Il rimorso può cancellare il dolore? Angela Nanetti in "Neve d'ottobre" racconta di ciò che avrebbe potuto essere. E non è stato.

 

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Neve d'ottobre
di Angela Nanetti
Neri Pozza, aprile 2021

pp. 238
€ 18,00 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)





Non lasciatevi ingannare dall'apparente serenità della copertina, da quest'immagine quasi dolce, serena nel bianco della neve. No, la lettura di questo romanzo non sarà una tranquilla passeggiata tra le montagne, bensì una discesa nei meandri della psiche umana, nei suoi nodi inestricabili e nei suoi aspetti meno dicibili.
Riccardo Mosca, avvocato, ha vinto il concorso in Magistratura ed è stato assegnato in Trentino, dove si trasferisce con la famiglia, la moglie e i due figli, Giulio e Vittorio. È il 1939, siamo alla vigilia della guerra e il Trentino non è un territorio facile da vivere, soprattutto se non ci si è nati: lì parlano il tedesco, in tanti non si sentono italiani, la vita trascorre chiusa nei masi, ci sono le bestie da curare, unica fonte di sostentamento. L'avvocato "era un uomo d'ordine che amava le regole e le leggi e le applicava con zelo agli altri" (p. 16). A se stesso, invece, concedeva qualche libertà, soprattutto in tema di scappatelle. Anche il piccolo Giulio, il più grande dei due fratellini, ama la giustizia, non quella delle leggi e delle imposizioni, ma quella della natura, quella che viene dal cuore. E per lui intrappolare le faine e farle morire dissanguate, come fa quell'uomo tremendo del maso Zelter, padre della bimba che adora, è cosa da impedire a tutti i costi. Anche se questo può voler dire rientrare tardi a casa e sfidare la rabbia del padre, autoritario e manesco. Come quella sera...

La mano aperta lo colpì tra la guancia e la tempia, all''improvviso, e la testa di Giulio scattò all'indietro. C'era una lunga piastra di ferro contro il battente interno della porta, l'aveva fatta mettere mio padre per renderla più sicura, e la testa di mio fratello picchiò lì contro: un suono sordo, la porta vibrò e la testa si aprì come un melone troppo maturo. Giulio scivolò a terra e si piegò su un fianco. Immobile. (p. 25)
La caduta... ecco il punto di svolta del romanzo. Nulla può tornare torna come prima, a partire dalla salute del piccolo che per tenere a bada i dolori dovrà imbottirsi per una vita di laudano, un forte oppiaceo. Da qui in poi inizia il romanzo di Giulio, in parte raccontato in prima persona dal fratello Vittorio, in parte dalla voce narrante dell'autrice. La ferita continua a lacerare il ragazzino, dentro e fuori, Giulio diventa strano, quasi irrefrenabile finché il padre non decide di metterlo in riformatorio, allontanandolo per sempre dalla famiglia. E la sua vita continuerà, segnata da quell'infanzia vissuta con un padre troppo severo, una madre debole e un fratello geloso e cattivello, desideroso soltanto di compiacere il padre. Anche a costo di dire bugie, se questo può servire a metterlo in buona luce. Ma nel cuore di Giulio c'è Andrea Zelter, la ragazzina che ama da sempre, la figlia di quel mostro che uccideva le faine. E qui mi fermo per non disvelare troppo della trama.
Sarà comunque la storia di un personaggio strano, straordinario nel senso vero della parola, non comune, dissimile dagli altri, sarà la storia di una solitudine per certi versi. Sarà soprattutto la storia di un rimorso, di scelte che avrebbero potuto essere diverse e avrebbero impresso un'altra direzione alla vita. Sarà il fratello Vittorio a dover fare i conti con se stesso, con le sue piccole viltà, con le sue mancanze, con la sua indifferenza. Ormai sono due adulti, hanno trascorso una vita da estranei, lontani, il passato è alle spalle, la vita che rimane è poca. Ci sarà ancora tempo per rimediare?
Nel mezzo passano la guerra, i nazisti, i treni carichi di ebrei, gli attentati ai tralicci. E tra tanti personaggi squallidi e moralmente miseri, soltanto Giulio manterrà accesa la luce della compassione, il raggio luminoso dell'umanità. Sensibile, irrequieto, amante della libertà, istintivamente portato a riconoscere il torto e la ragione, dolce e tenace, Giulio è un personaggio che brilla di luce propria e lo fa sempre di più lungo la storia. Nella quale si muove sempre scegliendo la parte giusta, mettendosi al fianco dei più deboli, cercando di comprendere. Lui che da piccolo compreso non lo era stato mai. 
Ma Giulio era fatto così, uno che capiva perfino il dolore della terra quando veniva zappata a secco e le diceva di bagnarla. "Perché deve essere aiutata, non forzata" (p. 160)
Ma c'è poco da illudersi... non c'è pietà per nessuno. Sì, lo confesso, ho fatto un po' fatica a leggere questo romanzo. Non tanto perché la trama non fosse accattivante o la scrittura poco scorrevole. No, tutt'altro. Sono rimasta spiazzata dalla modalità scelta dall'autrice di disegnare i suoi personaggi, in modo algebrico, crudo, senza indulgere a benevolenza o moti di compassione, nemmeno di fronte a vicende raccapriccianti. Angela Nanetti non cerca di suscitare emozione nel lettore, non batte su tasti facili, non titilla la commozione di chi legge il suo romanzo. Ci squaderna davanti agli occhi le peggior cose (le molestie sui bambini in collegio, la violenza subita dalla sfortunata Andrea) in modo gelido, chirurgico, quasi come per dirci "lo sai anche tu che l'uomo è capace di tutto, non fare l'anima bella, non stupirti".
E il lettore non può che farsi spettatore, muto e silente, consapevole di non poter fare nulla per cambiare gli eventi. 

Sabrina Miglio