Fagocitati dalla metropoli e dal mondo del lavoro: "Sono fame" di Natalia Guerrieri




Sono fame
di Natalia Guerrieri
Pidgin Edizioni, maggio 2022

pp. 250 
€ 15 (cartaceo)


Il lavoro è diventato ormai un macrotema di discussione della nostra contemporaneità: i giovani che vi si affacciano per la prima volta ne denunciano e rifiutano gli aspetti più disumanizzanti, in una continua corsa a diventare imprenditori di noi stessi, ad accumulare esperienze, collaborazioni, progetti in modo famelico e predatorio. Inutile specificare che questo accade soprattutto per il lavoro umanistico, tra tirocini non pagati, articoli scritti gratuitamente, e ambizioni mai davvero appagate, mentre il traguardo sembra essere sempre un passo più in là. Eppure, mentre filosofia e non-fiction ne parlano senza sosta, come accade nelle opere di Byung-Chul Han, Mark Fisher e, recentemente, Sarah Jaffe, la narrativa doveva ancora trovare la voce adatta a commentare il mondo del lavoro di oggi. Oggi l’abbiamo trovata. È la voce di Natalia Guerrieri.

Sono fame racconta la storia di Chiara, una neolaureata in Filosofia: dopo aver visto naufragare sia le sue ambizioni accademiche che quelle editoriali, si trasferisce in una non meglio specificata “capitale” per cercare un lavoro che le consenta di mettere a frutto la sua laurea. Per pagare l’affitto, tuttavia, si trova costretta a diventare “rondine” di Envoyé, cioè rider per una compagnia di food delivery. In una metropoli che mescola realtà e distopia, Chiara corre a destra e sinistra, dalla mattina alla sera, mentre il suo stesso corpo viene fagocitato, allo stesso modo in cui i suoi clienti divorano i piatti che lei consegna. Smette di mangiare, fatica a leggere i volumi di filosofia che aveva sempre amato, e diventa leggera, sempre più leggera, proprio come una rondine, invischiata senza speranza nel marcio della capitale.

È infatti indubbio che Sono fame rifiuta ogni tipo di idealizzazione romanzesca, non solo nella scelta dell’argomento ma anche nell’immaginario utilizzato per rappresentarlo: Guerrieri esacerba il marciume della città, sullo sporco delle strade e delle facciate dei condomini, sull’afa estiva che mescola sudore a smog sulla pelle di Chiara, e che opprime anche noi, mentre leggiamo. E poi il dolore. Quello del corpo di Chiara, piegato in due sulla sua bicicletta dai crampi mestruali. E quello dei corpi delle rondini martoriati da un misterioso serial killer.

Nella capitale immaginaria, ma estremamente vivida e concreta, il marcio della vita di Chiara prende corpo, assume una consistenza, un odore e un sapore, sempre più pervasivo e nauseante pagina dopo pagina, in una narrazione kafkiana che non lascia spazio al lieto fine. Proprio come nelle distopie, infatti, la storia non consente una facile via d’uscita; tanto più se, come in questo caso, la distopia coincide esattamente con il mondo in cui viviamo. Come far tornare la rondine Chiara al mondo degli esseri umani, dunque? In assenza di risposte definitive, il finale aperto consiste in un portone spalancato verso il nostro mondo, che ci obbliga a trovare somiglianze e differenze tra il romanzesco e il reale, a interrogarci sulle nostre vite, sul modo in cui ci rapportiamo al nostro lavoro, alle persone che ci circondano, ai rapporti di forza in cui siamo invischiati, in cui siamo vittime o carnefici. La distopia di Natalia Guerrieri è la realtà che abitiamo. E di cui sta a noi scrivere il finale. Cambiando le carte in tavola, se non ci piacciono.

Marta Olivi