovanili, p. 57)

Marianna Inserra