Il mistero di diventare grandi nel confronto con una natura indomabile. "Il castello di ghiaccio" di Tarjei Vesaas




Il castello di ghiaccio

di Tarjei Vesaas
Iperborea, 2022

pp. 187  
€ 16,50
 
Traduzione di Irene Peroni
Postfazione di Luca Scarlini

 

Siss ha undici anni e la sua passeggiata alle soglie del bosco per raggiungere la casa della compagna di classe Unn ha un sentore di viaggio iniziatico, esplorazione dell’ignoto. Pur essendo la leader indiscussa della classe, determinata ed estroversa, Siss ha paura del buio che pare chiamarla in quella sera d’autunno inoltrato e che lei prova a dominare, mantenendo il controllo sui passi e sul respiro. Unn invece ha un carattere totalmente diverso: arrivata solo la primavera precedente a casa della zia dopo essere rimasta orfana, si è tenuta ai margini, ha osservato gli altri senza mai farsi implicare, bella e irraggiungibile. Quello che spinge le due ragazzine l’una verso l’altra è un senso di affinità elettiva, un desiderio di incontro, un’impressione di complementarietà. L’amicizia di cui avvertono la mancanza e il bisogno è ammantata di quello slancio totalizzante proprio dell’adolescenza imminente, che le porta a cercarsi e sfiorarsi senza però riuscire a trovarsi davvero. La sera a casa di Unn è un momento di profonda intimità, ma anche di destabilizzazione degli equilibri. C’è un segreto che Unn vorrebbe rivelare, e che Siss non è pronta ad ascoltare. E le conseguenze sono imprevedibili per entrambe. Siss, da un lato,
aveva perso il suo equilibrio. Era senza nessuna sicurezza che aveva dovuto avviarsi verso casa nelle tenebre. Non affrontava più il sentiero a passo fermo – come quando era in cammino verso Unn. Senza pensarci si era messa a correre, e così il guaio era fatto. Si era consegnata a quell’ignoto che è sempre in agguato in sere del genere. (p. 34)
Unn, invece, la mattina successiva decide di non andare a scuola, per non dover affrontare subito la compagna. Entrambe confidano in un futuro condiviso e non prevedono cosa le aspetta. Unn infatti decide di raggiungere, da sola, una cascata in mezzo al bosco, dove l’acqua gelando ha creato una maestosa costruzione:
Le mura di ghiaccio parevano toccare il cielo, e sembravano crescere al suo pensarle. Unn era come inebriata. Il castello era pieno di bastioni e torrette, non sapeva quante. L’acqua lo faceva espandere in tutte le direzioni, mentre al centro si gettava la cascata principale mantenendo sgombro lo spazio intorno. C’erano delle zone che l’acqua aveva abbandonato, e la costruzione era terminata, asciutta e sfavillante. Altre erano avvolte di vapore e gocce, e stillavano acqua che in un baleno si trasformava in ghiaccio verde-azzurro. Era un castello incantato. Bisognava assolutamente entrarci. (p. 51)
Ma la struttura, splendida e luminescente, si rivela ingannevole e minacciosa, e il penetrare sempre più a fondo di Unn nel cuore del castello di ghiaccio coincide con un progressivo smarrimento e una resa finale a forze superiori, che non si possono controllare.
La scomparsa della bambina ha effetti profondi anche sulla comunità, che si impegna in ricerche che risultano sempre vane, e che continua a ruotare in cerchi concentrici intorno al castello di ghiaccio, subendone la fascinazione, ma senza mai arrivare a una rivelazione.
Siss, come ultima persona ad aver visto la scomparsa, viene presa di mira dalla curiosità e dalle domande, e finisce per cadere ammalata. Al suo risveglio, qualcosa è cambiato in lei: la convinzione di dover essere fedele al ricordo dell’amica in attesa del suo ritorno la isola dai coetanei, la fa sentire strana e diversa. Lei, che era l’anima della classe, diventa silenziosa, mesta, proprio come Unn, in un processo di sovrapposizione che via via si fa sempre più evidente. Non basta il passaggio delle stagioni, la neve che tutto copre, la primavera che arriva col suo vento gentile, a sciogliere la tensione che si crea intorno al vuoto improvviso lasciato dalla ragazzina perduta.
A rendere più complessa la lettura, è la chiara percezione di un valore simbolico che si annida al di sotto della superficie della trama. L’autore stesso, del resto, non ha mai voluto esplicitarlo, lasciando agire la suggestione degli ambienti, delle relazioni tra i personaggi, di una natura abbacinante e soverchiante rispetto all’uomo.
Il castello di ghiaccio è una storia in cui prevalgono i non detti: il segreto mai svelato di Unn, il mistero che circonda la sua sparizione per gli abitanti del villaggio, la promessa inespressa di Siss, che rischia di farla chiudere in sé stessa come l’amica nella fortezza innevata. Anche i dialoghi si muovono sempre sulle soglie dell’inesplicabile e dell’inesprimibile.
Chi rimane deve fare i conti con l’impossibilità di trovare a tutto una risposta. Accettare la propria limitatezza è forse il modo per diventare adulti, rompere le sbarre della prigione che ci si è autocostruiti. Quasi senza rendersene conto, aiutata da chi l’ama e che per troppo tempo lei non ha visto né riconosciuto, Siss si sente nuovamente libera, nuovamente viva, nuovamente se stessa:
Era stato un tempo di neve, un tempo di morte e di stanze chiuse - e poi di colpo Siss si ritrovava sull’altra sponda, con gli occhi appannati dalla felicità perché un ragazzo le aveva detto: tu con quelle fossette. (p. 149)
Il prezzo da pagare è la rinuncia, non alla memoria, ma alla sacralità di un rapporto rimasto non del tutto realizzato, alle certezze e alla quieta fiducia dell’infanzia. Di questo si fa metafora l’ultima spedizione al castello di ghiaccio, destinato a collassare su se stesso con l’avvento della nuova stagione, trascinando con sé la sua magia e i suoi silenzi. Se Unn, creatura in fondo estranea, sempre ospite, era andata sola e aveva finito per smarrirsi, Siss è circondata dai suoi compagni, che le fanno forza e l’aiutano ad affrontare la sua paura.
Bisogna ben guardarsi però dal leggere l’epilogo del romanzo come una sconfitta della natura da parte della comunità: è proprio nel senso della fine e del nuovo inizio, di un inevitabile rinnovamento, che è sancito il suo trionfo sulla precarietà e la fragilità delle illusioni umane.
 
Carolina Pernigo