«Ero felice. Avrei dovuto sapere che non lo meritavo»: la mostruosità dentro ognuno di noi, il trauma, l'ossessione. "Animale" di Lisa Taddeo



Animale
di Lisa Taddeo
Mondadori, 2022

Traduzione di Monica Pareschi

pp. 348
€ 22 (cartaceo)
€ 11,99 (ebook)


Ho preso la macchina e me ne sono andata da New York dopo che un uomo si è sparato davanti a me. (incipit, p. 9)
Osservo questo libro da una certa distanza, dopo che – per una serie di coincidenze e fatti – sono trascorse alcune settimane dalla lettura; ho l’abitudine di lasciare sempre un momento tra l’immersione in una storia e la scrittura, per evitare riflessioni troppo a caldo, troppo di pancia, ma anche per vedere che cosa resiste della lettura conclusa e immaginare se possa sopravvivere alla prova del tempo; se saranno più i punti di forza o le debolezze a fissarsi nella mia mente e determinare il flusso delle considerazioni critiche sul testo. Mi accorgo, nel caso di Animale, il romanzo di Lisa Taddeo – autrice statunitense di origini italiane nota per il saggio Tre donne, qui la recensione e qui l’intervista esclusiva – da poco pubblicato per Mondadori nell’attenta traduzione di Monica Pareschi, che sarà improbabile ne dia un giudizio netto, tale è la complessità dei sentimenti suscitati dalla lettura. Ci sono in questo romanzo difetti che non si possono ignorare e, parallelamente, spunti di riflessione e una capacità di immergersi nell’abisso davvero sorprendenti. Le mie perplessità sono condivise da buona parte della critica internazionale che di fronte ad Animale si è dimostrata meno entusiasta rispetto all’accoglienza del lavoro precedente di Taddeo. Non credo che siamo di fronte a un caso di promesse non mantenute, attese mancate con la seconda opera, e forse nemmeno di una forma narrativa meno congeniale; penso invece che Animale sia un oggetto letterario interessante e imperfetto che riflette amplificando all’estremo alcune delle questioni più controverse del contemporaneo a partire dalla rappresentazione del trauma, la cultura dello stupro, le dinamiche di potere uomo-donna, l’ossessione. 

E che, a monte, qualcuno non abbia avuto posto a Taddeo la domanda diretta e brutale: che cosa vuoi raccontare? Hai trovato il centro? Allora spoglialo di tutto il resto, scrivilo e riscrivilo cercando di farlo nel modo più onesto possibile, ascolta i personaggi e non permettergli di diventare delle macchiette, dei simboli. Se fosse stata fatta una riflessione simile avremmo avuto per le mani una storia molto diversa e forse la stiamo – la sto – osservando con la lente sbagliata, forse ciò che io accuso di ripetitività e mancanza di spessore umano è una costruzione più ragionata e consapevole di quanto ci si accorga. O, ancora, a disturbare più di tutto è proprio quell’insistenza sul trauma che sembra annientare tutto il resto, non concedere spazio ad altro, non permettere alcun cambiamento: Joan, la protagonista e voce narrante, ha subito da bambina traumi che l’hanno segnata per sempre, determinando l’adulta che sarebbe diventata; da allora, da quel primo atto violento, ogni cosa ne è stata la conseguenza, ogni scelta, ogni passo verso la rovina. E c’è, nel lettore contemporaneo, una tendenza morbosa nei confronti del trauma, che diventa sempre più spettacolare e fagocita tutto il resto.

La voce di Joan, la sua vita, è caotica, inquieta, è un vortice di scelte sbagliate, un abisso da cui è impossibile immaginare salvezza o redenzione. Intorno a lei si muovono personaggi che non hanno alcuno spessore oltre la pagina scritta, ingabbiati nel ruolo che sono chiamati a ricoprire: l’amante ossessionato, lo stupratore, la moglie tradita, la figlia a pezzi, l’amica bellissima e brutale… Eppure credo nel talento di Taddeo, nella sua capacità di immergersi nell’abisso e raccontare, senza filtri e buonismi. È una scrittura che forse andrebbe meglio indirizzata, manca un punto da centrare, come invece era stato con Tre donne e la riflessione sul desiderio femminile.

Qual è in Animale il centro nevralgico? È il trauma del passato, che ha inghiottito tutto il resto? È la ricerca e il racconto della verità? È la fuga dopo l’ennesimo atto violento di cui è protagonista? È la chiave di lettura della propria vita che le viene offerta dalla donna cui confida la sua storia? È tutte queste cose in parte e, soprattutto, l’accusa nei confronti di quella cultura dello stupro in cui siamo immersi, molto spesso inconsapevoli; un certo tipo di violenza sulle donne, ancora più subdola perché non facilmente riconoscibile e che è proprio Alice, la ragazza con cui Joan si confida, a rivelarle in tutta la sua brutalità:
Ci sono gli stupri, e poi ci sono gli stupri che permettiamo, quelli per cui ci facciamo la doccia e ci prepariamo. (p. 190)
Taddeo non ha scritto un romanzo su una vittima di violenza, Taddeo ha scritto un testo forse a tratti sovrabbondante e confuso ma su un sistema tutto di violenza e rabbia, di prede che si trasformano in predatori, di sbilanciate dinamiche di potere. E di ossessione: quella del suo ex amante che si spara davanti a lei – l’ennesimo atto violento, che scatena una serie di conseguenze fatali – , della vedova tradita e della figlia che nel loro tormento scivolano sempre più verso la follia; di Joan stessa, ossessionata dai fantasmi del passato, come sotto un maleficio costretta a ripetere sempre gli stessi errori e impersonare ciò che gli altri si aspettano da lei. La preda, la vittima, l’omicida.

In questa storia dove non c’è spazio per la redenzione, gli uomini sono tutti meschini, brutali. E la mostruosità è dentro ognuno di noi.
Senza parlare, mi aveva insegnato che siamo tutti dei mostri, siamo tutti capaci di mostruosità. E diversi giorni dopo, in modo imperdonabile e indimenticabile, mi insegnò che c’è sempre una ragione dietro la mostruosità. (p. 170)
Forse a distanza di ancora più tempo sfumeranno i contorni della trama, alcuni fatti marginali sono già scivolati via; ma ciò che resta, ciò che rende questa lettura importante nonostante le sue mancanze è quel campanello d’allarme che risuona fin dalla prima riga con cui Taddeo richiama la nostra attenzione: impariamo a guardare meglio, a riconoscere le diverse forme di violenza, le trappole e i costrutti sociali dietro cui si cela talvolta il pericolo. E perdoniamo alla letteratura se non sa essere perfetta e all’altezza delle nostre aspettative, quando ha il merito di indagare l’abisso, senza timore.

Di Debora Lambruschini