"Stradario aggiornato di tutti i miei baci" di Daniela Ranieri: perdere l'amore nel labirinto del mondo

 

Stradario aggiornato di tutti i miei baci
di Daniela Ranieri
Ponte alle Grazie, 2021

pp. 696
€ 19,80 (cartaceo)
€ 10,99 (ebook)


Mi disse che io non sapevo amare. Che non ero capace di dare o di manifestare amore: spalancandomi davanti alla faccia, con le mani a forcipe, le fauci della mia stessa bestia interiore [...] La sempre ripetentesi separazione tra me e il mondo: c'era un mondo femminile capace di manifestare a lui l'amore, con parole che non conoscevo, con gesti che tuttora ignoro; e c'ero io, impedita alla parola e al gesto, cionca per mia volontà, smascherata nonostante una certa pratica, un certo mestiere [...] «Insegnami tu, allora», lo imploravo. E lui diceva che non si può insegnare, che si sente e basta. La condanna era emanata: a me non era lecito amare. (pp. 499-500)


Se lo stradario è qualcosa che richiama subito alla mente il ritrovare la strada, quello di Daniela Ranieri è come la mappa di un labirinto. Ha una sua geografia interna, un disegno che visto dall'alto è strutturato e compiuto. Ma mentre ci sei dentro è molto difficile vederlo, e ti ci perdi. 
Stradario aggiornato di tutti i miei baci ha indubbiamente conquistato la critica. Candidato alle edizioni 2022 del Premio Strega e del Premio Campiello, è stato salutato come un romanzo gaddiano, una narrazione potente e ricca di un'epica tutta sua, fortemente contemporanea e destrutturante.
Ranieri, scrittrice e firma de Il Fatto Quotidiano, condensa in un romanzo burrascoso l'ampio - enorme si direbbe, tanto da necessitare di infiniti sguardi - tema delle relazioni d'amore come materia magmatica delle nostre esistenze. Un io totale e nevrotico, teso continuamente nello sforzo di raccontare e raccontarsi, si trova faccia a faccia con l'esigenza di scrivere di se stesso per indagare le proprie oscillazioni, i sommovimenti interiori, le manie sempre uguali a se stesse e le svolte che ci conducono, di stadio in stadio, verso diversi modelli di relazioni interpersonali. 

Sono le tante facce delle nostre evoluzioni che poi evoluzioni non sembrano: in modo implacabile il romanzo ci descrive come esseri programmati per sbagliare, soffrire, ricominciare, mentre su un unico piano inclinato passato, presente e futuro immaginato ci trascinano su e giù.
La protagonista del libro, impareggiabile eroina di storie d'amore che finiscono ("campione mondiale di rottura di legami forti e deboli") ci conduce lungo quasi settecento pagine di nevrosi, dipendenze, isolamenti (sì, ovviamente c'è anche quella grande cartina al tornasole che è stato il Covid-19), incontri.
La sua voce scorre veloce sotto pelle mentre si legge ma non è un suono con cui è facile entrare in relazione perché ha una sua illogica logica che in alcuni momenti ti fa sentire partecipe, in altri ti spiazza perché lontana anni luce.
Sa essere luminosa e pura regalando immagini di incorrotta bellezza, quasi mitologica considerando che la mitologia ha un ruolo molto importante nella narrazione, così come la letteratura, e un attimo dopo è scura e pastosa, ci invischia nella descrizione degli aspetti più bassi e corporei di noi. 
La sintassi e la punteggiatura rendono l'idea dell'innamoramento e dell'erotismo come "giostra sfiancante", corsa perpetua a un (im)possibile miglioramento di se stessi attraverso il contatto con l'altro. 
Il lettore - forse più la lettrice per una ragione di identità psichica e animale che di mero genere editoriale - riconoscerà in questa danza il lutto, la gioia, la paura, la fiducia mista a sfiducia che ci prendono quando siamo intenti ad amare, ognuno a proprio modo. E in questo stradario denso di baci viene da chiedersi se siamo davvero tutti così frangibili, incostanti, inaffidabili
La lingua è ricchissima: va riconosciuto all'autrice il valore di una narrazione che accoglie in sé tante narrazioni possibili nella struttura e nello stile. Barocca, elegante nell'ironia, miscelata da interni contrasti, la penna di questo libro difficilmente si rivela simile ad altre. Doppi punti, virgole e punti e virgola si rincorrono e si moltiplicano, uno dentro l'altro, in un raccontare che sembra non finire mai, come se ci fossero sempre parentesi dentro le parentesi. 
Un aspetto effettivamente ultra contemporaneo c'è: è la tensione della lingua a raccontare le nostre fragilità e i nostri sensi. Soprattutto in un momento come questo in cui dell'umano si mettono in discussione certe strutture imposte. 
Nel racconto di queste fragilità, tuttavia, il rischio è che si scivoli nell'estrema intellettualizzazione.
Siamo d'accordo che l'amore non è quella favola armonica fatta di istintivi moti del cuore, ma messo così al microscopio, analizzato nella sua componente più atomica, sviscerato come fosse una tesi di linguistica che scompone una frase nei suoi più piccoli fonemi, l'impressione è che l'amore infine si perda e che i baci si smarriscano nel labirinto.
Dove ci si ritrova è nelle immagini e nelle situazioni ordinarie, negli oggetti e nei luoghi - che meraviglia l'ode alla Sicilia, per esempio - che scandiscono le storie d'amore dando loro un tempo e uno spazio irripetibili, ma si prova una certa stanchezza nel vederci vivere da fuori e nel registrare la vita come fa un sismografo con i movimenti del suolo.
Rimane comunque il forte interesse di un romanzo che indaga con uno sguardo estremamente vigile la persona e il suo rapporto con il mondo. Di questo l'amore è uno degli infiniti aspetti. Isolarli per vederli chiaramente è parte della nostra tragedia. 

Continuiamo a innamorarci, nonostante siamo già stati delusi, nonostante abbiamo detto «mai più», come il Giappone, la Norvegia e l'Islanda continuano a cacciare le balene benché sia vietato dal 1986 [...] Con gli anni mi aumentano di definizione, in testa, i dettagli dei quadri registrati nel passato. Risento il sole sulla pelle di quando giocavo in cortile con le cassette della frutta, plancia di comando di astronavi i cui bottoni erano i tappi della birra e dell'aranciata: e si precisa pure la pietra della casa avita, il muro esterno, la finestra della sala da pranzo: ero al sole pulito e forte, sulle scalette, una domenica mattina. Era tutto incorrotto, eravamo sani. (p. 681)

Claudia Consoli