«Cara buca delle lettere, ieri ho voluto scrivermi una lettera anonima...»: un'indagine epistolare alla ricerca dell'altro e di sé stessi in "Murdo e il mistero del postino fantasma" di Alex Cousseau e Éva Offredo




Murdo e il mistero del postino fantasma
testi di Alex Cousseau
illustrazioni di Éva Offredo
traduzione di Edvige Le Noël
L’ippocampo, 2023

pp. 64
€ 15,00 (cartaceo)

Foto di Cecilia Mariani
Che Murdo, il molto adorabile e assai poco abominevole uomo delle nevi già presentatoci da Alex Cousseau e Èva Offredo, avesse la fissa della comunicazione, della conoscenza e della condivisione con il prossimo, lo avevamo ben capito: leggendo Il libro dei sogni impossibili – un volumetto che era un autentico gioiello, non a caso vincitore dello Strega Ragazze e Ragazzi 2021 – abbiamo avuto conferme a ogni pagina della smania di connessione di questo personaggio tanto unico quanto raro, fenomenale a partire dal fatto di essere più che mai “esistente”. Amico di tutti, grande conversatore, così chiacchierone da parlare anche con i sassi e talmente ascoltatore da rammaricarsi per la loro eventuale reticenza, Murdo non aveva fatto mistero di come il suo piacere per le parole gli facesse desiderare di nascondersi dentro qualcuna di loro, e di come la sua grafomania fosse addirittura oggetto di uno specifico desiderio d’occasione corredato di effetti speciali:

«10. Ho sempre sognato di infilarmi in una busta da lettere. Con una torta alle fragole, qualche candelina e dei fiammiferi. Sulla busta ci sarebbe l’indirizzo di un amico. Gli lascerei aprire la cassetta delle lettere, poi accenderei le candeline. La busta prenderebbe fuoco. Il mio amico ci soffierebbe su. E io, in mezzo alle fragole, griderei: “Tanti auguri!”» (Il libro dei sogni impossibili).


Foto di Cecilia Mariani
Nessuna meraviglia, dunque, che in Murdo e il mistero del postino fantasma, pubblicato ancora unavolta da L’ippocampo, la bestiola dell’Himalaya sia adesso protagonista di una curiosa indagine incentrata su uno scambio epistolare a più voci, in cui tutto, a partire dall’identità del postino (della postina?) che fa viaggiare i messaggi e dei loro molteplici mittenti e destinatari, si ammanta di sensatissimo nonsense e poetico pragmatismo. Bando alle mail e alle chat (anche se un telefono riuscirà comunque a intromettersi nel flusso delle comunicazioni), e spazio a letterine, cartoline, collage da pagine di giornale e addirittura francobolli disegnati a mano: nel suo romanticissimo orizzonte, Murdo scrive ben volentieri e anche solo per il godimento dell’atto, consegnando finanche alle raffiche i suoi biglietti indirizzati al misterioso e sfuggente corriere, ai suoi sodali di sempre (che a volte gli rispondono, a volte no, a volte si mangiano la carta stessa perché è buonissima), alla buca delle lettere, alla magia, al vento, alla pioggia, al silenzio, alla notte, al qui, al subito, al sole, all’eco, all’azzurro, al caso, ai punti cardinali, all’ombra e alla luna!


Foto di Cecilia Mariani
Lo stile di Èva Offredo, che con efficacia e immediatezza aveva saputo restituire la spiccata simpatia di Murdo al suo esordio (e di cui L’ippocampo propone in catalogo anche Yahho Nippon!), in questo secondo “episodio” ha modo di esprimersi in un formato più grande, in cui l’ampiezza dei riquadri si rivela perfetta per valorizzare le mappe e gli ambienti fitti di dettagli in cui il protagonista e i suoi amici si trovano a gironzolare e sostare. Gli undici giorni dell’indagine sono così anche l’occasione per illustrare le varie location di un universo lontanissimo ma intimo e familiare, sempre corredate di temperatura intorno allo zero e distinte da nomi evocativi: foresta delle radici, valle dell’avvoltoio, vetta ventosa, fiume dei giunchi, panorama multicolore, tana delle marmotte, roccia tremolante, lago delle ninfee, sentiero dell’eco, otto cime, radura del chiaro di luna... Un habitat concreto eppure incantato, circondato da mari di sogni, gorghi di pensieri, baratri di oblio e passaggi di tempo. I toni dell’arancio, del celeste e del bianco si confermano la palette essenziale per dare colore all’indagine nel suo proseguo: un trio perfetto, a cui, tra indizi, agguati, sospetti, identikit e false piste, si aggiunge giusto un po’ di verde, forse nell’auspicio cromatico di arrivare a una conclusione e allo scioglimento di un enigma che, nel chiamare in causa tutti i cari e i conoscenti vicini e lontani, a tratti confonde l’aldilà con l’aldiquà. Ma niente paura: del resto era il minimo che potevamo aspettarci da un cucciolo di yeti che, con le sue call ai trapassati, ci aveva già dimostrato di avere tutte le carte in regola come socio ideale in una seduta spiritica: 

«47. Ho sempre sognato di telefonare a qualcuno che è morto. Nel mio sogno lo chiamo a mezzanotte. All’ora dei fantasmi e dei pipistrelli. Compongo il numero della mia bisnonna. – Pronto? La  mia bisnonna risponde al primo squillo. – Pronto, Murdo? E io non dico niente. Sentendo la mia bisnonna pronunciare il mio nome, mi viene la pelle d’oca. Io che credevo si fosse dimenticata di me» (Il libro dei sogni impossibili).


Foto di Cecilia Mariani
Alla fine, come in ogni buon giallo non problematico che si rispetti, la soluzione arriva, e come è ovviolasciamo ai lettori di ogni età il gusto dell’agnizione. Eppure, per paradossale che possa sembrare, l’assenza di un lieto fine non sarebbe stata affatto sgradevole e il senso del libricino non avrebbe risentito del mancato svelamento del mistero. Perché a pensarci bene, in fin dei conti, il vero bottino di questa caccia al tesoro in cui la scoperta di un’identità diventa a poco a poco puro pretesto e si perde con allegria nel gusto di raccontarsi delle cose, sta nel ricordare la preziosità di ogni comunicazione che vada oltre il mero bla bla bla: di ogni comunicazione, insomma, di cui abbiamo davvero bisogno, e che grazie all’altro ci riporta a chi siamo e a chi, di tanto in tanto, obliamo di essere. Murdo, evidentemente, ci aveva già anticipato anche questo, e noi non perderemo certo l’occasione per ringraziarlo della sua eterna saggezza bambina:

«23. A volte non so più chi sono. Me lo dimentico. Ho un buco di memoria. Mi entra in testa una corrente d’aria. – Chi sono? mi chiedo. Chi sono? Un viaggiatore che si è perso? Uno struzzo travestito da scimmia? Un marziano in vacanza? Finché incrocio un amico. – Ciao Murdo, dice l’amico. E allora riconosco il mio nome, riconosco il mio amico, e sorrido. Mi torna la memoria. Sono Murdo! Sono uno yeti! – Ciao rospo! gli rispondo. E il mio amico rospo sorride. Forse anche lui ha bisogno di me per non scordare chi è. Forse è così per tutti. Chi siamo senza gli altri? Ho sempre sognato che gli altri si facciano le mie stesse domande» (Il libro dei sogni impossibili).

Così, ancora una volta, Murdo non è e non può essere solo: anche noi, dobbiamo proprio ammetterlo, abbiamo sempre sognato che gli altri ci scrivessero lettere come le sue.

Cecilia Mariani