Esistenze sul limite del baratro: la forte denuncia sociale travestita da récit d’enquête in "Apocalypse Baby" di Virginie Despentes

 

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Apocalypse Baby
di Virginie Despentes
Fandango Libri, settembre 2021

Traduzione di Silvia Marzocchi

pp. 288
€ 19,00 (cartaceo)

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Non vuole diventare un’adulta come suo padre: bugiardo e vigliacco, fissato con la figa, pensa solo a chiavare, ma a tavola fa il compassato. Non vuole diventare un’adulta come sua nonna, che straripa d’odio e non fa che parlare di carità cristiana, e crepa di solitudine e di frustrazione. Non vuole diventare un’adulta come sua madre, costretta a mentire su quello che è per sposarsi. Intorno a sé non vede nessun adulto che abbia una rotta. Un residuo di dignità. (p. 252)
Valentine sa chi non vuole diventare, ma al tempo stesso non sa chi è. È lei la protagonista di questo romanzo di Virginie Despentes, uscito in lingua originale nell’agosto del 2010 e ora magnificamente tradotto in italiano. Se dovessi descriverlo in pochi aggettivi, i primi che mi vengono in mente, a lettura fresca, sono senz’altro irrompente, intrigante, brutale e tragico.
Un romanzo che si presenta come un semplice récit d’enquête, ma che in realtà lavora a un progetto più grande di denuncia sociale, e in particolar modo della società patriarcale in cui fatichiamo a stare a galla, tema centrale in molte opere di Despentes.

Il punto di vista non è unico, ogni capitolo porta il nome di un personaggio, che racconta gli avvenimenti filtrati dai suoi occhi e dal suo modo di essere e vedere il mondo. La trama è molto semplice: Valentine è una ragazza di quindici anni, scapestrata, sempre ai limiti della legalità e precocemente sottratta all’innocenza che dovrebbe invece caratterizzare la sua età. La nonna si rivolge a un’agenzia di investigazioni, che incarica l’invisibile Lucie di pedinare la nipote e raccogliere quante più informazioni possibili sulla sua vita quotidiana. Un giorno basta però una minima distrazione di Lucie per far scomparire la giovane nel nulla. Non lascia tracce, è semplicemente scomparsa nel nulla. Inizia così una ricerca giorno e notte, che porta l’investigatrice in un lungo viaggio, per aggiungere i pezzi giusti a un puzzle confuso in partenza. La accompagna una donna eccentrica, chiamata “la Iena”, che è esattamente il contrario di Lucie: sicura di sé, forte, temeraria, sfrontata e sicuramente visibile. Anche lei una figura, come Valentine, ai limiti della legalità, il cui lavoro è andare a ricordare ad alcuni personaggi, in maniera brutale e violenta, di saldare i loro debiti.

Non è la prima volta che vediamo due donne che sfrecciano nella notte per le trafficate strade francesi, complici in un’impresa. Anche in Scopami (Fandango Libri, novembre 2020) troviamo due donne erranti, ma in quel caso erano loro le fuggitive. Una predominanza femminile che è tipica delle opere dell’anarco-femminista Despentes, come si è definita lei stessa in molte interviste.
Ciò che si cela dietro una trama apparentemente banale è un mondo intero, un dipinto dell’umanità, delle differenti classi sociali, una commedia umana in cui le ingiustizie adulte trionfano e le disillusioni dei giovani crescono man mano che le pagine scorrono. I giovani vogliono cambiare il mondo, ribellarsi, trovare nuove vie d’uscita in un labirinto che sembra consentire soltanto la staticità, la stessa in cui gli adulti si trovano così comodi. La frustrazione arriva nel momento in cui queste idee ribelli si dissolvono nel nulla, sono impossibili da mettere in pratica nella società odierna, malgrado gli evidenti e sfiancanti sforzi, e lasciano dietro di sé una scia di sogni infranti.

La ricerca di Valentine è allo stesso tempo per Lucie un viaggio alla scoperta della propria identità, emotiva e sessuale. La sua trasformazione, il processo di demitizzazione dei pregiudizi sociali genera un sorriso radioso:
“Detto questo, credimi, stai vivendo il momento più bello della tua vita: l’eterosessualità è naturale quanto il recinto elettrico dentro il quale vengono parcheggiate le mucche. D’ora in avanti, bella mia, benvenuta negli spazi aperti.” E, per la prima volta da quando ci conosciamo, questo genere di sproloquio idiota mi fa venire voglia di sorridere. (p. 225)
Come cambia il mondo quando si smette di giudicare e temere la diversità e la si accetta nella sua bellezza, rendendosi conto che forse facciamo parte di ciò che prima si disprezzava!

La straordinaria potenza dell’autrice risiede nella capacità, probabilmente inconscia, di farci sentire comodi al mondo, e mai sbagliati. Quella profonda sensazione di accettazione di sé che passa attraverso l’immedesimazione nei molti personaggi che abitano questo vivace e al contempo tragico dipinto umano. Un sorriso che purtroppo diventa molto amaro quando la storia degenera in una tragedia senza ritorno, portando i protagonisti sull’orlo del baratro, alla dispersione di sé.

Un linguaggio che rispecchia violentemente il vero, una storia che ci permette di guardare al mondo con occhi e coscienze preparate alla brutalità e all’ingiustizia della società in cui viviamo e ci insegna l’importanza di portare avanti le proprie battaglie anche quando sembrano insensate e inutili. Urlare la nostra voce al mondo, e forse qualcuno ci ascolterà.


Lidia Tecchiati