La regina dimenticata. La storia della quarta moglie di Enrico VIII in “Anna di Kleve. La regina dei segreti” di Alison Weir

 





Anna di Kleve. La regina dei segreti
di Alison Weir
Neri Pozza, settembre 2021

Traduzione di Chiara Brovelli 

pp. 533
€ 19,00 (cartaceo)
€ 19,00 (ebook)

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Ducato di Kleve, 1530. Una giovane donna si gode la sua vita da principessa immersa nella campagna tedesca, trascorre le sue giornate tra l’educazione rigida dei genitori e la compagnia dei fratelli e delle sorelle. Questa giovane donna sarà la quarta moglie di Enrico VIII Tudor, il re  inglese famoso per aver contratto sei matrimoni, finiti quasi tutti con il ripudio della moglie. La figura di Anna di Kleve è forse quella meno raccontata delle sei mogli, basti pensare alle note Caterina d’Aragona o Anna Bolena, rispettivamente la prima e seconda moglie del re inglese.

Lo sappiamo, la Storia è inclemente e frequentemente dimentica figure storiche che meritano di essere ricordate. L’oblio nei confronti della principessa di Kleve si deve al fatto che alla fin fine la sua storia è abbastanza lineare senza drammi, tragedie o decapitazioni.

Nata in Germania, fu promessa quando ancora era una bambina a Francesco, futuro Duca di Lorena. Quest’unione non giungerà mai perché s’intrapone un altro pretendente notevolmente più facoltoso di Francesco, il re d’Inghilterra. Enrico VIII era in cerca della quarta moglie dopo aver perduto l’adorata Jane Seymour, morta di parto dopo aver dato alla luce l’agognato figlio maschio. Il re, sottoposto a pressioni politiche, cerca l’amore in tutte le corti europee, ma non è impresa facile: la fama di “ripudiatore” di mogli lo precede e non tutti sono disposti a cedere le figlie e le sorelle per un matrimonio che probabilmente avrà una brevissima durata e che, forse, finirà con l’esecuzione della donna. La scelta ricade su Anna anche per pressioni politiche: Enrico aveva disconosciuto il Papa, abbracciando la fede protestante e dunque l’alleanza con Kleve, noto baluardo riformista, era necessaria, complice anche lo scaltro consigliere del re, T. Cromwell, il quale indirizzò la sua attenzione verso le principesse tedesche. Alla fine, la scelta ricade sulla maggiore e così Anna, dopo varie peripezie, sposa re Enrico VIII il 6 gennaio del 1540.

Un labirinto di errori ricordati: la storia di un immigrato irregolare a Sydney raccontata da Aravind Adiga in “Amnistia”

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Amnistia
di Aravind Adiga
La Nave di Teseo, novembre 2021

Traduzione di Norman Gobetti

pp. 320
€ 19,00 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)


L'immigrazione, l'essere indesiderati, la voglia di costruire una nuova vita all'insegna della speranza e della serenità, la voglia di giustizia, i segreti e i ricatti sono alcuni dei temi che l'autore Aravind Adiga fa emergere dalle pagine di Amnistia. Aravind Adiga, vincitore del Man Booker Prize 2008 con il romanzo La tigre bianca, racconta in questo romanzo la storia di Danny, un giovane ragazzo srilankese tamil in fuga dal suo paese di nascita per raggiungere Sydney. Dopo avere tentato di inserirsi nella società australiana con tutte le carte in regola, un giorno Danny percorre una strada che all’apparenza sembra la più semplice e con pochi ostacoli per crearsi una nuova vita lontano dalle conseguenze dello tsunami e della guerra civile scoppiata tra il governo dello Sri Lanka e l'organizzazione Tamil Tigri di Liberazione del Tamil Eelam (LTTE). Tuttavia, dopo svariati tentativi, Danny incontra l’ostacolo più temuto da chi decide di entrare in Australia, l’irregolarità.
Ventotto giorni dopo aver spedito quella mail, divenne prigioniero per sempre a Sydney. (p. 221)
Intrappolato con le sue stesse mani nella fitta rete dell'immigrazione irregolare, Danny cerca di accettare la sua condizione di irregolare, trova rifugio in un ripostiglio di un negozio di alimentari, lavorando contemporaneamente sia per il proprietario di casa sia come uomo delle pulizie. Deve stare però, attento a non esporsi troppo e farsi notare dalle autorità e dalle altre persone della zona sempre all’erta. Dissimula il suo accento estirpando ogni segno di riconoscibilità, adotta lo stile della moda australiana impersonando in pieno lo stereotipo australiano.
La cosa più facile del mondo, diventare invisibile agli occhi dei bianchi, che in ogni caso non ti vedono; molto più difficile diventare invisibile agli occhi delle persone con la pelle scura, che invece ti vedono. Se proprio mi devono vedere, pensava Danny, che almeno mi vedano così - non come un irregolare, terrorizzato e con occhi furtivi, ma come un nativo di Sydney, un uomo con le mèches dorate, con la schiena dritta, con un' insolente indifferenza in ogni cellula del corpo. (p. 68)
Un giorno però, continuare ad essere invisibile diventa un requisito insostenibile. Mentre passa l’aspirapolvere nell’ appartamento di un cliente, Danny scorge dalla finestra un gruppo di poliziotti nell’appartamento di un’altra sua cliente, precipitandosi alla ricerca di informazioni, scopre che è stato commesso un omicidio, di cui lui potrebbe avere informazioni rilevanti per risolvere il caso. Una relazione amorosa segnata dall'infedeltà e dal gioco d'azzardo segnano per sempre la vita di Danny. Da quel momento in poi si trova in un limbo intriso di moralità e individualismo, a metà tra la sete di giustizia e la continua lotta per un futuro nell’invisibilità inseguito dai ricatti dell’assassino. Il conflitto interiore di Danny è scandito di ora in ora, facendo emergere il suo stesso passato intervallato dai flashback per ricostruire il movente dell'omicidio.
Danny era consapevole della mano imperiosa che lo teneva per il polso e lo guidava. Si accorse di venire condotto verso la nicchia più buia al fondo del bancone, riservata ai giocatori più accaniti. Assassino, Uomo delle Pulizie e Cactus si sedettero a un altro tavolo. (p. 188)
Con uno sguardo critico alla condizione degli immigrati all’interno del contesto politico australiano, Adiga disegna il ritratto di un giorno di quotidianità di un immigrato irregolare a Sydney, adottando lo stile joyciano ambientando tutta la vicenda nell’arco di una giornata. In un continuo confronto con chi ce l’ha fatta, con chi è un immigrato regolare di successo, il protagonista del romanzo resiste alle ingiustizie che la società australiana gli presenta: il lavoro precario, le torture dell’ufficio immigrazione che lo accusa di fa parte dell’ LTTE, l’incombente peso di essere scoperto, i commenti razzisti, i ricatti del colpevole dell’omicidio. Avendo alle spalle un interrogatorio realmente avvenuto, documentazioni e interviste di migranti irregolari, Adiga crea uno spaccato concreto, anche se difettoso, di una vita indesiderata, allo stesso tempo vita chiave per fare luce sul reato che la vede coinvolta indirettamente. Questa critica sociale muove i suoi passi all'interno della psiche di Danny, alle prese con una delle scelte più difficili con cui abbia mai avuto a che fare. 

Da questo romanzo sarà anche tratto un film prodotto da Netflix con la regia di Ramin Bahrani.

Barbara Nicoletti

#LectorInFabula. Rileggere "Il meraviglioso Mago di Oz" con la fantasmagoria di MinaLima

 


Il meraviglioso Mago di Oz
di L. Frank Baum 
L’ippocampo, 2021
 
Illustrazioni di MinaLima
Traduzione di Luca Lamberti
 
pp. 256
€ 29,90 (cartaceo)

 

Tra tutti i classici per ragazzi, Il meraviglioso Mago di Oz è sempre stato uno dei miei preferiti. La caratterizzazione dei personaggi, ciascuno impegnato nella sua ricerca, così profondamente umana; la fragilità connaturata che diventa forza durante il cammino; il lieto fine, in cui ciascuno trova il proprio posto nel mondo e un pieno riconoscimento delle sue qualità, oltre alla cifra di visionarietà della storia… tutto ciò ha sempre contribuito a farmi apparire la vicenda di Dorothy e dei suoi amici come una grande allegoria di ogni percorso di crescita. E anche se, nell’Introduzione, L. Frank Baum chiarisce esplicitamente che la sua opera vuole avere intento primariamente ludico e l’unico scopo di “deliziare i bambini”, non si può negare che Il Mago di Oz abbia una morale importante e si faccia veicolo di una riflessione profonda sull’identità e i desideri dei singoli.
All’inizio della narrazione, c’è una bambina che vive in un paese tutto grigio. La sua vita è dominata dall’aridità circostante, che si rivela anche in una certa freddezza nei rapporti affettivi (con l’unica eccezione del piccolo, entusiasta Totò). Dorothy è una brava nipote, obbediente e animata da buoni sentimenti, ma un po’ egoista, come spesso i bambini. L’esperienza nel mondo di Oz sarà per lei occasione di
incontro con l’Altro e con l’Altrove, ma anche di riscoperta delle cose veramente importanti, in primo luogo la sua casa e la sua famiglia, che le fa provare nostalgia persino per la polvere del Kansas. Quando finalmente tornerà, il nuovo sguardo, nato dal viaggio, le consentirà di vedere nuovi colori anche dove prima c’era soltanto cenere.
E poi ci sono gli amici fedeli incontrati durante l’avventura. In primo luogo lo Spaventapasseri che, non avendo un cervello ed essendo ancora ignaro delle cose del mondo, non può capire perché le persone preferiscano vivere in posti grigi e tristi come il Kansas invece che in luoghi meravigliosi. È lui ad avere un pensiero veramente riflessivo, e sono sue molte delle idee che tirano il gruppo fuori dai guai. Poi il Taglialegna di Latta, che è stato un uomo innamorato e ora rimpiange il cuore che gli faceva provare affezionare e sentimento. Convinto di non averlo, è però mite e gentile, pronto a sciogliersi in lacrime di fronte alla sofferenza di qualsiasi creatura.
È interessante notare le schermaglie tra lo Spaventapasseri e il Taglialegna su quale organo sia più necessario alla felicità dell’individuo: 
– In ogni caso – osservò lo Spaventapasseri, – io chiederò un cervello, invece di un cuore, perché uno sciocco non saprebbe che farsene del cuore, anche se ne avesse uno.
– Io voglio un cuore, – ribadì il Taglialegna di Latta, – perché il cervello non basta a farti felice, e la felicità è la cosa più bella che esista al mondo. (p. 58)
Infine si incontra il Leone codardo, che ha paura – come tutti, del resto –, ma è roso da questa consapevolezza e dalle aspettative che gli altri nutrono sul Re della foresta. Nonostante la sua mancanza di coraggio, il grosso animale è pronto a lottare e dare la vita per Dorothy. Di fatto, ciascun membro della combriccola va cercando qualcosa che ha già dentro di sé e Oz, il grande ciarlatano, non fa che dar loro ciò che credono di desiderare, ma in realtà possiedono inconsapevolmente. Di fatto, con un pizzico di magia che oggi chiameremmo effetto Placebo, non fa che aiutarli a consolidare la loro autostima, rendendoli in grado di percepire le proprie qualità e rendersene finalmente degni.
Per questo la storia di L. Frank Baum piace sempre e così tanto: perché agisce come una pillola di ottimismo nel quotidiano, aiutando ciascuno a guardare oltre il grigiume che rischia di travolgerlo.
L’altro grande messaggio che emerge dalla narrazione è che le cose riescono bene se si fanno insieme: il gruppo di Dorothy e i suoi amici non potrebbe apparire più strano e mal messo insieme, eppure ciascuno fa la sua parte e le virtù degli uni completano quelle degli altri. Solo attraverso la cooperazione gli ostacoli che si presentano lungo il cammino possono essere superati, le sfide vinte.
La trama di questa specifica storia offre al duo MinaLima molteplici occasioni per dispiegare la propria creatività, e non solo nel passaggio dai toni seppia con cui viene mostrato il Kansas all’esplosione cromatica dell’opulento mondo di Oz (il blu del regno dei Ghiottoni, il verde della Città di Smeraldo, il rosso del Paese dei Grassoni, le tinte ocra di quello dei Gialloni…). Anche al lettore vengono forniti gli occhiali con le lenti colorate che sono la prima grande mistificazione di Oz e mostrano una realtà trasfigurata, anche oltre il limite della pagina, e alcuni pop-up danno vita ai personaggi e alle ambientazioni più pittoresche: la strada lastricata che attraversa il bosco e si perde in lontananza, l’esplosione cremisi dei papaveri che rischiano di perdere i personaggi… tra mappe estraibili e alberi che si protendono minacciosi dal foglio, streghe cattive che si sciolgono in una colata d’acqua e scarpette d’argento pronte a battere tre volte per riportare la protagonista a casa, la storia acquista spessore coinvolgendo il lettore in modi sempre nuovi. E, anche laddove non ci siano elementi interattivi, la fantasmagoria dei colori, dei luoghi e dei personaggi, la continua interazione tra testo e immagine e la minuzia dei dettagli inaspettati diventano l’occasione di fare di questo volume una piccola opera d’arte per grandi e piccini.
 
Carolina Pernigo



"L'eredità dei padri" di Rebecca Wait: la storia di un'isola e di una colpa antica

L'eredità dei padri
di Rebecca Wait
Edizioni e/o, 2021

Traduzione di Claudia Lionetti

pp. 265
€ 18 (cartaceo)
€ 11,99 (ebook) 


Che cosa diavolo poteva mai indurre un uomo ad alzarsi da tavola, una sera, e massacrare la propria famiglia? Ci sono domande, e questo Tom lo sapeva bene, che non hanno una risposta, e alla fine poi non sono nemmeno domande, semmai uno sfinimento che ti porti ovunque talmente ti è penetrato nelle ossa. A volte al mattino si svegliava e si sentiva come se fosse di cemento e non riusciva a muoversi. (p. 111)

L'eredità dei padri soffia spesso come un vento sferzante su un'isola sperduta.
Si abbatte su tutto ciò che trova e sembra non lasciare spazio né pace, intenta com'è a fare rumore e a sollevare e scagliare lontano le cose vicine. Questo sembra dirci Rebecca Wait con il suo romanzo.
Siamo a Litta, un'isoletta delle Ebridi dove il paesaggio è sempre avvolto nella foschia, le onde arrivano violente ad abbattersi sulle scogliere e le persone sono abituate a chiamarsi per nome e a conoscere tutte le storie che le riguardano, dalle più antiche alle più vicine.
Un'unica scuola, una strada principale che percorre tutto il perimetro dell'isola e un gruppo di famiglie che non hanno mai avuto segreti, almeno fino a quando una sera John Baird, uno dei "figli di Litta" nato e cresciuto lì, massacra la moglie e i figli sparando loro e poi togliendosi la vita. 
L'unico sopravvissuto è il maggiore, Tom, che vivrà a Litta gli anni successivi per poi lasciare l'isola e cercare di costruire una propria vita altrove, oltre il mare e oltre l'orrore. 
Anni dopo, adulto, Tom ritorna a casa per ragioni misteriose e gli isolani sono chiamati a interrogarsi ancora su un evento che è rimasto come un rebus per ognuno di loro: perché John ha compiuto un gesto del genere? Come hanno fatto tutti a non accorgersi di quello che stava per succedere? Era un senso di morte che aspettava di sfociare o un momentaneo raptus di violenza?
Sono domande aperte, a cui i personaggi, e con loro il lettore, non trovano facilmente risposta.
L'eredità dei padri è un romanzo che conduce un'analisi doppia dell'effetto che un evento tragico come un massacro familiare ha sul singolo e su una piccola comunità. Il libro si snoda da un lato attraverso i ricordi e i traumi di Tom e di Malcom - fratello di John che riaccoglie il nipote - e poi attraverso gli sguardi esterni degli abitanti dell'isola che erano soliti incontrare i Baird al pub, davanti a scuola o ne incrociavano lo sguardo durante le passeggiate. 
Man mano che si sviluppa familiarità con il loro dolore, dei flashback ci portano in particolare dentro la vita di Katrina, la moglie di John che quella sera ha perso la vita insieme a due dei suoi figli.
Conosciamo dall'interno delle dinamiche familiari violente e risaliamo il corso del fiume per arrivare alla fonte, a ciò che può averle generate. Il "può" è doveroso, perché ogni vita si può leggere solo per interpretazioni possibili.
Rebecca Wait condensa dentro il concetto di "eredità" del titolo quel complesso sistema di forze, alcune oscure, altre manifeste, che si celano nei rapporti genitori-figli e che danno esito ai più vari sviluppi nelle esistenze delle persone: la scelta di sposare qualcuno, di fare dei figli, di crescerli secondo certe inclinazioni. La scelta di essere una persona o un'altra tra le mille eventuali che potremmo diventare.
Nella storia dei Baird si aprono in particolare spazi di disanima di relazioni parentali che hanno influenzato altre relazioni parentali, in un circolo continuo e in un costante sistema di rimandi incrociati. Si tratta di un materiale umano, più che letterario, nel quale tutti siamo immersi. A volte serve solo particolare coraggio per guardarlo allo specchio. 
Il romanzo ha un ritmo narrativo che in vari momenti risulta lento, aspetto che va sottolineato soprattutto per i lettori che in storie come questa ricercano un andamento più agile.
La sensazione è che Wait volesse quasi rendere materica l'idea di un'isola immobile, staticamente avvolta nell'umidità della foschia, in cui tutto si ripete come in un rito da anni e anni. Per questo la scrittura si avvicina più all'idea di un paradossale stato di ferma burrasca.  
L'incedere faticoso in questa nebbia è quello di chi osserva da fuori una storia di violenza e soprattutto l'avanzare sofferto di Tom che, come i tanti che nella realtà vivono immersi in storie altrettanto strazianti, cerca ancora un perché impossibile, oltre i sensi di colpa e oltre la vaghezza di ricordi che si sovrappongono attorcigliati intorno a un unico orrendo evento che li distorce tutti. 


Claudia Consoli


Ritratto di un'anima in subbuglio: «E questo cuore non mente», l'ultimo, struggente romanzo di Levante




E questo cuore non mente
di Levante
Rizzoli, 8 giugno 2021

pp. 228
€ 18,00 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)

Sono passati ormai cinque anni da Se non ti vedo non esisti, libro d’esordio di Claudia Lagona, in arte Levante; anni in cui la celebre cantautrice siciliana ha dato alle stampe anche un altro romanzo, Questa è l’ultima volta che ti dimentico, sempre edito da Rizzoli. La prima opera raccontava la storia di Anita, una giovane redattrice di moda, bella e di successo, la quale, però, non riesce a fare pace con l’amore: un matrimonio fallito alle spalle e qualche uomo lungo la sua strada, ognuno di essi, tuttavia, sbagliato per un diverso motivo. È il 2021 quando Levante decide che la sua Anita ha ancora qualcosa da dire e tocca a lei darle voce, di nuovo. E questo cuore non mente è una lunga confessione che la protagonista fa al suo psicoanalista, dopo essere stata ferita, ancora una volta, dall’ennesimo uomo, Marco. Il racconto si alterna alla narrazione dei ricordi di Anita, riportati con struggente nostalgia.

«Non te la prendi con qualcuno perché non ti ama più, ma per il modo in cui smette di amarti. […] Il modo in cui ha smesso di amarmi è stato lento. Millimetro dopo millimetro, ha allontanato da e ogni sua parte, lasciando per ultimo il corpo. Il suo corpo mi cercava, specie verso sera, ma se bussava nella notte trovava il mio sonno. E così, centimetro dopo centimetro, silenziosamente, ho perso anche i suoi desideri. Non so di preciso quand’è che ha smesso di volermi bene come prima, ma so con certezza che io l’ho aiutato a non volermene più. Ci siamo ritrovati in una sorta di circolo vizioso in cui, nella stanchezza, l’unica cosa di noi che riuscivamo a far incontrare era l’orgoglio – una prova di forza da cui io uscivo sempre perdente.» (p. 16)

#CriticaNera - Un amore impastato di morte nel nuovo "Léon" di Carlo Lucarelli



Léon
di Carlo Lucarelli
Einaudi, 2021

pp. 210
€ 17,50 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)

 
 
Torna in libreria un nuovo romanzo di Carlo Lucarelli, che riporta sulla pagina nomi ben noti al lettore, come quelli di Grazia Negro, o di Simone, già protagonisti ad esempio di Almost Blue e Un giorno dopo l’altro (recensito qui). Li si ritrova qui però in situazioni inconsuete: la loro relazione è finita; Grazia ha appena avuto due gemelle da un donatore di cui non ricorda neanche il nome e non vuole tornare a lavorare con la polizia per concentrarsi sulla maternità:
Il Lupo mannaro, il Pittbull, il Cane, l’Iguana, ne aveva uno zoo pieno, e anche se una volta presi li dimenticava, perché a lei soltanto quello interessava, prenderli, non capirli, erano proprio le emozioni della caccia che le restavano dentro. Troppo. Allora aveva mollato tutto, Simone, la polizia, i suoi mostri, aveva preso un periodo di aspettativa da ogni cosa. (p. 11)
Simone, dal canto suo, ha smesso di ascoltare il mondo e si è rinchiuso sempre di più, prima in casa, poi in se stesso, nella gabbia di muscoli che continua a cesellare con un allenamento instancabile che gli ottunde il pensiero e quindi il dolore.
Ho sostituito l’udito, che per me è il senso più lungo, senza limiti, con quello più corto. Il tatto. Niente va oltre la mia pelle. I confini del mio mondo sono quelli del mio corpo. Esiste solo quello che sento sotto le mie dita, le curve solide che si spostano col movimento, le forme che cambiano sotto i polpastrelli. […] Sotto la pelle, dentro la pelle. Io vivo dentro. […] Un hikikomori del corpo. (pp. 15-16)
Le loro esistenze scorrono lontane, segnate dall’incomunicabilità. Poi però l’Iguana, il mostro che li aveva fatti incontrare un tempo, scappa dalla casa famiglia per degenti psichiatrici a cui è stato affidato, dopo aver barbaramente ucciso i suoi coinquilini. L’unica superstite, la fragile Marta, infermiera nella struttura, è troppo scossa per poter fornire indicazioni utili. Si teme quindi per la vita dei responsabili del suo passato arresto, che vengono prelevati dalle loro abitazioni e portati in una dimora sicura, di nuovo insieme dopo tanto tempo, ma ormai radicalmente cambiati.
Mentre la scia di sangue lasciata dall’Iguana si allunga, le indagini si complicano, sia perché appare il sospetto sempre più fondato di un complice, sia perché i responsabili, il vicequestore Carlisi e la comportamentista Anna Maria Cescòn, ciascuno geloso del proprio ruolo e del proprio ambito d’intervento, non riescono a cooperare e a condividere le informazioni in modo produttivo.
La trama procede attraverso fitti dialoghi tra i personaggi, e subitanee incursioni nella coscienza di alcuni di loro, grazie al passaggio alla narrazione in prima persona. Lucarelli padroneggia con disinvoltura diverse focalizzazioni e registri linguistici: quello duttile e multisensoriale di Simone; quello ricorsivo, ossessivo del killer, che più che all’universo dei rettili sembra riportare a quello più subdolo e strisciante dei roditori, facendo nascere nel lettore i primi sospetti che le cose non siano come sembrano.
C’è un che di irrisolto nella ricerca dei colpevoli, così come nelle vite di tutti i comprimari, qualcosa che disturba a un livello sottile e non del tutto conscio: l’impressione vaga, che scorre sottopelle, che qualcosa di importante stia sfuggendo all’attenzione. Anche i rapporti e le conversazioni tra Simone e Grazia appaiono in qualche modo fuori sincrono, a denunciare lo stato di lontananza che si è creato tra i due, nonostante l’affetto che ancora li lega. Lucarelli riesce a costruire un’opera il cui quadro generale si configura attraverso l’assemblaggio progressivo di tasselli isolati, che spesso coincidono con lampi di intuizione degli investigatori, spesso però tardivi.
La colonna sonora, come nei romanzi precedenti e come spiegato dall’autore stesso nei ringraziamenti finali, è fondamentale alla comprensione della vicenda e prova a dire il delirio dei personaggi, prima fra tutti la canzone Léon dei Melancholia, da cui deriva il titolo; solo apparentemente esterna alla trama, questa aiuta a darne improvvisamente una nuova lettura, soprattutto se ascoltata con i suoi ritmi sincopati e ansiogeni in coda all’opera, e con il testo integrale alla mano. Allo stesso modo Amandoti nella versione di NAIP dà voce all’angosciosa follia del killer, che anela a un amore che acquisisce significato soltanto nel momento in cui viene impastato di morte e violenza.
Non lo sapevo, prima. Non lo sapevo. Vorrei guardarti per sempre, ma non posso, vorrei tenerti dentro la mia bocca, vorrei stringerti con le mani fino a farti schizzare tra le dita. Non lo sapevo prima, non lo sapevo, ora lo so. Ora so cosa voglio. Voglio amarti. […] Amami. Amami. AMAMI. (pp. 52, 53)
Anche se questo romanzo può apparire meno coeso dei precedenti, anche dal punto di vista del procedere investigativo, Lucarelli si conferma maestro della tensione, che riesce a far crescere esponenzialmente e senza una diretta connessione con la successione degli eventi: così come i personaggi a tratti vengono colti da paure improvvise, quando si trovano a contatto col male, così anche il lettore viene assalito da un’inquietudine che non deve essere necessariamente spiegata razionalmente. Questa si coagula progressivamente intorno alla percezione sempre più vivida delle ossessioni del colpevole, fino a uno scioglimento finale che non riesce peraltro a dissiparla del tutto, né a sciogliere completamente i nodi insoluti che dominano le esistenze dei protagonisti, portandoci ad attendere, ancora una volta, un seguito.
 
Carolina Pernigo

#CriticaNera - "Un requiem tedesco" di Kerr conclude la trilogia berlinese che racconta le avventure di Bernie Gunther


Un requiem tedesco



Un requiem tedesco
di Philip Kerr
Fazi, maggio 2021

pp. 400
€ 14,25 cartaceo
€ 7,99 ebook

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Dopo Violette di marzo e  il criminale pallido, ecco il capitolo conclusivo della trilogia berlinese di Bernie Gunther; che può considerarsi a ragione un grande classico del poliziesco.

La NewYork degli anni Ottanta, tra ambizioni personali, incertezze sentimentali, vizi e debolezze: "Anno bisestile", un romanzo giovanile di Peter Cameron




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Anno bisestile
di Peter Cameron
Adelphi, ottobre 2021

Traduzione di Giuseppina Oneto
1^ edizione in rivista: 1988; in volume: 1990

pp. 275
€ 19 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)


«Perché le persone sono scorrette?» chiese Solange. «Perché sono meschine? E vendicative?»
Heat questa risposta l'aveva. «Per amore».
Solange sorrise. «Per un amore finito male» lo corresse. (p. 123)

Inizia con una festa Anno bisestile, romanzo giovanile di Peter Cameron, uscito a puntate sulla rivista newyorchese “7 Days” nel 1988 e poi in volume nel 1990. Un anno bisestile è di per sé fuori dal consueto, lascia spazio alle fantasie, tanto quanto alle nuove e inattese possibilità, e lo vediamo fin dalle primissime pagine. Lillian, la padrona di casa, confessa all'amico David di essersi pentita della sua scelta di organizzare una festa, ma ormai è troppo tardi per disdire e le toccherà assistere alle tensioni tra i vari invitati e alla loro finta allegria. Tra gli altri ci sarà Loren, la ex moglie di David, con cui, nonostante il divorzio, corrono ancora buoni rapporti in nome della figlioletta Kate, certo, ma anche a causa di un sentimento non del tutto estinto. Semmai, è stato proprio per salvarsi da quel sentimento poco salutare che i due hanno deciso di separarsi. E di ricominciare una nuova vita: lei ora sta con un altro uomo, Gregory, molto amato anche da Kate; e David ha scoperto di essersi innamorato di Heath, impiegato come segretario nella sua stessa rivista. Lillian, viceversa, non ha un compagno, ma, dopo mesi ad accarezzare l'ipotesi di diventare madre con la procreazione assistita, sta per passare alle vie di fatto. 

Accanto a questi personaggi, già sufficienti con tutte le loro pulsioni, paure, idiosincrasie, troviamo la vicenda di Heath, il nuovo compagno di David, che ha sempre coltivato la passione per la fotografia, anche se le sue foto non sono mai state esposte, se non al ristorante dove ha lavorato. Che il suo sia solo un hobby? Quando tuttavia un'importante galleria si interessa a lui, Heath è disposto a tutto, anche a soprassedere davanti alle stravaganze della gallerista Amanda, amante del proprietario Anton e acerrima nemica della moglie di lui, Solange. Heath diventa un puro strumento di vendetta nelle mani di Amanda, ma lui non vi bada e certamente non capisce appieno quanto possa farsi pericoloso il suo coinvolgimento in quel triangolo a dir poco rovinoso. 

Altri parenti, amici, conoscenti entrano a sconvolgere le vite dei personaggi, ma possiamo pur dire che David, Loren, Lillian e Heath sono i quattro protagonisti di questa commedia spietata e brillante, che racconta gli anni Ottanta lavorando ai fianchi le debolezze, i desideri e le ambizioni di chi frequenta New York. Troviamo grandi contraddizioni, ma anche passioni passeggere, dettate da un capriccio e dalla paura della solitudine più che da reali sentimenti. Leggiamo una critica acuminata al mondo dell'arte contemporanea e alle sue dinamiche, ben difficili da spezzare, perché l'individualismo estremo spinge a realizzare sé stessi, a prescindere da chi ci andrà di mezzo. Incontriamo un numero di pentimenti pari a quello delle indecisioni, dei ripensamenti e delle seconde e terze possibilità. 

Poi, certo, Peter Cameron interviene sul destino dei suoi personaggi e li inserisce in situazioni surreali, come un omicidio poco verosimile e quasi stereotipato, che rischia però di rovinare una vita intera. Sono tanti gli intrighi che arriveranno a unire i diversi personaggi, quasi ci fosse una rete narrativa preordinata che combina le situazioni e le rimescola, un po' sadicamente. I colpi di scena non mancano, ma è soprattutto la straordinaria capacità di Cameron di dar vita ai rapporti sociali (un vero e proprio marchio distintivo, presente in altri romanzi) che rende Anno bisestile una lettura addirittura avvincente. Strumento principale per raggiungere questo obiettivo sono i dialoghi: Cameron non teme di lasciare che siano i personaggi a raccontarsi attraverso le loro parole, le espressioni tra una battuta e l'altra, i micro-gesti che ne connotano il carattere. Ed è proprio in questa totale assenza di spiegazioni che noi lettori troviamo la libertà di interpretare, forse anche di prendere le parti dell'uno o dell'altra, sempre ricordandoci che Cameron sta mettendo in piedi una commedia straniata e straniante, di cui dobbiamo restare spettatori critici. 

GMGhioni


 

Il ritratto senza sconti di una generazione, vent'anni dopo: «Tutti giù per terra - remixed», di Giuseppe Culicchia




Tutti giù per terra - remixed
di Giuseppe Culicchia
Milano, Mondadori, 2014

pp. 142
€ 16,00 (cartaceo); € 10 (tascabile)
€ 6,99 (ebook)

 

Aprile 1994: per Mondadori esce Tutti giù per terra, romanzo di Giuseppe Culicchia, giovane autore promettente, che si affaccia al mondo editoriale con alle spalle l’incoraggiamento e la stima di Pier Vittorio Tondelli. L’opera è un romanzo generazionale, che inquadra senza pietà lo smarrimento dei giovani che a metà degli anni ’90 sanno di non potersi aggrappare ai solidi appigli della società dei loro padri, per costruire il loro futuro, e in poco tempo il libro diventa un piccolo cult, tanto da farne un film con Valerio Mastandrea, al pari di altri che hanno fatto la storia, inserendosi nel filone della crisi di un’epoca (su tutti, il celeberrimo Jack frusciante è uscito dal gruppo).

Vent’anni dopo, il 1° aprile 2014, l’autore decide di dare alle stampe non un seguito, come ci si sarebbe potuti aspettare e come spesso accade, bensì una riscrittura della storia ai giorni d’oggi. Esperimento decisamente interessante, se contiamo che la società dei primi anni 2000, in cui la vicenda è immersa, è ormai completamente diversa da quella degli anni ‘90. Tuttavia, leggendo il libro, quello che pare evidente è che cambiano gli strumenti – l’avvento di Internet, dei cellulari, dei social – ma non cambia lo smarrimento del protagonista: un altro figlio della crisi, che sa solo cosa non vuole essere. Il risultato che ne viene fuori è a dir poco drammatico poiché tale riscrittura dimostra che il ritratto di Culicchia è purtroppo ancora attuale.

Il Sudafrica verso la democrazia, tra speranze e contraddizioni: "La promessa" di Damon Galgut

 



La promessa
di Damon Galgut
Edizioni E/O, 2021

Traduzione di Tiziana Lo Porto

pp. 288
€18,00 (cartaceo)
€11,99 (ebook)

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«Mostrandosi nel bagliore fluorescente, un pollice speranzoso teso. Bisogna avere un po’ di fede! Potrebbe volerci del tempo, ma prima o poi, se continui a provare, qualcuno si fermerà per te.» (p. 87)

Il libro vincitore del Booker Prize 2021, La promessa di Damon Galgut, è una saga familiare moderna del tutto originale nel panorama letterario contemporaneo. Si tratta di un libro complesso, che si srotola un filo dopo l’altro seguendo le conseguenze di una promessa non mantenuta. Sullo sfondo, un Sudafrica tratteggiato senza ipocrisia nei suoi contorni problematici, il teatro di una storia dove alla fine dei giochi ciascuno è solo e vessato dai propri demoni. Protagonista del dramma, una famiglia bianca negli anni della transizione dall’Apartheid alla società libera.

Tutto comincia nel 1985 in Sudafrica, in una piccola fattoria. Una donna in procinto di morire fa promettere al marito che donerà la loro proprietà alla domestica Salome, lui promette ma sa che si tratta di qualcosa di irrealizzabile: Salome è nera e cristiana, le leggi del Sudafrica non le permetterebbero di ereditare la tenuta. Rachel (questo il nome della donna) nell’ultimo periodo della sua vita si era riavvicinata alla sua religione e richiede un funerale secondo il rito ebreo, un’altra questione spinosa che genera scompiglio nella famiglia del marito. Quando Rachel muore, comincia l’inesorabile sfaldamento della famiglia a partire dalla rottura dell’equilibrio delle vite dei tre figli, che devono iniziare a comprendere come funziona la vita senza che nessuno si preoccupi di spiegargliela. Amor, la figlia più piccola, è la più confusa (Salome non partecipa al funerale di Rachel perché nera, ma Amor non lo sa e chiede spiegazioni) e anche la più sola: uno degli episodi che più toccano il cuore del lettore sono le prime mestruazioni della ragazzina durante il funerale di Rachel, fatto che accentua ancora di più il dolore per la perdita della persona che in quel momento avrebbe dovuto aiutarla. Ma soprattutto, Amor ha ascoltato la promessa che il padre aveva fatto alla madre sul letto di morte, e non la dimentica. Il padre sì, invece, e con lui i suoi parenti ipocriti e bigotti. Anche Astrid, la figlia maggiore, non dà peso alla cosa, e Amor viene rispedita in collegio senza spiegazioni.

Ogni capitolo del libro è dedicato alla morte di uno dei membri della famiglia e segue degli sbalzi temporali di circa dieci anni. La promessa non mantenuta si trasforma in una sorta di maledizione che ricade sull’intera famiglia. Il padre è il secondo a morire, dopo aver condotto una vita anonima e priva di legami reali. Astrid diventa una donna frivola e materialista, passa per due matrimoni senza amore e fa due figli, infine muore in circostanze violente e inaspettate. Anton, il figlio maschio, è stato arruolato nell’esercito poco più che adolescente e ha commesso un crimine che lo perseguita: ha ucciso una donna proprio poco prima che morisse la madre. Da quel momento, per il resto della sua vita il ragazzo e poi l’uomo è divorato dal senso di colpa, che si alimenta della convinzione di essere anche lui responsabile della morte della madre a causa del crimine commesso. E poi c’è Amor, che non ha mai perdonato la sua famiglia per la promessa non mantenuta. Quando è ormai una donna di oltre quarant’anni, le cose sono cambiate in Sudafrica e intende esaudire la promessa, ma scopre che c’è una precedente rivendicazione sulla terra e Salome rischierebbe di essere sfrattata.

Dopo tanti anni di vicissitudini, una famiglia frammentata e un paese che ha cambiato il suo volto, l’amara scoperta è questa: la nuova generazione di sudafricani avrebbe potuto dare vita a un’epoca di uguaglianza, ma le ingiustizie hanno solo assunto una veste diversa e la strada per un paese più giusto è ancora lunga e tortuosa. Non c’è un’indicazione per la via morale da seguire, non ci sono diti puntati, non c’è condanna degli oppressori: c’è solo la cruda e semplice testimonianza dello stato di cose in Sudafrica in un preciso momento storico. La promessa rinnegata dalla famiglia Swart non è altro che una riproduzione in piccolo di tutte le promesse fatte ai sudafricani all’avvento della democrazia, promesse non mantenute che ancora oggi avvelenano le coscienze del paese.

Alessia Martoni


Il posto migliore per osservare una società è il focolare domestico: "Saggi consigli domestici per la perfetta gentildonna" di Isabella Beeton






Il libro di Mrs Beeton. Saggi consigli domestici per la perfetta gentildonna
di Isabella Beeton
Nuova Editrice Berti, giugno 2013

Traduzione di Francesca Cosi e Alessandra Repossi

pp. 120
€ 10,00 (cartaceo)


 Come avviene per il comandante di un esercito o il capo di qualunque impresa, così è per la padrona di casa. Il suo spirito si manifesta nell'ambiente domestico e più la donna svolgerà i propri compiti con intelligenza e compiutezza, più i servitori ne seguiranno le orme. (p. 15)
Ogni epoca ha i suoi manuali per la cura e la gestione della casa. Non importa quali siano le posizioni e le rivendicazioni sociali, i ruoli ricoperti e la parità ricercata o raggiunta: sugli scaffali delle librerie o nei palinsesti televisivi si troveranno sempre insegnamenti su come preparare la tavola, cucinare per una cena formale, quali sono le accortezze per far sentire gli ospiti a proprio agio. Il volume, pubblicato da Nuova Editrice Berti, Il libro di Mrs Beeton. Saggi consigli domestici per la perfetta gentildonna si inserisce in questo filone e fu pensato a uso e consumo della perfetta donna vittoriana
Isabelle Mayson, sposata con l'editore di periodici Samuel Beeton, sin da giovanissima teneva una rubrica sulle pubblicazioni del marito: rivolta alle spose di tutte le età, dava suggerimenti su ogni aspetto della vita domestica. I suoi consigli, raccolti poi in un volume, diventarono un must have in ogni casa ed erano un regalo d'obbligo per le giovani spose che si dovevano ancora impratichire nell'arte della conduzione della casa. Il volume si rivolgeva a un target molto preciso.
Per il principe Soubise andava benissimo così, e anche per noi, che non scriviamo solo per principi e nobili, bensì per consentire alle nostre sorelle inglesi di cucinare i piatti migliori con gli ingredienti meno costosi, approviamo l'impiego del prosciutto e daremo di seguito qualche indicazione generale su salse e affini. (p. 43)
Come avrebbe detto Julia Child circa un secolo più tardi, le fruitrici del testo sono le persone senza grossi spiegamenti di servitù. Lontani quindi gli schieramenti di domestici alla Downton Abbey, ecco che le giovani padrone di casa sono istruite su tutti gli aspetti della vita domestica.
Quali sono quindi "le qualità e virtù domestiche necessarie alla corretta gestione della casa"?
Alzarsi presto al mattino è una delle qualità più importanti per un'adeguata gestione domestica, poiché tale abitudine è parente stretta non solo della buona salute, ma anche di molti altri benefici. Di fatto, quando una padrona di casa ha l'abitudine di alzarsi presto, è quasi certo che avrà una casa ordinata e ben tenuta. (p. 16)
La frugalità e l'economia sono virtù domestiche senza le quali nessun focolare può prosperare. (p. 17)
Ogni padrona di casa dovrebbe sforzarsi di essere allegra e non dovrebbe mai mancare di mostrare profondo interesse per tutto ciò che riguarda il benessere di coloro che reclamano la protezione del suo tetto. (p. 23)
Oltre alle indicazioni di tipo morale e di atteggiamento, il volume scende molto nel concreto per quanto riguarda la parte della cucina – qui non sono state tradotte e riportate le ricette – sia per la loro preparazione che per quanto riguarda le conoscenze più tecniche quali il riconoscimento dei migliori tagli di carne fino alla cottura delle uova quando si deve preparare un pasto per un ammalato. Non mancano alcuni accenni storici che sono parte della formazione di una giovane padrona di casa né le indicazioni per il superamento di alcune vecchie credenze segno che la società vittoriana segue la sua evoluzione.
GELATINE: non sono nutrienti come si riteneva una volta e molti eminenti dottori sono dell'opinione che siano meno digeribili della carne o del muscolo degli animali. (p. 80)
In queste indicazioni Isabella Beeton mostra alcuni sprazzi dei problemi che sono tornati all'attenzione odierna in fatto di alimentazione.
La qualità della carne è notevolmente influenzata dalla natura del mangime con cui l'animale è stato nutrito, anzi si potrebbe dire che sia l'alimentazione a determinarla. (p. 39)
Non poteva esprimersi in merito agli allevamenti intensivi, ma di certo li avrebbe condannati con orrore. Così come con rassegnata incredulità scrive del mancato rispetto della stagionalità degli alimenti. 
Sebbene nel nostro paese la stagione degli agnelli inizi generalmente a marzo, nel regime alimentare forzato tanto utilizzato oggigiorno per soddisfare le esigenze del lusso, è possibile procurarsi agnelli in qualunque stagione. (pp. 51-52)
Può farci sorridere o avere un moto di fastidio leggere determinate affermazioni come quella riportata dal Vicario di Wakefield? Certamente sì! Anche leggere queste pagine potrebbe quasi sembrare un passo indietro rispetto a quanto si sta cercando di ottenere in termini di parità e inclusione.
Nella vita la vergine modesta, la moglie prudente e la matrona accorta sono molto più utili dei filosofi con la toga, delle eroine spavalde o delle regine arpie. Colei che renderà felici marito e figli, che terrà il primo lontano dai vizi e crescerà i secondi nella virtù, è di natura ben più nobile di quelle signore che vengono descritte nei romanzi. (p. 15)
Ma proviamo a immaginare a come verrà recepito, tra due secoli, un volume di Martha Stewart o di Csaba dalla Zorza o come già adesso alziamo gli occhi al cielo con Il saper vivere di donna Letizia. Oggi come nel futuro, non dobbiamo mai dimenticare di leggere questi testi con la giusta prospettiva storica e prendendoli come prezioso squarcio nella vita di tutti i giorni. Perché se c'è un posto dove si osserva al microscopio la società, quello è proprio il focolare domestico. 
Possiamo stimare il livello raggiunto da un popolo osservando il modo in cui pasteggia, oltre che per la maniera di trattare le donne. (p. 111)

Giulia Pretta